Disaster recovery in termini di continuità operative rappresenta il lato B della governace IT. Il lato A è la definizione di un piano di ripristino elaborato in base alle capacità di un’azienda di comprendere tutto l’orizzonte possibile di eventi disastrosi e stabilire una gerarchia di interventi bilanciando una valutazione dei rischi ma anche dei budget.
Disaster Recovery: come e perché in cloud è meglio
In questo senso, secondo il rapporto Annual Outage Analysis 2021 dell’Uptime Institute, il 40% delle interruzioni alla continuità operativa aziendale costa tra 100mila dollari e 1 milione di dollari, considerando anche che circa il 17% costa ben oltre il milione. Una violazione dei dati può risultare ancora più costosa. Gli analisti del Ponemon Institute nella loro analisi intitolata “Cost of a Data Breach” raccontano come nel 2020 il costo medio di una violazione dei dati è stata pari a 3,86 milioni di dollari. Per garantire sempre e comunque la business continuity, il Disaster Recovery as a Service si conferma l’approccio più funzionale e strategico perché consente a qualsiasi azienda di disporre di datacenter dislocati in zone geografiche remote, con connessioni dedicate. Alcune soluzioni consentono di mantenere spenti gli ambienti di DR (e quindi non sostenere costi) finché non necessario. Questo è più o meno applicabile a seconda della strategia di DR che si sceglie e, in sostanza, dai valori che si fissano per due parametri fondamentali che sono RTO (Recovery Time Objective) e RPO (Recovery Point Objective).
In questo podcast gli esperti spiegano più nel dettaglio vantaggi e opportunità del Disaster Recovery As a Service, entrando più nel dettaglio in merito a vari modelli di fruizione, ovvero DRAAS self-service, DRAAS assisitito o DRAAS gestito), aiutando così a comprendere meglio l’orizzonte delle opportunità.