Mercati

Mobile advertising: come ristabilire il patto di fiducia tra editori e utenti

Cresce del 53% la pubblicità su smartphone, ma alcuni segnali indicano le criticità che devono essere affrontate, dovute principalmente alla diffusione dei formati più invasivi. Nell’articolo ecco i dati emersi dalla ricerca sul mobile adversiting svolta dagli Ossevatori Digital Innovation del Politecnico di Milano insieme a IAB Italia ai quali è interessante collegare le considerazioni di quest’ultima sulla diffusione degli ad blocker. Emerge la necessità di instaurare con gli utenti un dialogo…

Pubblicato il 07 Mar 2017

Con un valore di 715 milioni di euro, il mobile advertising cresce nel 2016 del 53% sull’anno precedente e aumenta la propria incidenza sul mercato dell’internet advertising (dal 21% al 30%) e sul totale dei mezzi di comunicazione (9% rispetto al 6% del 2015). Sono i dati (figura 1), relativi alla sola pubblicità su smartphone (esclusi quindi i tablet), recentemente pubblicati dagli Osservatori Digital Innovation del Politecnico di Milano e da IAB Italia dai quali emerge anche che è da attribuire al mobile la crescita della pubblicità online (la raccolta su desktop chiude il 2016 in calo). Il mercato risulta altamente concentrato, con la stragrande maggioranza della crescita (88%) legata agli Over the Top (in particolare Facebook e Google); i formati Display (video esclusi) rappresentano quasi la metà del mercato e registrano una crescita del 29% (figura 2).
Nonostante una quota del 30% sia da considerarsi rilevante, risulta però evidente il disallineamento di questo dato con il tempo speso dai consumatori a navigare su smartphone (60%). La ricerca degli Osservatori e di IAB Italia ci aiuta a capire quali sono gli elementi trainanti e quali quelli di freno per gli investimenti in pubblicità sul canale mobile.

Figura 1: Mobile Advertising i Italia: la dinamica del mercato complessivo
Fonte: Osservatori Digital Innovation del Politecnico di Milano, IAB Italia

Pubblicità su smartphone: i fattori a favore

Lo spostamento dell’audience sul canale mobile, determinato anche dal miglioramento della user experience su device mobili, rappresenta ovviamente la causa principale del crescente interesse degli investitori per la pubblicità su smartphone rispetto a quella su desktop. Il Report evidenzia poi una forte crescita delle pianificazioni pubblicitarie multipiattaforma sia con attività dirette (investitore – media) sia tramite piattaforme di Programmatic Advertising. Si tratta di piattaforme tecnologiche sofisticate che gestiscono l’intero processo (dalla selezione del target fino al pagamento); i publisher indicano gli spazi che vogliono mettere in vendita e li immettono nel database della piattaforma, gli investitori inseriscono i loro obiettivi e le creatività, la piattaforma fa il resto. L’intervento umano sembrerebbe ridotto al minimo, ma se è vero che viene superata tutta una serie di attività di routine, rimane strategica l’analisi dei dati: il massimo vantaggio nell’utilizzo di queste piattaforme si ha infatti nella capacità di indirizzare target molto specifici. I decisori delle pianificazioni pubblicitarie così come gli altri attori della filiera, devono quindi avere la capacità di: definire obiettivi chiari; analizzare i dati a disposizione per capire il destinatario più idoneo a un determinato messaggio; monitorare adeguatamente l’andamento delle campagne definendo kpi precisi.

Tra i fattori a favore della crescita del mobile advertising, il Report segnala un aumento degli investimenti ad hoc, indirizzati prevalentemente a formati all’interno di app. Il miglioramento delle performance dei sistemi e delle applicazioni mobile, sia per quanto riguarda il mobile commerce sia per le campagne di lead generation, rappresenta un altro fattore che incide sull’interesse degli investitori.

Quali sono le barriere della pubblicità mobile

La sfida è rappresentata dai formati e dal corretto equilibrio tra invasività ed efficacia della pubblicità. Se la presenza di pubblicità invasive desta irritazione sul desktop, l’effetto su mobile è devastante e il fastidio che provoca può compromettere in modo irrevocabile una campagna. Del resto, come vedremo nella parte finale di questo articolo, i marketer, gli investitori pubblicitari e i publisher devono “combattere” con un loro grande nemico: gli ad blocker, programmi che bloccano la fruizione di contenuti pubblicitari.

Figura 2: La dinamica dei formati di mobile advertising
Fonte: Osservatori Digital Innovation del Politecnico di Milano, IAB Italia

Il Report sottolinea inoltre che sul mobile, la disponibilità di spazi pubblicitari è inferiore al desktop e che bisogna fare attenzione a non consumare (per esempio con Video) quote importanti di traffico degli utenti.

Ecco allora che il Report evidenzia come un fattore critico di successo lo sviluppo di formati pubblicitari mobile first e, soprattutto, limitarne l’invasività: “Bisogna sviluppare formati che creino engagement (e non fastidio) e che garantiscano all’utente un’esperienza ottimale e coerente con il design dello smarthpone”, si legge nel Report.

Tra le altre barriere indicate dagli Osservatori Digital Innovation e da IAB Italia vi è la difficoltà, per alcune grandi aziende soprattutto multinazionali, a riconoscere il reale impatto di un messaggio su mobile a causa della mancanza (in particolare per gli investimenti multipiattaforma) di misurazioni cross-device e delle carenze nell’ambito della certificazione delle campagne (l’inserimento di sistemi di tracciamento nelle pubblicità all’interno delle app, per esempio, è molto oneroso).

Uno spettro si aggira su Internet… si chiama ad blocker

Lo scorso anno, IAB Italia ha presentato un interessante white paper sull’ad blocking che ci sembra particolarmente indicato richiamare in questo articolo data l’ampiezza del fenomeno: a livello mondiale, un’indagine PageFair, azienda che si occupa di analizzare i trend dell’ad blocking, rilevava che nel 2015 erano 198 milioni gli utenti con un Ad blocker attivo (tasso di crescita del 41% rispetto all’anno precedente), di cui 77 in Europa. Il fenomeno è quindi in espansione con evidenti impatti negativi sui risultati delle campagne pubblicitarie: “Il crescente utilizzo di software ad blocker – si legge nel white paper IAB – comporta una progressiva diminuzione dell’inventory pubblicitaria e, di conseguenza, delle revenue generate dalle property dell’editore-concessionaria. Essendo la pubblicità il motore fondamentale (per molti editori l’unico) per la generazione dei ricavi necessari a coprire i costi di personale/ produzione/ pubblicazione/ erogazione di servizi e contenuti offerti gratuitamente agli utenti finali, il fenomeno rischia di compromettere lo sviluppo dell’offerta di servizi e contenuti gratuita e indipendente”.

Le motivazioni che spingono gli utenti a installare programmi che bloccano i contenuti pubblicitari sono sostanzialmente la ricerca di una maggiore tutela della privacy e quella di una migliore performance e velocità della web experience. Per quanto riguarda gli utenti mobile si aggiungono a queste motivazioni la necessità di limitare il consumo di traffico dati, il risparmio energetico della batteria e la ristretta dimensione dello schermo.

Da un’indagine svolta da IAB UK si rileva però un dato interessante: se è vero che nella maggior parte dei casi (43%) gli utenti decidono di installare un ad blocker per filtrare tutti gli annunci, nel 12-13% dei casi interessa filtrare solo gli annunci più intrusivi. Proprio questa sottolineatura, induce IAB ad affermare quanto sia “fondamentale rinnovare il patto di reciproca attenzione e fiducia tra gli operatori della rete, che si impegnano a offrire contenuti e servizi di valore e gli utilizzatori, che devono essere consapevoli che ricchezza di contenuti, molteplicità di voci e libera informazione sono di fatto consentiti dalla pubblicità”.

Per sostanziare queste affermazioni, IAB, a livello globale, ha messo a punto una serie di proposte sintetizzabili negli acronimi LEAN e DEAL.

Il primo riassume 4 principi guida di erogazione e produzione dell’adv nel rispetto degli utenti:

  • Light. Ridurre la dimensione dei file e della data call grazie a rigorose linee guida;
  • Encrypted. Assicurare la privacy degli utenti grazie ad annunci pubblicati tramite HTTPS. Proteggere la comunicazione server-to-server;
  • Ad Choice Supported. Sostenere i programmi di privacy dei consumatori di DAA (Digital Advertising Alliance);
  • Non-invasive/Non-disruptive. Integrare gli annunci nell’esperienza dell’utente e non disturbarla. (Questo include, per esempio, formati che coprono il contenuto delle pagine e con audio on).

Il secondo rappresenta l’impegno degli editori nel riaprire il dialogo con gli utenti:

  • Detect: rilevare la presenza dell’Ad blocker, al fine di instaurare una conversazione;
  • Explain: spiegare lo scambio di valore consentito dalla pubblicità;
  • Ask: richiedere comportamenti che facilitino uno scambio equo (se si chiede, per esempio, di fornire i propri dati a fronte dello scaricamento di un White Paper o altro, bisogna che questo sia effettivamente di valore);
  • Lift: aumentare le restrizioni o Limit: limitare l’accesso in risposta alla scelta del consumatore.

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