L’ecosistema dei wearable device è in continua e rapidissima crescita sotto qualsiasi forma, dai fitness tracker fino agli occhiali “intelligenti”, oltre che trainato dai recenti lanci di smart watch targati Apple e Samsung. Alla base di tutto, risulta evidente come questi dispositivi non possano fare a meno di immagazzinare e sfruttare dati del consumatore per monetizzare i servizi offerti. Infatti la sostenibilità economica dell’ecosistema wearable dipende in maniera cruciale da quanto i clienti condividono i loro dati personali tramite le applicazioni e i servizi usati.
Attenzione, però. Per definizione, la questione del data sharing per servizi di questo tipo è spesso molto delicata. La posizione dell’utente o le statistiche sulla sua salute generate, ad esempio, da un fitness tracker devono rispettare le norme sulla privacy e la sicurezza.
Il Mobile Ecosystem Forum, una delle associazioni internazionali di categoria più importanti di fornitori di Mobile Services, ha raccolto 12 statistiche davvero significative sul tema, suddividendo i dati raccolti in due sotto-blocchi: da una parte – Connected Lifestyle – i numeri che comprovano la veridicità dello sviluppo dei wearable devices. Dall’altra – Consumer Trust – i risultati delle indagini sulla fiducia dei potenziali utenti sulla condivisione di informazioni personali. Ecco i due insiemi nel dettaglio.
Connected lifestyle
1) Secondo le più recenti previsioni di IDC, nel 2015 saranno venduti 45.7 milioni di dispositivi wearable, il 133,4% in più rispetto al 2014 (19,6 milioni).
2) Adobe Digital Index prevede che “si verificherà una domanda inaspettata per Apple Watch”. Da un loro sondaggio risulta che il 27% di un campione di 1000 consumatori che ad oggi non possiedono uno smartwatch molto probabilmente ne acquisterà uno nei prossimi sei mesi. Di questa percentuale, il 67% sceglierà Apple. Un’ipotesi che, va sottolineato, si pone in controtendenza rispetto alle voci che finora hanno bollato come flop lo smartwatch dell’azienda di Cupertino, accusandolo di scarsa utilità, eccessiva dipendenza dall’iPhone, e prezzo troppo elevato.
3) SNS Research stima che le spedizioni di articoli wearable per fitness e sport cresceranno del 28% all’anno per i prossimi 5 anni, fino ad arrivare a 80 milioni alla fine del 2020, e che le vendite di dispositivi wearable nel loro insieme passeranno quota 140 milioni e porteranno ricavi per una cifra intorno ai 30 miliardi.
4) Una offerta assicurativa americana, John Hancock’s Vitality program, offre uno sconto minimo del 15% sull’assicurazione sulla vita ai clienti che scelgono di condividere dati sulla propria salute raccolti da fitness trackers.
5) Uno studio condotto da PwC rivela che più della metà degli impiegati intervistati sarebbe disponibile a indossare uno smart-watch aziendale, se i dati raccolti fossero usati per monitorare aspetti come numero di ore di lavoro, condizioni e livello di stress, e migliorare il loro benessere sul luogo di lavoro.
6) CDW Healthcare stima che, negli Stati Uniti, i dispositivi portatili potrebbero abbattere i costi ospedalieri del 16% entro 5 anni, e le tecnologie di monitoraggio dei pazienti “in remoto” consentirebbero di far risparmiare al sistema sanitario 200 miliardi di dollari nei prossimi 25 anni.
7) Secondo Pwc, il 68% dei consumatori si dice pronto a indossare dispositivi, offerti dall’azienda, che trasmettano dati anonimi a centri di informazione e ricerca, in cambio della riduzione dei costi dell’assicurazione sanitaria.
Consumer Trust
8) Il MEF’s Consumer Trust Report ha mostrato che solo il 13% degli utenti di dispositivi wearable intervistati si dice lieto di condividere i propri dati personali, contro il 21% nel 2013.
9) Secondo una indagine di eTrust su 10mila lavoratori di 8 Paesi, il 22% degli utilizzatori di smart device è convinto che i vantaggi portati da questo genere di oggetti superino eventuali rischi riguardo alla privacy. Tuttavia, la grande maggioranza vuole essere al corrente dell’entità dei dati raccolti e delle modalità di condivisione. Ad esempio, l’87% è fermamente interessato a conoscere la tipologia delle informazioni raccolte.
10) Uno studio di PwC indica che la fiducia è la prima potenziale barriera alla condivisione dei propri dati personali con il datore di lavoro. Un buon 41% non è convinto che il suo capo non possa in qualche modo utilizzare i dati ottenuti contro i dipendenti.
11) Nella stessa indagine, l’82% mostra di temere che questo tipo di tecnologia possa invadere la propria vita privata. Peraltro, l’86% si dice allarmato in quanto questi dispositivi potrebbero facilitare violazioni della sicurezza dei propri dati.
12) Un recente sondaggio di Orange rivela che solo il 6% del campione ritiene che i vantaggi del data sharing siano perlopiù dalla parte dell’utente. Al contrario, il 67% si dice convinto che a guadagnarci siano principalmente le aziende.
«Gli elementi principali del discorso sono due: la raccolta dei dati e il loro utilizzo. Se decidiamo di “scoprirci”, condividere informazioni, serve d’altra parte che le aziende si dotino di politiche molto più chiare sul loro utilizzo. Ogni volta che raccolgono dati infatti aumenta il livello di rischio di tali dati: è inevitabile», conclude Fatemeh Khatibloo, analista di Forrester Research.