Internet of Things: è il momento della Coopetition

Un problema tecnologico, di business, di vision. Perché l’IoT possa esplodere è fondamentale condividere le informazioni, accordarsi sugli standard tecnologici, fare mash-up applicativo. Soprattutto, è necessario che cambi il modello di business: le aziende dovranno accettare che prima
di competere, e per poterlo fare al meglio, è fondamentale cooperare.

Pubblicato il 30 Giu 2014

L’Internet of Things è ormai realtà: non si parla più di scenari futuri, ma di processi avviati e progetti realizzati, sempre più numerosi e complessi; un fenomeno destinato a crescere ancora, come il proliferare di oggetti connessi suggerisce, e che tuttavia ha ancora degli ostacoli da superare perché possa sviluppare pienamente le proprie potenzialità. Quali sono questi ostacoli? Qual è la sfida ancora da vincere perché l’IoT trovi la sua piena definizione?
Se ne è discusso all’M2M Forum 2014 di Milano lo scorso maggio, appuntamento nato addirittura nel 2002 (quando la tematica era agli albori), interamente dedicato al tema Machine to Machine e Internet of Things: “Tra i primi al mondo, se non il primo, a occuparsi di questa tematica”, ha commentato il fondatore Gianluigi Ferri, che ha aggiunto, a proposito di questa edizione: “Da quest’anno l’evento assume un valore ulteriore: con Expo, Milano sarà per sei mesi sotto i riflettori non solo del mondo consumer, ma anche di quello business che, attratto dall’esposizione universale, riteniamo favorirà un cammino che vedrà la città divenire capitale morale dell’IoT e del M2M a livello europeo, non solo durante Expo, ma anche dopo, in modo permanente”. Un contesto ideale dunque per capire a che punto siamo del percorso e quale direzione prendere.
Riportiamo alcune cifre per dare un’idea della portata del fenomeno anche se, vista in alcuni casi la forte discrepanza che emerge confrontando alcuni numeri (si vedano in particolare i dati Gartner e Idc), andrebbero approfondite per capire realmente cosa viene conteggiato dai diversi analisti. Gartner ha inserito l’IoT tra i Top Ten Strategic Technologies Trend per il 2014 e ha stimato che gli oggetti connessi nel mondo saranno 26 miliardi entro il 2020, per un valore di mercato pari a 1,9 trilioni di dollari; più alti i numeri di Idc che parla, sempre per il 2020, di ben 212 miliardi di oggetti e di un valore di mercato di 8,9 trilioni di dollari. Senza andare tanto in là nel futuro, restringendo i confini alla sola Italia, il Politecnico di Milano ha contato, nel 2013, 6 milioni gli oggetti interconnessi tramite rete cellulare, con una crescita del 20% rispetto al 2012 (il valore del mercato raggiunge i 900 milioni di euro, con un incremento del +11%, in controtendenza rispetto alla flessione del mercato Ict in Italia). Anche Saverio Romeo, Principal Analyst per Beecham Research, relatore all’M2M Forum, ha confermato questa tendenza, contando in Europa 40 milioni di connessioni cellulari nel 2013 relative al mondo M2M, numero che prevede salirà a quasi 100 milioni nel 2017. Il fenomeno si snoda su problematiche assai complesse e richiede l’urgenza di risolvere aspetti tecnologici e culturali fondamentali che impattano su questi numeri e soprattutto sul valore effettivo che potranno avere le connessioni che rappresentano.

Verso servizi e spazi intelligenti

Saverio Romeo, Principal Analyst per Beecham Research

Nel contesto di una ricerca svolta per Oracle, spiega Romeo, è stato domandato agli intervistati di scegliere una definizione di m2m: “Prima di quest’anno la risposta più diffusa era stata ‘un insieme di tecnologie che ti aiuta a ottimizzare soluzioni business’; ora la preferenza è cambiata, l’IoT è per la maggioranza ‘un insieme di tecnologie che ti aiuta a creare nuovi servizi’”. Si sta raggiungendo la consapevolezza che la connettività di per sé è poco utile se non viene sfruttato a pieno quello che questa offre: la generazione di servizi. “L’m2m è ormai services oriented”, ha aggiunto Romeo. Accompagna questo spostamento nella presa di coscienza di ciò che è l’IoT, un altro fenomeno significativo: questi stessi servizi, prima per lo più verticali, incentrati su uno specifico settore, diventano sempre più orizzontali, richiedono dati provenienti da fonti diverse: “Passiamo da applicazioni legate a un singolo settore a ‘spazi’ dove coesistono applicazioni differenti, in cui ci sono diverse sorgenti di dati che possono essere usate da più attori per creare nuovi servizi”, spiega Romeo, che sottolina poi come la Smart city incarni bene questo concetto, essendo essa da concepirsi come un “sistema di sistemi” che devono interoperare e interagire, un intrecciarsi di settori. A proposito di “spazi intelligenti” e di soluzioni abilitanti, un’attenzione particolare andrà riservata alle wearable technologies (tecnologie portabili e indossabili, modellate attorno al corpo delle persone): “Non sono semplicemente accessori. Rappresentano l’interfaccia tra noi umani e questi spazi”, dice il ricercatore. Accanto a queste, determinante sarà l’evoluzione delle middleware platforms, software di connettività tra applicazioni, in grado di fornire le astrazioni e i servizi utili per lo sviluppo di applicazioni distribuite: “Queste piattaforme, essenziali per poter arrivare all’orizzontalità di cui si è parlato, stanno subendo un importante processo di miglioramento tecnologico”, sottolinea Romeo, che chiude ricordando come un tema determinante da affrontare in questo percorso di evoluzione sarà quello della sicurezza: una necessità primaria, di fondamentale importanza per chi vorrà mettere in campo soluzioni m2m, e una grande opportunità di business per chi è fornitore di tali tecnologie.

Un problema tecnologico: abilitare il mash-up applicativo

Alfonso Fuggetta, Ceo del Cefriel – Politecnico di Milano

L’ampiezza delle dinamiche connesse all’IoT tendono spesso a distogliere l’attenzione dagli aspetti tecnologici del fenomeno; il fascino legato agli scenari che evoca, e dei progetti che sempre più numerosi stanno sorgendo, fa dimenticare che il percorso, tecnologicamente parlando, non è privo di ostacoli. Alfonso Fuggetta, Ceo del Cefriel Politecnico di Milano sostiene che il problema sia in questa fase assolutamente centrale, e che al momento il freno allo sviluppo di servizi che potrebbero essere fortemente innovativi e di utilità per gli utenti, di applicazioni “di nuova generazione”, sia appunto prima di tutto tecnologico: manca il mash up applicativo.
È necessaria una premessa: cosa si intende per “applicazione di nuova generazione”? Fuggetta lo spiega con un esempio: “Per vedere lo stato delle tengenziali attorno a Milano si devono consultare tre siti diversi che attingono a tre banche dati differenti: ogni società fornisce, tramite il proprio sito, informazioni esclusivamente sulla parte di sua competenza. I tre sistemi non si parlano: è l’utente che dopo la consultazione fa da panel intelligente unendo le informazioni”. È un chiaro caso di applicazione verticale; una di nuova generazione fornirebbe informazioni su tutto il percorso perché sarebbe in grado di attingere ai dati integrati provenienti dalle tre fonti.
È per far questo che è necessario il mash-up applicativo: si dovrà fare in modo cioè che sia possibile creare applicazioni ibride che usino contenuti provenienti da più sorgenti, abilitare una interoperabilità tra i back-end dei sistemi informativi pubblici e privati dando così la possibilità a ciascun sistema informatico di invocare direttamente un servizio offerto da un altro sistema informatico. Perché si possa parlare di IoT sono necessari tre passaggi, prosegue il Ceo: creare informazioni; condividerle con la molteplicità di attori che possono utilizzarle; saperle elaborale. Il secondo passaggio è quello realmente critico: “Troppo spesso le informazioni raccolte vivono in silos verticali all’interno dei quali i dati vengono prodotti e consumati solo da una porzione dei potenziali utenti”. Per evitarlo è appunto necessario, tecnologicamente parlando, separare front-end e back-end, fare in modo che dai diversi sistemi sia possibile accedere per estrarre informazioni; parallelamente sarà fondamentale stabilire degli standard di interoperabilità. Ma quest’ultimo è un problema che ha risvolti anche di carattere non tecnologico e richiede un importante cambio di prospettiva.

L'ecosistema dell'Iot

Gianluigi Ferri, fondatore dell'M2M Forum

Per creare degli standard è necessario accordarsi, trovare spazi di confonto. Alle aziende è chiesto uno sforzo importante: “La parola che meglio descrive il nuovo modello di business che sarà necessario adottare è Coopetition: si coopera sugli aspetti condivisi, si compete nel proporre servizi sul mercato”, dice Fuggetta, che cita come esempio la Gsma (Groupe Speciale Mobile Association), associazione europea di operatori di telefonia mobile e società collegate che sono concorrenti, ma che collaborano per sostenere la standardizzazione e la promozione del sistema di telefonia mobile Gsm. “La vera sfida – dice il Ceo – è creare un ecosistema: una parola che fa paura perché significa che non si può più lavorare da soli, che il maggior vantaggio di tutti arriva dalla combinazione del lavoro di tutti. Sono tanto più competitivo quanto più so integrarmi con gli asset degli altri, sfruttarli combinandoli con i miei”. Da qui l’importanza – accanto alla definizione degli standard – di offrire infrastrutture neutrali, “dove neutrali – spiega Fuggetta – è da intenersi come concetto tecnico ed economico: significa garantire player indipendenti, infrastrutture che possano ospitare qualsiasi applicazione, senza condizionamenti”.
L’esposizione universale è per Fuggetta un esempio virtuoso in questo senso: per Expo sono stati infatti definiti un’architettura di cooperazione applicativa e degli standard condivisi che permetteranno a chiunque farà servizi e applicazioni di potersi scambiare informazioni. “È un ambiente di cooperazione, di mash-up in ambito extranet; un luogo dove soggetti diversi pubblici e privati possono esporre web services seguendo precise regole di definizione delle interfacce e di costruzione delle applicazioni. È un modello di Coopetition, un ecosistema”. È il solo modo per dare a dati e informazioni un valore, per andare oltre le applicazioni verticali e fare quel salto di quaità di cui l’IoT ha bisogno per crescere, non solo nei numeri, ma anche nella qualità dei servizi che offre.

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