Prospettive

Strategie di mobile marketing e advertising, questa la fotografia del Politecnico di Milano

Crescono gli investimenti in mobilità e l’interesse del management per il tema mentre si consolida un approccio sempre più strategico e consapevole. Le imprese si stanno muovendo anche sul lato del mobile advertising, spinte da utenti sempre più predisposti informarsi e a fare acquisti direttamente dai propri smartphone. La fotografia fatta dall’Osservatorio Mobile B2c Strategy del Politecnico di Milano suggerisce anche, però, che i freni non mancano e si potrebbe procedere più velocemente…

Pubblicato il 19 Apr 2016

“È giunto il momento, per le aziende, di abbandonare un approccio al mobile tattico e circoscritto, in favore di uno improntato su di una esplicita strategia: le aziende devono essere in grado di definire chiaramente gli obiettivi, coinvolgere il vertice, misurare il Roi, ridisegnare i sistemi informativi per una corretta fruizione dei dati relativi ai clienti”: parole di Alessandro Perego, Direttore Scientifico degli Osservatori Digital Innovation del Politecnico di Milano, che ha così introdotto l’evento di presentazione dei risultati della Ricerca dell’Osservatorio Mobile B2c Strategy incentrata sul ruolo della mobility nel rapporto azienda-cliente e in particolare sulla misurazione del livello di maturità delle aziende italiane nel processo di mobile trasformation.

Alessandro Perego, Direttore Scientifico degli Osservatori Digital Innovation del Politecnico di Milano

“Il canale mobile ha delle peculiarità importanti, che vanno ben comprese per poterne sfruttare le potenzialità all’interno dei processi multicanali che devono caratterizzare i rapporti impresa-cliente – prosegue Perego, che lascia quindi a Marta Valsecchi, Direttore dell’Osservatorio citato, entrare nello specifico: “Il mobile ha delle caratteristiche che, se ben sfruttate, consentono modalità di ingaggio dei consumatori del tutto nuove, e lo smartphone, in particolare, può diventare un potenziatore importante degli altri punti di contatto”, dice l’analista, che quindi fa un rapido elenco: 1) lo smartphone è l’unico device che l’utente ha “sempre con sé”, quindi è lo strumento più efficace per fare del real time marketing in funzione del contesto in cui il cliente si trova e stimolare un’azione immediata; 2) è un ponte tra mondo fisico e virtuale: nel settore del retail permette di integrare l’acquisto in-store con quello online (per esempio in mancanza di stock) e dà la possibilità di creare meccanismi nuovi di interazione personalizzata con l’utente migliorandone la shopping experience; 3) spesso, sfruttato insieme alla Tv, crea l’opportunità di pensare ad azioni cross-device in maniera più integrata; 4) grazie alla geo-localizzazione, infine, consente di mappare i percorsi degli utenti negli store e sfruttare i dati raccolti per la riorganizzazione dei negozi.

Cresce l’interesse del management, frenato però dalla coopetition interna

Marta Valsecchi, Direttore dell’Osservatorio Mobile B2c Strategy del Politecnico di Milano

Entrando nel merito dei dati – quelli che in particolare riguardano 121 imprese italiane medio-grandi della domanda intervistate tra dicembre 2015 e gennaio 2016 – l’anno passato ha rappresentato una svolta; tra i gruppi creati dal Politecnico per definire l’approccio delle aziende alla mobilità, il più corposo (35% del panel) è quello definito “Work in progress”: “Aziende che nell’anno appena trascorso hanno impostato una chiara strategia e hanno iniziato ad attuarla – spiega Valsecchi – oppure che lo faranno solo nel 2016, ma hanno già costruito le basi, a livello sia organizzativo che di tecnologie”.

Il tema risulta inoltre sempre più trasversale a varie funzioni oltre all’It e al marketing, prova del fatto che il mobile è ormai riconosciuto come un fattore competitivo non più trascurabile. Il 20% circa del panel ha un top management “proattivo” (vedi figura 1 relativamente a questo dato e a quelli qui di seguito citati): crede fortemente al ruolo del mobile sia nel breve che nel medio-lungo termine ed è attivo nella definizione delle strategie; in quasi il 50% dei casi il vertice non è altrettanto propositivo, ma è comunque “propenso” al journey: ha compreso la rilevanza del tema anche se non è sceso in campo direttamente.

Figura 1 – Il Mobile B2c Trasformation Journey: lo stato dell’arte delle aziende italiane analizzate – fonte Politecnico di Milano

“Ma il commitment dei vertici è inutile se non si lavora anche su quello del middle management”, dice Valsecchi, che quindi sottolinea come questo sia nella maggioranza delle aziende effettivamente coinvolto nei processi mobile – il 67% dei rispondenti, in modo più o meno marcato – ma mentre nella metà dei casi si è già intervenuti sull’organizzazione e sulla cultura aziendale per riuscire a lavorare efficacemente, nell’altra metà frena la coopetition tra le figure aziendali: “Sono realtà in cui le figure collaborano – spiega Valsecchi – ma non vengono definiti obiettivi chiari e una precisa governance di progetto, per cui mancano degli interessi comuni e si creano quindi situazioni conflittuali o comunque in grado di generare forti ritardi”.

Si lavora sul back end, ma per l’integrazione dei dati si dovrà aspettare

Giuliano Noci, Professore Ordinario di Marketing del Politecnico di Milano

“La trasformazione del front end, dei punti di contatto quali siti e app mobili, è fondamentale – dice l’analista – ma deve avere alle spalle una re-ingegnerizzazione dei sistemi e dei processi interni all’azienda: tutta la catena del valore va coinvolta”. La consapevolezza è alta: poche però le realtà già con un buon livello di maturità (12%) ma il 77% delle aziende intervistate è comunque attivo: si divide tra aziende che hanno già avviato assessment o progettualità in tal senso e altre definite “in cerca di buget”, “che si stanno interrogando – spiega Valsecchi – su quali sono i processi da rivedere, qual è il valore aggiunto che si potrebbe ottenere, quali sono i costi di investimento”. “Meritano una particolare attenzione – aggiunge l’analista a questo proposito – gli investimenti sulla creazione di una vista unica del cliente [sistemi per l’integrazione dei dati provenienti da Crm, sistemi di cassa, e-commerce, siti web, Mobile app, Social Network, carte fedeltà ecc. – ndr]: molte aziende ci stanno lavorando ma in tanti casi serviranno due o tre anni per raggiungere l’obiettivo”: è un cammino che può portare molto valore, ma che la maggioranza delle imprese ha al momento solo abbozzato o avviato, per cui non si prevedono effetti rilevanti nel 2016. Valsecchi considera questo aspetto, al momento, uno dei principali freni al journey, insieme a un tema culturale: “In Italia c’è una scarsa capacità del management di affrontare i rischi legati all’innovazione: con la consapevolezza che la direzione del mercato è chiara, ci si deve muovere accettando di non avere piene garanzie”. Per meglio comunicare alle aziende la vera natura del percorso mobile, potrebbe anche essere utile “bandire” l’aggettivo “digitale” che generalmente lo accompagna: “Non si può più parlare di ‘percorso digitale’ come se fosse una cosa a sé – dice Giuliano Noci, Professore Ordinario di Marketing del Politecnico di Milano – perché non c’è un distinguo tra canale fisico e non fisico: è l’esperienza che viene data al cliente il vero obiettivo da tenere presente, a cui si lega un unico percorso di trasformazione”.

Competenze e maturità degli asset

Figura 2 – La mappatura delle aziende analizzate per digitalizzazione processi e competenze Mobile – fonte Politecnico di Milano

Buono lo stato di avanzamento per quanto riguarda gli asset (mobile app e siti) dal momento che ben il 30% del panel è già in una fase avanzata della strategia che l’azienda si è prefissata: gli asset implementati sono stati sviluppati per raggiungere obiettivi precisi, si è posta attenzione all’experience e ci si muove con forte consapevolezza.

Un aspetto ancora trascurato dalla gran parte delle realtà è però la content strategy: “Non si può pensare di prendere contenuti già esistenti e riadattarli; occorre trovare linguaggi specifici”, spiega l’analista, che porta poi l’attenzione anche sul tema degli skill: solo un 7% delle realtà ha competenze specifiche elevate o sufficienti ad affrontare il journey; un dato che fa riflettere, soprattutto se si considera – come risulta evidente nella figura 2, utile anche per una visione di sintesi della ricerca – che le competenze, insieme al livello di digitalizzazione dei processi, risultano strettamente collegate allo stato di avanzamento delle aziende sul piano della cultura mobile e dello stato degli asset: a chi vuole primeggiare, nessuna di queste qualità può mancare.

È tempo di mobile advertising

Figura 3 – Mobile Advertising: la dinamica del mercato – fonte Politecnico di Milano – Iab Italia

“Sono 22 milioni, secondo i dati Audiweb, gli italiani tra i 18 e i 74 anni che navigano mensilmente da smartphone e tablet, uno su due della popolazione di riferimento – dice Valsecchi, che quindi ricorda – tornando ai dati degli Osservatori Digital Innovation – che oltre il 70% del tempo in cui gli utenti navigano lo fanno ormai in mobilità. Secondo una ricerca Doxa che completa il report del Politecnico, i mobile surfer non solo aumentano, ma diventano utenti sempre più “preziosi”; più di 3 su 4 navigatori utilizza lo smartphone per prendere decisioni di acquisto: il 60% lo sfrutta nella fase pre-acquisto per informarsi, il 40% all’interno del punto vendita, il 29% post-acquisto (per richiedere assistenza, consultare servizi sottoscritti, gestire carte fedeltà ecc.) e più del 40% per acquistare direttamente in mobilità; quest’ultimo dato è in linea con quelli dell’Osservatorio eCommerce B2c dello stesso Politecnico, per cui il valore delle vendite on line provenienti da smartphone cresce nel 2015 fino a toccare il 10% del totale e-commerce italiano.

Lato utenti, dunque, un mercato in fermento; cosa fanno invece le imprese sul piano del marketing pubblicitario? I dati sono nuovamente del Politecnico: nel 2015 il mobile advertising cresce rispetto al 2014 di più del 50% (figura 3) raggiungendo i 462 milioni di euro e vale il 21% dell’internet advertising: “È un mercato florido per tutti – puntualizza Valsecchi a questo proposito – ma i grandi numeri sono ancora nelle mani dei cosiddetti Ott, come Google e Facebook”.

I dati suggeriscono anche che le crescite maggiori riguardano i social network (“Oggi il 60% circa degli investimenti pubblicitari sui social sono verso il mobile, che è l’unica vera piattaforma che in questo momento riesce a monetizzare in maniera efficace lo spostamento significativo di audience dal mondo desktop al mondo mobile”, dice Valsecchi) e il formato video e Rich media, su cui raddoppiano gli investimenti.

Esistono tuttavia diverse aree di miglioramento: ancora poco sfruttate le opportunità legate all’iper-profilazione degli utenti, al marketing real-time contestuale e a modelli di attribuzione delle performance cross-device: “Essere in grado di dare valore alla mobility – spiega l’analista – riconoscendo l’importanza del suo ruolo anche nelle fasi pre e post acquisto, può fare la differenza”; una maggiore sensibilità in questo senso rappresenterebbe un forte incentivo alla crescita degli investimenti.

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