Che cosa è l’AI, ma anche e soprattutto che cosa non è e quali sono le applicazioni pratiche dell’intelligenza artificiale?
L’ultima edizione dell’Osservatorio Artificial Intelligence del Politecnico di Milano dà uno spaccato attendibile delle cifre, delle tecnologie e delle tendenze più recenti riconducibili nel suo alveo. Come di consueto, in occasione dell’uscita, è stato chiesto ad alcuni esponenti di rilievo del mondo economico e scientifico di portare la propria testimonianza sull’argomento. Il che è avvenuto durante la tavola rotonda dal titolo “Il mercato e le applicazioni di AI” all’interno del convegno Artificial Intelligence: Learn to fly! durante il quale sono stati presentati i risultati della ricerca e che è stato condotto in tandem da Giovanni Miragliotta e Alessandro Piva, direttori dell’Osservatorio. Entrambi hanno chiesto ai relatori non soltanto di commentare i dati emersi dallo studio, ma anche di confrontarli con le rispettive esperienze all’interno delle organizzazioni di appartenenza. Ne è emerso un quadro a tutto tondo dello stato dell’arte dell’intelligenza artificiale dalla viva voce di chi oggi la utilizza concretamente in azienda.
Mediaset: ecco le nostre attuali applicazioni pratiche di intelligenza artificiale
A rispondere per primo alle domande di Miragliotta è stato invitato il responsabile del dipartimento di innovazione del principale network televisivo privato italiano che ha portato una delle 3 testimonianze di applicazioni pratiche dell’intelligenza artificiale.
Davide Filizola, Head of Innovation Department di Mediaset, ha spiegato come l’AI oggi ricopra un ruolo fondamentale nel definire la programmazione dei palinsesti. “Alcuni personaggi – ha esordito – come Barbara D’Urso, Barbara Palombelli o Mario Giordano utilizzano i sistemi di intelligenza artificiale che abbiamo sviluppato nell’ambito dell’area di innovazione. Un nostro sistema per esempio suggerisce quali sono gli argomenti più interessanti di cui parlare e prevede quali sono quelli che genereranno più interesse. Abbiamo anche sviluppato un algoritmo per decidere cosa inserire in palinsesto durante le prime serate”. Questo non significa che i conduttori si orientino soltanto sulla base dei risultati offerti dai sistemi AI, ma che scegliere di mandare in onda una trasmissione in un determinato giorno della settimana è una decisione supportata dall’intelligenza artificiale che può prevedere quale sarà l’audience.
Su quale sia il patrimonio informativo utilizzato, con le relative fonti, Filizola ha precisato che si tratta di dati interni che risalgono al 2012, quindi inerenti la storia della televisione. “Poi a un certo punto abbiamo capito che non bastavano e adesso utilizziamo dati che provengono da fuori, da Internet e dai social. Alcuni argomenti per esempio divisivi, che creano discussioni sui social, portati in televisione funzionano”. Non sempre i sistemi di intelligenza artificiale sono perfetti. “Un algoritmo ci consente di sapere, mentre c’è una trasmissione live, come sta andando in termini di audience. E, sulla base di questo, in regia possono per esempio ridurre lo spazio di una persona se ci si rende conto che sta annoiando. Questo ha proprio cambiato il modo di fare trasmissioni live. E anche se l’algoritmo ogni tanto sbaglia, accettiamo l’errore”.
L’AI in RAI: dalla sottotitolazione all’analisi delle news
Molto diverso l’approccio al medesimo tema di Alberto Messina, Coordinatore Area di Ricerca su AI del Centro Ricerche Innovazione Tecnologica e Sperimentazione della RAI. “Poiché la nostra è un’azienda – ha sottolineato Messina – governata sostanzialmente da finanziamenti pubblici, la responsabilità è la prima cosa che dobbiamo mettere sul tavolo di questo genere di tecnologie, ancora prima dell’audience”. In casa RAI le applicazioni di intelligenza artificiale sono iniziate nel Duemila, con il primo motore di riconoscimento del parlato. Da allora la tv pubblica ha seguito tre criteri nell’adozione di tecnologie AI: “Per noi anzitutto è fondamentale individuare qual è lo use case, per cercare di capire in quale processo è utile. Dopo di che è anche essenziale verificare le reali performance di questi oggetti che sono senz’altro eccellenti se valutati su degli insiemi di dati standard, ma lo sono decisamente meno quando si prova a usare gli stessi modelli su dati industriali. Il terzo elemento è quello dei costi, che si collega ovviamente a quello della responsabilità. Prima ancora di valutare se e come fare un servizio basato sull’intelligenza artificiale, è molto importante una valutazione comparata con l’analogo processo manuale o poco assistito da tecnologie AI”. Messina ha citato a tal proposito l’area della sottotitolazione automatica, dove “non c’è un’evidenza sperimentale che utilizzare una filiera automatica di speech-to-text di correzione e validazione dei sottotitoli sia più conveniente rispetto ad avere un buon sottotitolatore”. Mentre, come caso di applicazione virtuosa, ha riportato l’analisi delle news, con un miglioramento nell’organizzazione e nella clusterizzazione di tematiche che oggi forniscono all’azienda una base valida di business intelligence. A queste considerazioni si accompagna la questione dell’approvvigionamento per la quale “c’è bisogno di skill e competenze non banali, perché scrivere capitolati tecnici per l’intelligenza artificiale è estremamente complesso”.
Portare l’AI in tutto il business aziendale, le applicazioni pratiche di intelligenza artificiale in Generali
Il percorso che ha svolto, invece, Generali Italia è stato illustrato da Valeria Verzi, Senior Data Scientist del gruppo assicurativo: “Siamo partiti nel 2017 con un piccolo team di tre persone – ha raccontato la Data Scientist – con l’ambizione di cercare di portare queste nuove metodologie all’interno di tutto il business di Generali Italia”. I primi progetti hanno avuto per oggetto l’analisi del churn del cliente, “cioè dello score di propensione di abbandono del cliente dalla compagnia o di non rinnovo di una polizza in scadenza. Chiaramente, il vincolo più grande davanti al quale ci siamo trovati è stato quello del dato. Il primo anno è stato difficile proprio perché abbiamo dovuto integrare i dati presenti in sistemi diversi, ma siamo riusciti ad arrivare a fine anno con tre prodotti che abbiamo messo in produzione”. Dalle iniziali sperimentazioni condotte su applicazioni di machine learning e di business intelligence classica, il gruppo di ricerca si è ampliato fino agli attuali quaranta fra data engineer e data scientist che hanno messo ormai in produzione una trentina di modelli, occupandosi di algoritmi più complessi. “Adesso sviluppiamo natural language processing, deep learning, analisi su grafo. Tutte applicazioni non facili, ma siamo arrivati fino a qua proprio perché siamo riusciti a entrare in tutto il business. Oggi lavoriamo con il marketing, con gli attuari, con l’antifrode e abbiamo una adoption a 360 gradi all’interno dell’azienda”.
Cresce maturità e polarizzazione tra le aziende secondo Accenture
A Marco Siciliano, AI Engineering Lead for Europe di Accenture, Alessandro Piva ha chiesto se dal punto di vista cross-country e cross-market della sua organizzazione i risultati dell’Osservatorio fossero confermati e se c’è una tecnologia AI che emerge sulle altre. “Il tema dei robot parlanti suscita in noi suggestioni bibliografiche e filmografiche – ha risposto Siciliano -, ma secondo me sta emergendo il fronte degli advanced analytics e della capacità di supportare decisioni strategiche rispetto alla gestione dei clienti, del business, della riduzione del rischio anche in termini regolatori”. Assieme a natural language processing e computer vision, l’advanced analytics rappresenta uno dei filoni su cui Accenture è focalizzata.
“La lista che voi avete dato – ha continuato Siciliano – sui mercati, le industry e le applicazioni delle AI è molto interessante e la condividiamo. Uno degli aspetti principali che osserviamo è un crescente grado di maturità. Il secondo è una polarizzazione, che ho riconosciuto anche nel vostro report, tra quelli che noi abbiamo definito i soggetti che vanno a scala e quelli che, viceversa, a scala non ci vanno o non iniziano proprio”. Questa polarizzazione, secondo Siciliano, si ricava da dati quantitativi che evidenziano come “chi ha fatto negli scorsi anni investimenti e sta andando in una logica industriale delle applicazioni di intelligenza artificiale ha un ritorno sull’investimento tre volte maggiore di chi, viceversa, è rimasto nella fase di laboratorio”. Tanto che i soggetti che stanno affrontando il tema in maniera sistematica si stanno ponendo dei problemi che prescindono dalla tecnologia, vale a dire: il modello organizzativo e operativo all’interno dell’azienda, il tema della data governance, quello della cultura aziendale. In questo quadro emergono le sfide di chi ha intrapreso il percorso, sfide che vanno dall’approvvigionamento dei talenti alla ricerca del budget con la relativa capacità nel valutare l’investimento giusto.
Come guidare le imprese nella scelta dell’AI, il parere di OpenText
A chiudere la tavola rotonda è stato chiamato Antonio Matera, Regional Sales Director Italy, Greece & Cyprus di OpenText. “Il nostro punto di vista è quello di un software vendor che affianca l’offerta canonica di soluzioni tecnologiche per acquisire, gestire, distribuire informazioni strutturate e destrutturate a un’offerta innovativa legata al processamento del linguaggio naturale, al riconoscimento immagini e così via”.
Non sempre la domanda proveniente dal mercato è mossa da una chiara consapevolezza. “Quello che noi riscontriamo – ha rimarcato infatti Matera -, quando siamo chiamati a valutare l’adozione delle nostre tecnologie è la richiesta di applicarle a scenari dove già le tecnologie tradizionali coprono un aspetto. Se parliamo di estrazioni dati, esistono per esempio tecnologie standard come l’OCR che tutti conosciamo”. L’esempio del manager serve a far capire che talvolta c’è il rischio di “un sovrautilizzo dell’artificial intelligence per attività che invece tecnologie tradizionali già fanno”. Ne discende il compito di dover “guidare i clienti a utilizzare il prodotto corretto nel punto corretto del processo, proprio per dare la giusta importanza sia all’artificial intelligence sia alle tecnologie attuali”. Un compito che, a fronte degli investimenti che comporta, deve essere in grado di trovare “un contesto di business dove le applicazioni pratiche in intelligenza artificiale diano un valore aggiunto che la tecnologia tradizionale non riesce a dare e che neanche l’uomo riesce a dare. Perché l’AI deve essere un aiuto nel prendere decisioni più velocemente e, soprattutto, con cognizione di causa”.