BOLOGNA – Elaborazioni di dati di differente tipologia che arrivano continuamente da sistemi social, indicatori della user experience, IoT per accompagnare il cliente nel “digital journey” e quindi migliorare l’offerta di servizi e prodotti aziendali. Questa è una delle potenzialità dei sistemi cognitivi ricordata da Stefano Uberti Foppa, Direttore di ZeroUno, nell’introduzione all’Executive Cocktail Sistemi cognitivi: come sfruttarli per accelerare il business , organizzato a Bologna da ZeroUno in partnership con Dedagroup, dedicato agli impieghi pratici dell’intelligenza artificiale negli ambiti di business: “CRM, supply chain, sistemi informativi, security… Una volta correttamente istruiti e integrati, i sistemi cognitivi cambiano il rapporto tra macchine e persone, facilitando il presidio delle informazioni e coadiuvando il supporto decisionale”, ha proseguito Uberti Foppa.
C’è un buon motivo per prendere in considerazione i sistemi cognitivi: tecnologie e algoritmi che pochi anni fa erano appannaggio dei laboratori di ricerca sono oggi accessibili in cloud, pronti per essere utilizzati dalle aziende che stanno affacciandosi al mondo digitale, oppure sono in cerca di differenziale competitivo per restare sul mercato. “Ma come è successo per altre tecnologie innovative, per essere utili i sistemi cognitivi devono trovare terreno fertile fatto di competenze e interesse alla sperimentazione, aspetti di cui i sistemi informativi devono essere promotori, portando avanti nuove idee, operando in stretto rapporto con i reparti business e i partner tecnologici, favorendo una cultura dell’analisi della complessità che non è ancora così diffusa”, ha sottolineato il direttore di ZeroUno.
AI per tutti, ma senza illusioni
Per Piero Poccianti, consorzio operativo Gruppo MPS e vice presidente Associazione Italiana di Intelligenza Artificiale, i sistemi cognitivi sono oggi una risorsa importante a patto di dosare le aspettative e non farsi prendere dalle infatuazioni di cui questa tecnologia è già stata al centro: “La possibilità di emulare alcune facoltà umane ha illuso di essere vicini a traguardi che poi non sono stati raggiunti. Lontano dall’imitare l’intelligenza umana, l’AI ha ottenuto ottimi risultati sul fronte degli ‘idiots savant’ ossia delle macchine che, in contesti ristretti e ben focalizzati, eguagliano o superano le capacità dell’uomo”. La gestione efficace di strumenti sub-simbolici che emulano il comportamento dei neuroni del cervello permette a macchine intelligenti di fare piani, imparare cose oppure trasferire conoscenza.
L’attuale tecnologia è figlia degli esperimenti del 1980, un sistema esperto della Stanford University per diagnosticare malattie del sangue e suggerire le cure: “Ma che aveva bisogno dell’esperto umano per tradurre la conoscenza nel linguaggio della macchina; lavoro che doveva essere protratto nel tempo per mantenere l’efficacia”, ha precisato Poccianti. Un problema risolto dal Parallel Processing Group del MIT con un algoritmo che addestrava le reti neurali a più strati [nelle reti neurali a uno strato (i neuroni della rete sono organizzati in strati) abbiamo i nodi di input (input layer) e uno strato di neuroni in uscita (output layer); il segnale nella rete si propaga in avanti in modo aciclico, partendo dal layer di input e terminando in quello di output; non ci sono connessioni che tornano indietro e nemmeno connessioni trasversali nel layer di output. Nelle reti a più strati, tra lo strato di input e quello di output abbiamo uno o più strati di neuroni nascosti (hidden layers); ogni strato ha connessioni entranti dal precedente strato e uscenti in quello successivo; questo tipo di architettura fornisce alla rete una prospettiva globale in quanto aumentano le interazioni tra neuroni. ndr], “ed è la tecnologia che si utilizza oggi con le deep neural network da centinaia di strati, responsabile della nuova primavera dell’AI”. Questo perché la potenza di calcolo non è più un problema e non solo grazie alla legge di Moore (la potenza delle CPU raddoppia ogni 18 mesi): “Si possono impiegare processori grafici GPU con centinaia di core, logiche programmabili FPGA e servizi cloud per avere la potenza utile ai più complessi algoritmi. Per costruire le basi di conoscenza non serve neppure disporre di dati propri, in molti casi può bastare Internet”.
Sistemi cognitivi: dalla teoria alla pratica
“Gli strumenti di intelligenza artificiale ricordano la magia e, come nelle favole, occorre esprimere il desiderio giusto per non finire male”, continua Poccianti. “E per non correre questo rischio è importante avvalersi di partner o consulenti esterni che sappiano trattare questa materia”.
Un altro problema è di natura etica: le macchine possono decidere da sole, ma non è detto che sia auspicabile farglielo fare. “Nei Decision Support System la macchina dà suggerimenti e lascia alle persone le decisioni. In alcuni sistemi, per esempio quelli per la guida autonoma, questo non è possibile e la macchina deve decidere cosa fare in caso di collisione imminente, sollevando aspetti etici e di responsabilità. Gli impatti sull’economia e sulla società sono inevitabili”. Nei progetti aziendali, l’AI non può essere implementata con il tradizionale approccio waterfall, ossia con progetti fatti di analisi, disegno, coding e testing. “L’AI va approcciata con metodo agile: si fa un prototipo e si procede poi in modo interattivo e incrementale, scoprendo altre cose che si possono fare. Se mancano elementi ci si ferma e in ogni caso non si sono sprecate troppe risorse [utilizzando il cloud come fonte di potenza elaborativa, ndr]”, ha spiegato Poccianti, che ha ricordato le applicazioni abilitate dai sistemi cognitivi: “Strumenti colloquiali a supporto di assistenti automatici che apprendono dalle interazioni esistenti fino ad assolvere alle esigenze dei call center di primo livello. Ci sono assistenti per diagnosi e raccomandazioni sanitarie, avvocati robot per pratiche ripetitive, supporti a portatori di handicap, tool per verificare se nelle aziende i processi sono conformi con quelli descritti, sistemi per ricerca sociale, analisi dei volti per capire lo stato emotivo delle persone”. Ci sono oggi enormi investimenti su device intelligenti anche se alcuni studi sull’adozione a medio e breve termine nelle imprese mostrano cautela: “Sono ancora poche le aziende che hanno concretamente fatto qualcosa e ancora meno quelle che hanno definito una strategia. La tecnologia è giovane, occorre sperimentarne le opportunità e i limiti, facendo progetti incrementali, senza troppe aspettative. Solo in questo modo si otterranno risultati”, conclude Poccianti.
Il caso Comet: dalla chatbot a tanto altro…
Di risultati ha parlato Enrico Bellinzona, Operation Manager di Dedagroup, esperto nei percorsi di trasformazione digitale delle imprese che riguardano marketing automation, Industria 4.0, IoT e sistemi intelligenti. “L’AI è un tema d’avanguardia, destinato ad avere un sicuro impatto in futuro su aziende e individui. Ha senso affrontarlo in chiave sperimentale, cercando di capire come può essere declinato al meglio nella realtà d’impresa per generare vantaggio competitivo”. Cominciando dagli strumenti concreti che consentono alle macchine di comprendere la voce, elaborare immagini, confrontare e selezionare informazioni in grandi moli di dati, per identificare pattern, cluster ecc. “Sistemi che non mirano a sostituire l’essere umano, ma a supportarlo nelle decisioni, evitando lavori ripetitivi, migliorando i processi”. Il metodo più efficace, secondo Bellinzona, è partire da idee esistenti, design thinking e quindi si individuano i progetti realizzabili: “Non cerchiamo progetti grandiosi. La nostra metodologia prevede di individuare un tema e svilupparlo man mano che si scoprono le potenzialità. Procedendo per gradi, il successo è facilmente misurabile”.
Una delle applicazioni più mature dell’AI riguarda i sistemi conversazionali con i quali sono realizzati i virtual assistant sul modello di Siri di Apple. Dedagroup ha affiancato Gruppo Comet, società attiva nel CentroNord con punti vendita di elettrodomestici e materiale elettrico, nei progetti di sperimentazione dei sistemi cognitivi: “L’e-commerce è un’attività in forte crescita nel Gruppo e circa un anno fa abbiamo pensato di creare un chatbot in grado di rispondere alle domande dei clienti nel post vendita”, ha spiegato Roberto Caprini, CIO di Gruppo Comet. Il sistema, realizzato con Dedagroup usando la tecnologia IBM Watson, risponde in linguaggio naturale a domande come: dov’è il pacco? Quali sono gli orari di ritiro in negozio? Oppure che richiedono dettagli sulle spedizioni. “La chatbot risolve dalle 100 alle 150 richieste al giorno e poiché siamo molto soddisfatti, abbiamo deciso di estenderlo ai suggerimenti d’acquisto”, ha precisato Caprini. Questa parte, non banale nella sua funzione, sarà realizzata con domande successive, dando accesso a un database con le caratteristiche dei prodotti in aggiunta alle connessioni che già permettono la consultazione della logistica aziendale. Un altro progetto che ha impegnato il reparto IT di Gruppo Comet ha riguardato la selezione delle e-mail promozionali: “I sistemi cognitivi ci hanno permesso di ridurre da 400 a 170 mila le e-mail promozionali inviate a clienti, aumentando i risultati di vendita”. Un’ulteriore sperimentazione avviata in un negozio dell’area torinese mira a raccogliere informazioni sulle abitudini dei clienti attraverso sensori. “L’obiettivo è arrivare entro la fine del 2018 con un sistema capace di individuare gli interessi del cliente e inviare promozioni davvero mirate. Grazie a Dedagroup e all’uso del cloud non abbiamo dovuto reperire competenze o ulteriori risorse. È stato fondamentale il coinvolgimento con il marketing e altre persone in azienda, dedicare del tempo e avere voglia di sperimentare”.
Nel corso del Q&A in coda all’evento sono state fornite risposte alle curiosità dei convenuti. Un problema comune riguarda oggi la preparazione del dipartimento IT e in generale dell’azienda per sviluppare progetti lungimiranti di cognitive computing: “La soluzione è impostare i progetti in modalità leggera, agile – ha spiegato Poccianti -, combattere le resistenze culturali coinvolgendo persone che altrimenti vedrebbero con timore l’innovazione”. L’IT deve essere protagonista del cambiamento: “Deve avere visione strategica sulle direzioni dell’azienda e operare perché si liberino le risorse per la sperimentazione – ha precisato Bellinzona -. Oltre alle risorse servono poi innesti culturali e tecnologici per rimanere in mercati sempre più sollecitati da outsider del mondo digitale. Le tecnologie cognitive in questo contesto rappresentano un fattore davvero differenziante”.