Connettività diffusa e AI, motori dell’economia. È il pilastro attorno a cui la Cina è cresciuta finora, difendendo le sue “interpretazioni” delle nuove tecnologie. Imperturbabile continua a farlo, ma con una particolare attenzione al mondo dell’information technology e della sicurezza. Il Governo ha dichiarato che questo settore, dal 2023, deve crescere velocemente e, dal 2035, deve prosperare.
Non bastano nuove strutture, cercasi imprese innovative leader o emergenti
La strategia è racchiusa in un programma creato per raggiungere due ambiziosi risultati: crescita annua del 30%, 15 miliardi di yen (22 miliardi di dollari) di entrate annuali entro il 2025.
È stato reso pubblico nelle scorse settimane, con un nome curiosamente fumoso e ingannevole: “Pareri guida di sedici dipartimenti, tra cui il Ministero dell’Industria e della Tecnologia dell’Informazione, sulla promozione dello sviluppo del settore della sicurezza dei dati”.
Il contenuto, al contrario, è pragmatico, e non lascia spazio a interpretazioni. Il Governo costruirà cinque laboratori di sicurezza, dai tre ai cinque parchi industriali nazionali per la data Security, e dieci aree dimostrative avanzate per le applicazioni più innovative.
Questo lato strutture, per coinvolgere le imprese, invece, guarderà alle leader e a quelle che storicamente supportano la competitività internazionale, ai piccoli campioni nazionali del settore ai futuri unicorni di IT e/o Security. C’è da creare una squadra robusta, varia e nazionale per lo sviluppo di nuovi prodotti e per migliorare la sicurezza delle offerte esistenti. Ogni volta si dovrà ottenere l’okay del sistema nazionale di test e valutazione della sicurezza dei dati, per poi soddisfare la domanda interna.
Ambizioni su mercati e tavoli decisionali internazionali
Che valga “prima la Cina” è chiaro, ma in futuro, da super potenza, il Regno di Mezzo mira a creare prodotti che attraggano il mercato globale. Oggi sembra impossibile vincere le diffidenze sull’hardware cinese legate ai rischi di sicurezza, ma il Governo si mostra ottimista, sul lungo periodo. Ugualmente lo è su standard e risultati delle certificazioni: se non una convergenza, almeno vuole ottenere un reciproco riconoscimento. Se la Cina non si mostra disponibile a ripensare alla sua visione di Internet come rete facilmente controllabile, tutto ciò, oggi, resta un’utopia. Qualche consenso potrebbero arrivare forse solo dai partecipanti all’iniziativa “Belt and Road”.
Lo scenario potrebbe essere totalmente diverso nel 2035, anno in cui il programma si concluderà consegnando ai cittadini cinesi un Infosec prosperoso e potente. In Cina, le tecnologie di base e lo sviluppo dei prodotti chiave avranno compiuto tanti passi in avanti, la consapevolezza e le capacità di applicazione dei nuovi strumenti saranno diverse. Attorno alla Cina, ben differenti potrebbero essere gli equilibri politici, strategici ed economici mondiali, e anche le politiche industriali tech di ogni singolo Paese.
Oggi fare previsioni per il 2035 è pressoché inutile, meglio invece notare – e far notare – come il Regno di Mezzo sappia sempre vendersi molto bene (e fare pressing “psicologico”). Contestualizzando il suo annuncio nel mercato infosecurity mondiale, i 22 miliardi di dollari sono “una quota misera” del mercato infosec, rispetto al suo peso economico e demografico. Gartner, infatti, ha stimato per il 2023 una spesa globale nel settore di 183 miliardi di dollari. La Cina rappresenta circa il 18% dell’attività economica e della popolazione mondiale e, il 18% di 183 miliardi di dollari equivale a 33 miliardi di dollari. Non a 22.
Si può comunque sperare che USA e UE non facciano tali conti e, grazie allo spauracchio cinese, trovino coraggio e risorse per supportare l’industria infosec da subito.