APM: concentrarsi sulla qualità del servizio

Controllare ‘lo stato di salute’ dei sistemi It è fondamentale per erogare servizi al business e al mercato, ma non è più sufficiente. Perché risulti realmente efficace, l’Application Performance Management deve guardare alla qualità del servizio, partendo dall’end user experience, dalla quale attivare una capacità di controllo e governance end-to-end. Ce ne parla Gianfranco Rizzo, senior business technology architect di Ca Technologies.

Pubblicato il 04 Dic 2013

Si parla ormai di end-to-end Application Performance Management (Apm) per descrivere l’evoluzione che sta avvenendo in queste discipline informatiche sempre più tese alla risoluzione di problematiche, anche in via preventiva, inerenti le prestazioni e la disponibilità delle applicazioni di business lungo tutta l’infrastruttura informativa e non più a silos.

“Tradizionalmente, l’Apm veniva gestito ‘a compartimenti stagni’, ossia con una focalizzazione molto verticale rispetto all’infrastruttura (controllo del networking, monitoraggio del data base, gestione dei server…) e con un controllo governato principalmente da metriche e modelli di analisi tecniche – osserva Gianfranco Rizzo, senior business technology architect di Ca Technologies -. Approcci di questo tipo, benché senz’altro efficaci per il controllo prestazionale tecnico delle architetture, richiedevano numerose risorse dedicate e rappresentavano un enorme ostacolo al raggiungimento di una vista comune e integrata, anche se solo a livello infrastrutturale”.

A parte le difficoltà di avere una visibilità globale sui sistemi It, questi modelli stanno risultando inefficaci anche rispetto alla gestione della qualità dei servizi It erogati alle line of business, al management o agli utenti esterni come consumatori, clienti, partner, internauti eccetera.

Gianfranco Rizzo, senior business technology architect di Ca Technologies

Ecco perché assume un ruolo determinante l’end-to-end Apm dove l’elemento cardine, trainante la strategia e l’approccio tecnologico, è rappresentato dall’esperienza utente.

“Dotarsi della capacità di controllo dell’esperienza utente attraverso un modello di Application Performance Management teso all’end-user experience significa cambiare decisamente prospettiva e passare da un approccio tradizionale volto al controllo delle prestazioni tecniche verso un monitoraggio più mirato alla qualità del servizio reso dall’applicazione – spiega Rizzo -. Da un punto di vista tecnologico, ciò comporta sforzi di integrazione che però portano poi come risultato l’utilizzo di un’unica console di gestione attraverso la quale ‘collezionare’ tutti i dati provenienti dai sistemi per poterne poi fare analisi e correlazioni approfondite. Da un punto di vista organizzativo e di processo, oltre a una riqualificazione delle competenze (per le quali ovviamente sono necessari anche piani formativi e di change management), l’attenzione si sposta sul servizio e quindi anche il processo di analisi e controllo deve essere guidato da una prospettiva differente, ossia dalla comprensione delle interazioni e delle connessioni che esistono tra un particolare sistema It e il servizio di business che poggia su tale o tali sistemi”.

Rispetto alle soluzioni di monitoraggio tradizionali, infatti, che non sempre riescono a identificare e risolvere le cause dei problemi che danneggiano le prestazioni delle applicazioni (perché confinate a un controllo tecnico sulle infrastrutture di base), le tecnologie odierne vanno nella direzione di un controllo esteso a più livelli (dall’analisi dell’utilizzo dell’applicazione da parte dell’utente si scende al controllo dell’architettura applicativa e delle sue funzionalità, per poi correlare anche tutti i controlli a livello di server, storage, rete, data base eccetera), consentendo non solo ai responsabili It di monitorare e risolvere più efficacemente i problemi del livello di servizio, ma anche di ragionare in termini preventivi. “La correlazione di eventi e il monitoraggio integrato consentono ai responsabili It di simulare scenari anticipando la risoluzione di eventuali criticità che potrebbero verificarsi – specifica Rizzo -. Le nostre soluzioni, ad esempio, consentono anche di prevedere numerosi automatismi con i quali ‘attivare’ una serie di interventi al verificarsi di determinate situazioni, preventivamente analizzate e testate, in modo da non avere alcun tipo di ripercussione sul servizio applicativo reso agli utenti e di controllare tutte le criticità dietro le quinte”.

Tale visibilità e controllo richiedono però un cambio anche sotto il profilo delle metriche. “Capire lo stato di salute delle infrastrutture ovviamente rimane fondamentale – conclude Rizzo – ma ciò non è più sufficiente perché, anche con le massime prestazioni tecniche possono verificarsi inefficienze sulla qualità del servizio percepita dall’utente. Accanto a Kpi tradizionali, dunque, serve un monitoraggio più approfondito sulla disponibilità del servizio, l’affidabilità, la sicurezza e le condizioni reali di utilizzo da parte degli utenti. Metriche comprensibili anche agli executive business che, attraverso opportune dashboard personalizzate, possono monitorare i livelli e la qualità dei servizi applicativi per recuperare dati, informazioni e insights utili alle decisioni di business”.

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