La parità di accesso ai dispositivi IoT e alle relative tecnologie dovrebbe essere garantita a tutti i membri della società, a prescindere da dove si trovino, dal loro status socioeconomico o da altri fattori. È uno dei temi chiave affrontati nell’edizione 2023 del report “State of Connected World” che abbiamo cominciato ad analizzare in tutti suoi aspetti salienti. Insieme ai risvolti etici, alla cybersecurity, alla sostenibilità e all’interoperabilità delle architetture, l’“equal access” rappresenta uno dei nodi su cui si sofferma lo studio condotto dagli esperti del World Economic Forum Council on the Connected World. Uno studio che, come già evidenziato nell’articolo introduttivo, si basa su un’indagine che ha coinvolto più di 270 stakeholder globali dell’universo IoT, con interviste a esponenti dei settori pubblico e privato, nonché della società civile, provenienti da 39 Paesi. Tra le priorità indicate dagli intervistati, la parità di accesso alla tecnologia e ai suoi benefici è un’area a cui porre particolare attenzione. La ragione deriva dal fatto che i progressi tecnologici, nell’aprire una serie di potenzialità in grado di migliorare il benessere della società attraverso una pletora di applicazioni in vari campi (sanità, industria, istruzione, commercio ecc.), devono tenere conto di alcuni ostacoli. “Le barriere infrastrutturali, economiche, di competenza e di inclusione ostacolano ancora la capacità di tutti i membri della società di beneficiare pienamente di questi progressi” si legge sul report del WEF.
I principali ostacoli per la parità di accesso all’IoT
Il quadro che emerge dalle risposte del campione è molto chiaro. Il 65%, infatti, dichiara di non essere fiducioso che i dispositivi connessi e le relative tecnologie siano accessibili e vantaggiosi per tutti i membri della società. La maggior parte degli intervistati cita, a tal proposito, le disuguaglianze intrinseche dovute alle condizioni economiche, alla disponibilità di infrastrutture, alla consapevolezza e all’alfabetizzazione digitale. Nel loro insieme, sono le principali cause che impediscono un accesso ottimale ai dispositivi connessi e ai relativi benefici. Un esempio recente arriva dal periodo che ci siamo lasciati alle spalle, quando la pandemia ha spinto verso un utilizzo massiccio delle tecnologie come strumenti necessari per adattarsi alle misure di contenimento della diffusione del coronavirus. Una ricerca dell’OCSE, riportata nello studio, ha stimato che il 70-80% delle piccole e medie imprese appartenenti a 32 Paesi ha subito un calo dei ricavi pari al 30%. Al contrario, le aziende più grandi si sono rivelate più resilienti, grazie alla loro maggiore propensione alla digitalizzazione. Un altro esempio è quello dell’istruzione. Secondo quanto si ricava da un’analisi del Brookings Institution che risale al 2020, i Paesi a basso reddito riescono a offrire solo il 25% di formazione a distanza, contro il 90% dei Paesi ad alto reddito. Le conseguenze di questo divario influiranno certamente sullo sviluppo del capitale umano e sull’economia di quelle nazioni che non hanno accesso a modelli evoluti di apprendimento.
La barriera economica per consumatori e aziende
La barriera economica è una delle ragioni che determina la mancanza di fiducia degli intervistati riguardo all’inclusività delle tecnologie IoT. Basti pensare che il costo di alcuni prodotti, dagli smartphone ai werables più diffusi (tracker sanitari e smartwatch) fino ai prodotti per la smart home, risulta ancora proibitivo per numerose fasce di consumatori. Analogamente, i contesti industriali devono considerare non soltanto il costo dei sensori IoT, che è diminuito nel tempo e corrisponde all’incirca al 30% di una soluzione complessiva Internet of Things. Devono quantificare anche le altre spese che si riferiscono a software, infrastrutture, retrofitting, tempi di inattività pianificati, implementazione e consulenza, canoni di abbonamento e misure di sicurezza. Senza dimenticare che spesso i sistemi frammentati favoriscono pratiche non competitive, come il classico lock-in, che aumentano le barriere e i costi di accesso alle tecnologie. Che si tratti di tecnologie rivolte al mondo consumer o a quello aziendale, l’accessibilità richiede dei prerequisiti che talvolta vengono dati per scontati, cioè Internet e l’energia elettrica. L’International Telecommunication Union (ITU) ha calcolato che nel 2021 il 37% della popolazione mondiale, pari a 2,9 miliardi di persone, non aveva ancora Internet e che 759 milioni di abitanti del pianeta vivevano senza elettricità. Anche in situazioni nelle quali queste due infrastrutture di supporto non sono carenti, non va poi sottovalutato il livello di alfabetizzazione digitale che può differire per reddito, età, sesso e posizione geografica. In più, ci sono altri elementi discriminatori, quali ad esempio la disabilità o i dialetti non standard, che solitamente non vengono contemplati nella progettazione di dispositivi connessi e di soluzioni digitali.
Le soluzioni: dagli investimenti alla normativa adeguata
Il documento del WEF, dopo aver esplorato ciò che impedisce la parità di accesso in ambito IoT, prova a suggerire i rimedi. Il primo è ovviamente quello degli investimenti nelle infrastrutture di base. La Banca Mondiale ha appurato che per ottenere un accesso universale e di buona qualità a Internet nella sola Africa sono necessari 100 miliardi di dollari, di cui l’80% per le infrastrutture di creazione e manutenzione delle reti a banda larga. Esistono dei precedenti virtuosi, come il partenariato pubblico-privato che ha portato alla creazione del cavo sottomarino in fibra ottica Africa Coast to Europe (ACE) che si estende per 17 mila km lungo la costa occidentale dell’Africa e collega 19 Paesi. Il contributo di governi e istituzioni deve essere, oltre che di tipo economico, soprattutto di natura normativa. Occorrono infatti provvedimenti che incentivino gli investimenti dei privati migliorando il regime di concorrenza, introducendo politiche sullo spettro più competitive e armonizzando un quadro regolatorio frammentato. Allo stesso tempo, la politica dovrebbe agire sulla domanda, affinché le persone possano accedere più facilmente alla tecnologia attraverso programmi di alfabetizzazione digitale presenti sin dalla scuola e la sovvenzione nell’acquisto di attrezzature in particolare per quelle comunità emarginate o poco servite.
Le ragioni per essere ottimisti, seppure con cautela
Non mancano ragioni per essere ottimisti, nonostante tutte le innegabili criticità rendano a oggi problematica la parità di accesso alle tecnologie IoT. Il 45% dei rispondenti del report WEF sostiene che negli ultimi tre anni la fiducia sia cresciuta, alimentata dalla scalabilità dei dispositivi connessi e dalla tendenza al ribasso dei prezzi. Fattori che favoriscono l’incremento di quella accessibilità che al momento deve colmare gap di diversa natura. Queste considerazioni si inseriscono in uno scenario di rapida urbanizzazione che, nel prevedere entro il 2050 il raddoppiamento della popolazione mondiale che vive nelle città, prefigura anche un numero maggiore di persone che usufruisce delle infrastrutture digitali. Il che non esclude che si debbano continuare a sviluppare infrastrutture di connettività alternative, come i sistemi satellitari e le community network, per venire incontro al fabbisogno delle aree rurali. Aree che, prima o poi, dovranno essere raggiunte dall’elettricità e da Internet. Se questo accadrà, l’IoT non avrà più motivo per non proliferare anche nelle zone più sperdute della terra. E, con esso, i benefici legati al suo utilizzo.