In un mondo sempre più connesso e digitalizzato, lo smart working si sta affermando come nuovo standard lavorativo. Ma quali sono gli ingredienti per abilitare il cambio di paradigma? Il tema è stato discusso durante il webinar organizzato da ZeroUno con la collaborazione di Avanade e Intel.
“L’accelerazione nella trasformazione di modelli di business con una forte componente digitale – afferma Valentina Bucci, Giornalista di ZeroUno -, ha innescato una rivoluzione sociale e aziendale. Cambiano le abitudini di consumo e di acquisto, così come le dinamiche di relazione, comunicazione e professionali”. La tecnologia ha un ruolo cruciale nel ridisegnare lo spazio di lavoro e i processi aziendali: “La funzione It diventa cruciale – dice Bucci -, con il compito di individuare le soluzioni adatte a soddisfare le esigenze delle Lob”.
Verso un modello di lavoro agile
Si va verso un modello di lavoro agile e intelligente, “una nuova filosofia manageriale – interviene Fiorella Crespi, Responsabile della Ricerca Osservatorio Smart Working della School of Management del Politecnico di Milano – che concede al lavoratore autonomia di orari, luoghi e strumenti, a fronte però di una maggiore responsabilizzazione sui risultati ottenuti”.
Crespi prosegue sostanziando i principi base dello smart working: comunicazione e collaboration, empowerment (responsabilizzazone) delle persone, flessibilità organizzativa (parametro critico per l’appeal dell’azienda soprattutto rispetto ai Millennials), valorizzazione dei talenti e innovazione.
“I benefici – sintetizza la ricercatrice – interessano l’azienda (aumento della produttività, maggiore attrattività ecc.), le persone (migliore gestione vita privata / lavorativa, motivazione…) e l’ambiente (riduzione degli spostamenti, quindi del traffico e delle emissioni di Co2)”.
Crespi riporta le leve di progettazione: “Sono quattro: policy organizzative per la flessibilizzazione di orari e luoghi di lavoro; tecnologie digitali (ad esempio i device e gli strumenti di collaboration); layout fisici differenziati (con zone di collaborazione, meditazione, relax); evoluzione culturale, che include anche la creazione di senso di appartenenza e la virtuality (capacità di scegliere la tecnologia appropriata per il tipo di attività)”.
Ma quante imprese italiane stanno facendo davvero smart working? Secondo i dati dell’Osservatorio, la metà delle grandi aziende (con più di 250 addetti) ha iniziative in corso; solo il 12% non è interessato al tema. Tra le Pmi, invece, il tasso di penetrazione è ancora alquanto basso (se il 14% si è già attivata, oltre la metà non si mostra sensibile all’argomento).
Il poll lanciato durante la diretta evidenzia comunque la curiosità diffusa delle aziende italiane verso lo smart working: la maggioranza sta valutando l’attivazione di progetti.
La tecnologia per lo smart working
“L’interesse del mercato cresce – afferma Fabio Chiodini, Senior Director Analytics & IoT lead di Avanade – e noi ci siamo strutturati con un’unità dedicata al digital workplace. Oggi l’It deve implementare nuove capabilities per supportare le esigenze degli utenti in termini di flessibilità, sincronizzazione, discovery delle informazioni, personalizzazione, automazione (gli strumenti svolgono azioni in conformità con le abitudini dell’utente)”.
In questo contesto, Chiodini sottolinea il passaggio dell’enterprise It da monolitica a modulare, con una piattaforma tecnologica basata su servizi e Api componibili per formare e distribuire applicazioni; solo così è possibile soddisfare le richieste del business alla giusta velocità. “Occorrono applicazioni flessibili e personalizzate, mutuate dall’esperienza consumer, che permettono informazioni fruibilli in maniera trasparente”.
Il secondo poll lanciato durante il webinar rileva la fiducia delle aziende verso la tecnologia oggi disponibile per abilitare il digital workplace; preoccupano invece la necessità di ridisegnare i processi interni e la capacità degli utenti di gestire l’autonomia concessa.
Crespi invita comunque a non sottovalutare il fattore tecnologico e la necessità di una selection oculata. Restando sul tema, Andrea Toigo, Enterprise Technology Specialist Manager di Intel, descrive l’evoluzione del portfolio prodotti della società proprio a supporto dei nuovi ambienti di lavoro: “La tecnologia deve facilitare i lavoratori a collaborare, essere più produttivi, recuperare creatività. I processori di recente lancio vanno proprio in questa direzione: sviluppati con attenzione ai diversi formati dei dispositivi (pc con grandi schermi, convertibili ecc.), garantiscono compatibilità con Windows 10, sono studiati per minimizzare l’utilizzo di cavi e integrano tecnologie di sicurezza che garantiscono l’equilibrio tra protezione ed efficienza”.
Come gestire il fattore umano
Se il tema della security, sollevato più volte durante la tavola rotonda virtuale dagli utenti online, ha trovato alcune risposte nelle feature tecnologiche presenti negli strumenti oggi in commercio (tool per criptare i dati, meccanismi di autenticazione multi-factor, soluzioni per il device management centralizzato ecc.), la questione culturale e organizzativa ha richiesto analisi più articolate.
Come trovare il giusto mix tra attività onsite e mobile? “La tendenza – dice Crespi – è iniziare con un giorno a settimana di lavoro da remoto, ma non è la sola via. Molto dipende dalla tipologia di lavoratore, per alcuni profili già mobili sarebbe un passo indietro. Il consiglio è calibrare il mix in base alla professionalità”.
“Tipicamente in un progetto di smart working – interviene Chiodini – partiamo con le figure distribuite geograficamente e che hanno una forte necessità di interazione. È buona prassi coinvolgere gli utenti sin dalle fasi iniziali, creando dei focus group per raccogliere feedback sulle reali esigenze degli utilizzatori”.
Se, come rilevano Avanade e Intel, i principali promotori delle iniziative di smart working sono le Lob (Hr, Comunicazione ecc.), Toigo sprona l’It aziendale a “cambiare culturalmente, agendo non solo in funzione reattiva, ma proattiva”.
Certo lo smart working fa paura all’It, che teme la perdita di governance, anche a causa dei comportamenti non corretti degli utenti, ma per superare il problema le aziende si stanno già attrezzando con iniziative di formazione ad hoc, come sostiene Crespi. “Affidarsi a un partner tecnologico – conclude Chiodini – che abbia maturato esperienza direttamente al proprio interno e con i clienti su iniziative di smart working è un altro elemento importante a supporto delle aziende”.
Avanade e Intel, insieme per il digital workplaceFondata nel 2000 come joint venture tra Accenture e Microsoft, Avanade vanta oggi un fatturato di oltre due miliardi di dollari e 27mila professionisti distribuiti in 20 Paesi nel mondo. Secondo Avanade, la chiave per lo smart working si riassume nella stretta integrazione di social, mobile, analitica e cloud in ogni aspetto dei processi aziendali, insieme alla capacità di sfruttare le potenzialità dell’Internet Of Things. In questo percorso di trasformazione, la multinazionale offre le competenze per: creare una roadmap completa e personalizzata; identificare e implementare la piattaforma, l’infrastruttura e i dispositivi appropriati; semplificare e automatizzare i processi aziendali; promuovere l’adozione, l’innovazione, le social community e la collaborazione per agevolare la trasformazione; abilitare una cultura digitale in azienda e l’engagement dei dipendenti. Partner di Avanade, Intel (55,4 miliardi di dollari di fatturato nel 2015), ha recentemente lanciato i processori Core vPro di sesta generazione (vedi articolo “Intel: niente più limiti a produttività e sicurezza”), progettati per facilitare la trasformazione dell’ambiente di lavoro garantendo prestazioni e maggiore durata di batteria. I nuovi processori sono dotati di Authenticate, una soluzione di autenticazione a più fattori, e Unite, lo strumento avanzato di collaborazione per sale riunioni arricchito di nuove funzionalità. I nuovi processori sono già disponibili in un’ampia gamma di dispositivi di design realizzati per le aziende. |