Scenari

Wearable computer, un altro boom in vista per chi sviluppa App?

I dispositivi “indossabili” di nuova generazione, e in particolare gli orologi e gli occhiali “smart”, possono creare un nuovo mercato per il software: il punto è comprendere quali funzioni e applicazioni hanno più senso per prodotti di questo genere

Pubblicato il 07 Ott 2013

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Dopo Notebook, Smartphone e Tablet, un altro “formato” sta per aggiungersi alla fortunata famiglia dei dispositivi hi-tech mobili, ed è il cosiddetto “Wearable Computing”. Siamo ancora nella fase embrionale di questo mercato, e non si può parlare neanche di una piattaforma standard: a parte prodotti di specialisti di nicchia come Pebble e Emopulse (nella foto), finora i prodotti più significativi emersi infatti sono i Google Glass, e il Galaxy Gear di Samsung, che non a caso fanno capo a categorie anche fisicamente molto diverse. Nel primo caso – i Google Glass si portano come occhiali – di parla di “Headset”, nel secondo di “Smart Watch”, ovvero dispositivi da polso. Una categoria, quest’ultima, in cui sarebbe in fase avanzata di sviluppo anche Apple, con un fantomatico “iWatch”, di cui si è già scritto moltissimo anche se Apple non ha mai dato conferme ufficiali.

Molti addetti ai lavori dell’hi-tech si aspettano che i “wearable” possano creare un nuovo fronte per lo sviluppo di applicazioni software, come è avvenuto per smartphone, tablet e Smart TV, ma la prima domanda a cui rispondere a questo proposito è cosa faranno esattamente questi nuovi dispositivi, cioè quali funzioni e applicazioni avranno senso per essi, e quali no.

Google: direttive ben precise per i Glass

I Google Glass

Per i Google Glass sappiamo che Google al momento 2000 sviluppatori e 8000 beta tester stanno sperimentando il dispositivo in giro per gli USA, e che la commercializzazione è prevista nel 2014, ma sempre solo negli USA per il momento. In Europa per esempio non è in corso neanche un programma di beta testing perché Google vuole prima risolvere due ordini di problemi: il riconoscimento vocale, che per ora funziona solo con l’inglese americano, e soprattutto le potenziali problematiche di privacy e sicurezza stradale, ambiti in cui l’Europa ha leggi e regolamenti molto più vincolanti degli USA.

Per quanto riguarda lo sviluppo software, però i Glass negli USA contano già su un rilevante ecosistema, detto “Glassware”: ci sono già decine di App disponibili, principalmente basate su notifiche di news, avvisi, messaggi e post su social network, ripresa e condivisione di foto e video, ricerca e consultazione di mappe e informazioni. Google ha dato direttive ben precise agli sviluppatori: non adattare App già sviluppate per smartphone o tablet, ma sviluppare ad hoc per i Glass, tenendo conto delle mini-dimensioni dello schermo; non includere pubblicità; semplificare al massimo i comandi; lavorare solo su avvisi e notifiche davvero utili e necessari per chi è per strada.

Il dispositivo riceve comandi mediante tocchi sulla “montatura”, movimenti della testa o via voce, e Google insiste sul fatto che lo “screentime”, cioè il tempo in cui il dispositivo richiede l’attenzione dell’utente, dev’essere limitato, permettendo un’interazione “quasi” normale con l’ambiente circostante e limitando al minimo la distrazione.

Smart Watch: user experience che completa lo Smartphone

Il Samsung Galaxy Gear

Quanto agli smart watch, invece, la Technology Review del MIT ha dedicato un interessante articolo all’argomento, intervistando alcuni sviluppatori al lavoro sullo sviluppo di App per il wearable computing, a cominciare da Runkeeper, uno dei componenti del piccolo gruppo di partner chiamati da Samsung a definire le software API e le best practice di sviluppo per il Galaxy Gear, che utilizza come sistema operativo una versione appositamente modificata di Android.

Il punto di partenza, spiega il CEO di Runkeeper Jason Jacobs, è l’approccio scelto da Samsung, per cui lo smart watch deve dare una user experience che completa quella dello smartphone. Questo definisce le linee guida per lo sviluppo. Il principale prodotto di Runkeeper è una Mobile App di fitness per Android e iOS, ma l’App sviluppata per il Galaxy Gear non è un sostituto di quella per smartphone, spiega Jacobs. «E’ piuttosto un controllo remoto, in modo da non dover mai tirare fuori il telefono dalla tasca durante l’allenamento: è la stessa App con gli stessi dati, è la user experience che è diversa, pensata per essere meno intrusiva».

Siamo solo agli inizi, questi prodotti stanno affacciandosi ora sul mercato: non a caso i Google Glass sono ancora in beta, mentre per il Galaxy Gear Samsung parla di “concept device”. Per cui è normale aspettarsi modalità d’uso e applicazioni degli smart watch che ora non riusciamo a immaginare. D’altro canto, mentre un’App di fitness sembra uno sviluppo del tutto logico per uno smart watch, a prima vista è meno immediato capire l’utilità della versione per Galaxy Gear di Pocket, un’App per salvare e condividere articoli e video su smartphone, tablet o computer.

Ma Pocket ha ovviamente tenuto conto delle peculiarità del nuovo device, che ha uno schermo troppo piccolo per permettere di leggere articoli o guardare video, e presuppone interazioni di pochi secondi, almeno per quanto riguarda la vista. Per questo nel caso dell’App per smart watch ha puntato tutto sull’audio: gli utenti possono ascoltare articoli e testi già salvati in Pocket grazie alla stessa funzione text-to-speech già sviluppata per l’App Android della società.

Punto forte le consultazioni immediate, punto debole l’interattività

L’articolo riporta anche il punto di vista diretto di Samsung, secondo cui la carta vincente delle App per smart watch sarà la semplicità. «Abbiamo valutato con estrema attenzione quali funzionalità inserire nell’App che gestisce le chiamate telefoniche sul Galaxy Gear, e il principio guida è che il device deve rendersi invisibile quando non è in funzione – spiega Kevin Packingham, chief product officer di Samsung -: altri device sono molto intrusivi, ma noi preferiamo che l’uso dei wearable sia naturale piuttosto che “di moda”».

In effetti le cose più immediate da aspettarsi da un dispositivo intelligente da polso sono rapide consultazioni di informazioni che non richiedono interazioni con mani e dita, a cominciare da notifiche di tweet, e-mail e messaggi, brevi news, previsioni meteo. Il punto forte di uno smart watch quindi è la consultazione immediata, il punto debole è l’interattività. Non ha senso pensare per esempio di far apparire una tastiera virtuale sullo schermo di un dispositivo del genere, che invece è idealmente molto più adatto a raccogliere dati e informazioni tramite sensori, anche se in questo caso gli sviluppi e le applicazioni possibili sono molto meno prevedibili in questo momento.

Anche la questione del fattore di forma che si affermerà – occhiali, orologio, altri concept, o diversi di questi nello stesso tempo – è impossibile da definire ora. Dal punto di vista dei produttori di software però, conclude Jacobs di Runkeeper, un vantaggio è che il lavoro è almeno in parte indipendente da questo aspetto: «Qualunque wearable device si affermerà, l’importante è che faccia girare le nostre App per milioni di persone; poi che sia un orologio, un paio di occhiali o uno smartphone connesso a dei sensori “annegati” nei vestiti che portate addosso, è un aspetto secondario».

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