Che si tratti di ottimizzare i costi di gestione e manutenzione degli asset aziendali oppure che si intenda proporre nuove formule contrattuali ai clienti nel momento in cui si vendono prodotti e servizi a valore aggiunto, il tema della Predictive Maintenance sta riscuotendo sempre più interesse in maniera trasversale, non solo nel settore manifatturiero. I vantaggi dati dalla possibilità di conoscere in tempo reale e di prevedere il comportamento di reti, macchinari, output, processi in funzione delle diverse variabili che coinvolgono la filiera sono ancora da essere colti appieno, ma le applicazioni sviluppate da chi sta fungendo da apripista in questo territorio inesplorato lasciano chiaramente intravedere in quali direzioni si spingerà il mercato. Basti pensare all’interesse che stanno dimostrando le compagnie aeree: un’indagine Honeywell rivela che il 61% dei carrier ha intenzione di aumentare nel corso del prossimo anno il budget destinato alle tecnologie ‘Connected aircraft’, e che il 69% impiegherà ancora più risorse nel prossimo quinquennio: d’altra parte l’88% del campione giudica gli investimenti in manutenzione molto o estremamente importanti, impattando direttamente sul consumo di carburante, che concorre per percentuali che vanno dal 20 al 40% sui costi operazionali complessivi di ogni compagnia. A titolo d’esempio, Easyjet ha annunciato di implementare sulla propria flotta, entro il 2018, 50 differenti algoritmi di manutenzione predittiva. Ma il fenomeno è ben più esteso: se nel 2016, a livello globale la Predictive Maintenance sviluppava un giro d’affari complessivo pari a 1,6 miliardi di dollari, secondo un rapporto realizzato da Data Bridge Market Research, fino al 2024 il settore conoscerà una vera impennata, grazie a una crescita del 29% anno su anno.
La predictive maintenance ha bisogno di dati qualificati
Un incremento che va ascritto sia alla componente hardware, legata ai sensori e ai dispositivi che attraverso soluzioni Internet of Things permettono agli oggetti di geolocalizzarsi, misurare i propri parametri e comunicare, sia alla parte software, agli algoritmi, ai sistemi analitici e alle piattaforme di Intelligenza Artificiale (AI), che sono il vero cuore dei sistemi di manutenzione predittiva. È infatti impossibile sprigionare la vera forza della Predictive Maintenance senza poter contare su fonti qualificate di dati. Non parliamo solo di quelli generati dalle interazioni tra le macchine e gli utenti o dai sistemi di connessione M2M (Machine to Machine). Le informazioni prodotte e inviate dagli oggetti connessi sono di per sé utili solo a definire, anche se in tempo reale, uno status quo. Anche solo per trasformarle in insight o notifiche che permettano agli operatori di identificare anomalie o circoscrivere fenomeni a livello macro è necessario elaborare i dati con soluzioni Analytics. Imparare a conoscere i meccanismi e le dinamiche che determinano le une e gli altri, risalendo alle cause, anche remote, e conquistandosi la facoltà di intervenire per modificare il risultato finale implica un passaggio ulteriore, che può essere abilitato solo attraverso il Machine Learning. Ovvero attraverso tecniche di acquisizione di dati da più fonti, interne ed esterne all’organizzazione, che alimentano, istruendoli, i sistemi di Intelligenza Artificiale: serie statistiche sullo storico del funzionamento dei macchinari e delle performance di filiera, dataset relativi a studi di settore comparativi, informazioni contestuali (come temperatura e altri fattori esterni che possono influenzare le prestazioni e l’usura dei componenti), input ottenuti in real time dalle interazioni con altri oggetti e con il mondo fisico. Combinando e confrontando le ricorrenze e le eccezioni determinate dall’incrocio di tutti questi fattori, le piattaforme di AI letteralmente imparano a determinare tramite calcoli probabilistici quale causa comporta quale effetto, e quindi a fare previsioni – sempre più attendibili man mano che aumentano i dati ingeriti – sul modo in cui si comporteranno macchinari e prodotti in situazioni reali e simulate, prevedendo guasti, disservizi e malfunzionamenti. Questo significa passare da un modello di manutenzione protocollare, basato su interventi periodici – e magari non necessari – a un paradigma totalmente nuovo: è il sistema che avvisa, dispositivo per dispositivo, tramite punteggi predittivi, quali criticità e con quali probabilità possono verificarsi, inoltrando notifiche agli operatori che possono valutare la situazione, verificare e intervenire se davvero necessario.
Tutto estremamente interessante, ma, come facilmente intuibile, occorrono grandi repository di dati e grandi capacità di calcolo per trasformare la teoria in pratica. Si potrebbe quindi pensare che la Predictive Maintenance possa essere solo appannaggio di grandi organizzazioni, di imprese strutturate e dotate di asset rilevanti (come per l’appunto le compagnie aeree) per giustificare immobilizzazioni e investimenti. Questo sarebbe vero se non esistessero le soluzioni Software as a Service, disponibili quindi da remoto in Cloud, che abbattono i costi delle infrastrutture on premise e della loro gestione, offrendo anche alle imprese di taglia più piccola la possibilità concreta di fare innovazione sui processi di manutenzione. L’offerta di IBM, Prescriptive Maintenance on Cloud, è un chiaro esempio di come anche gli specialisti delle piattaforme di Intelligenza Artificiale abituati a progetti su larga scala realizzati gomito a gomito con multinazionali e corporation, stiamo modulando la propria proposizione per raggiungere le aree del mercato che soprattutto in Italia hanno un enorme potenziale da liberare in termini di miglioramento dell’efficienza e generazione di valore.