BOLOGNA – La diffusione dei dispositivi mobili nelle aziende, costituisce uno dei componenti principali della digital transformation in cui le imprese sono impegnate per ottenere i migliori risultati di business nello scenario competitivo attuale e futuro. Questa trasformazione spinge le organizzazioni a cambiare l’approccio alla tecnologia, ad analizzare più attentamente le aspettative degli utenti in termini di experience, a coniugare le esigenze di disruption con quelle di integrazione con un mondo legacy che non può evolvere in modo altrettanto dirompente, e ad adottare nuove metodologie e tool di governance di tutto l’ecosistema IT che deve fornire servizi ai digital workplace mobili. Di tutto questo si è dibattuto in occasione dell’Executive Cocktail Il service management per il nuovo digital workplace, organizzato lo scorso ottobre a Bologna da ZeroUno in partnership con IBM e ServiceNow.
“Il digital workplace – ha osservato in apertura dell’evento Patrizia Fabbri, caporedattore di ZeroUno – è già realtà e sta già evidenziando impatti positivi sulle organizzazioni aziendali, sull’efficienza dei processi e sulla produttività degli utenti. Inoltre costituisce un elemento fondamentale per sperimentare nuove modalità intelligenti di lavoro, che permettono di bilanciare meglio le esigenze professionali con la qualità della vita personale. Queste cose si sanno. Più difficile è capire quali criticità in termini di governance questo tipo di trasformazione digitale del modo di lavorare presenta e come affrontarle”.
Mobility e IT consumerization
La cornice di riferimento all’interno della quale articolare l’analisi delle tematiche sul tavolo (in primis device mobili, digital workplace, governance, IT Service Management e contributo delle tecnologie cognitive quali analytics, machine learning e artificial intelligence) – è stata fornita da Paolo Catti, Associate Partner di P4I – Partner4Innovation, società del Gruppo Digital360, che offre servizi di advisory e coaching a supporto dell’innovazione digitale e imprenditoriale. “La mobility – ha sottolineato l’analista – è l’aspetto che sta dietro alla maggior parte dei cambiamenti che le aziende oggi devono affrontare a livello di IT innovation, transformation e disruption. L’esplosione della mobilità ha amplificato in modo esponenziale quel fenomeno, che aveva già fatto capolino da qualche anno a questa parte, e che si chiama IT consumerization. Parlando di IT, una volta, si faceva riferimento soprattutto a temi come la capacità elaborativa e la connettività; oggi non si può non dare grande spazio alla mobility e alla consumerization, perché è in questi ambiti che si sta assistendo a buona parte delle innovazioni che si rivelano disruptive in modo positivo anche per il business. Innovazioni che sono a portata di tasca”.
Nel corso del suo intervento, Catti ha anche sottolineato il fatto che queste innovazioni, che tendono a diventare accessibili dal mobile digital workplace, hanno un rapido ritorno sugli investimenti: “Se tutte le attività che si possono svolgere in mobilità fossero supportate da digital workplace adeguati, abbiamo calcolato che il nostro sistema paese potrebbe risparmiare circa 10 miliardi di euro all’anno”.
L’utente al centro
Qual è una delle principali conseguenze della transizione da infrastrutture e strumenti IT tradizionali al paradigma del digital workplace? “Nel nuovo modello – ha puntualizzato Federico Botti, Director Mobility Services, IBM Europe – al centro c’è l’utente. Nel modello IT tradizionale, al centro troviamo l’IT aziendale, con gli utenti e i loro endpoint che devono adattarsi ad essa. Nel nuovo paradigma, tutto ruota intorno all’end user. In una strategia ottimale di digital workplace, questi dovrebbero essere lasciati liberi di scegliere quali dispositivi utilizzare. E a questo punto non ci si può non ricollegare al tema del Bring-your-own-device. Il dispositivo Byod è quello che l’utente conosce meglio, che lo rende più soddisfatto e produttivo. Permettere l’utilizzo di device mobili Byod contribuisce a ridurre i costi di change management”.
Botti richiama l’attenzione sull’opportunità di favorire il fenomeno Byod e, in generale, la IT consumerization, ricordando anche una motivazione di ordine demografico: “All’estero, in molte aziende sta aumentando molto l’assunzione di Millennials. In Italia, purtroppo, questo avviene un po’ più a fatica. Ma prima o poi queste risorse si diffonderanno anche nelle nostre aziende; se vengono assunte in aziende che utilizzano tecnologie IT obsolete, rischiano di rimanere insoddisfatte e cercare nuovi datori di lavoro”.
Dagli analytics al cognitive, all’automazione
Come far sì allora che l’ecosistema IT di un’azienda risponda alle aspettative di migliore user experience, con conseguenti vantaggi sia in termini di soddisfazione degli utenti, sia di produttività e redditività dell’azienda? Come avveniva già in passato, la disciplina chiamata a rispondere a queste esigenze è l’IT Service Management. Ma anche questo non può non essere innovativo, dato che tali sono le tecnologie in gioco, il loro numero, la loro eterogeneità, le loro esigenze di performance e sicurezza, e la quantità e qualità degli utenti che le utilizzano. E che sono da considerare, indipendentemente dal loro ruolo, “al centro” di tutto. Considerati questi aspetti si comprende meglio il perché di un evento che vede riunite due realtà come IBM e ServiceNow, azienda fondata nel 2004 in California con l’obiettivo di sviluppare un IT Service Management basato su nuovi criteri, fra i quali la semplificazione della creazione di workflow intelligenti, l’automazione e l’utilizzo del cloud.
“Nelle aziende – ha notato Nicola Attico, Solution Consultant Manager ServiceNow – si osserva la continua crescita di fruitori di servizi IT, che genera nuovi bisogni di supporto, i quali sono affrontati spesso in maniera manuale o comunque non strutturata. Il risultato è che per risolvere molti problemi, gli utenti perdono fino a due ore di lavoro al giorno, parlando con interlocutori diversi per risolvere criticità che nascono, magari, dalla difficoltà di integrare una nuova applicazione con una legacy, oppure da problemi di compatibilità fra software di release differente. Fin dalla sua nascita, ServiceNow ha puntato a creare un’unica piattaforma, in modo da rendere l’esperienza dell’utente che necessita di supporto il più possibile senza frizioni (frictionless) e veloce, grazie alla creazione di workflow che prevedono chatbot [programmi che simulano la conversazione fra due esseri umani, ndr] e live agent [operatori di help desk reali, ndr]”. Un’altra caratteristica di ServiceNow è che gli amministratori o gli stessi utenti possono o fruire dei workflow già predisposti in modalità as-a-service, o crearne di propri in modo semplice, drag and drop, sfruttando librerie di processi e creando basi dati che possono essere utilizzate in comune da task differenti. “Possiamo dire che ServiceNow offre ai propri clienti una vera e propria Platform-as-a-Service, PaaS, per creare servizi con la migliore user o customer experience”, ha dichiarato Attico.
“IBM – è quindi intervenuto Botti – è sempre alla ricerca di soluzioni best-in-class con cui integrare i propri servizi e le proprie tecnologie ed è in questa direzione che si inserisce l’alleanza con ServiceNow”. In questa alleanza, fra i servizi di Big Blue con cui le soluzioni di ServiceNow possono essere integrate, si segnala IBM Persona Consultancy, un servizio di consulenza che aiuta le aziende a identificare i profili di utenti (Persona) che hanno esigenze specifiche. Sotto il profilo tecnologico, spicca la tecnologia Watson le cui capacità cognitive vengono sfruttate dalla piattaforma ServiceNow: “Questo – ha specificato Botti – è un ottimo esempio di integrazione delle tecnologie cognitive con applicazioni o piattaforme che gestiscono attività specifiche. La caratteristica di un sistema come Watson è quella di aumentare le capacità di fornire analisi e soluzioni man mano che elabora crescenti moli di dati”. Nel caso dell’ITSM può apprendere molto dagli errori o dalle risposte soddisfacenti dei service desk tradizionali alle richieste di supporto degli utenti; oppure attingendo direttamente ai log generati dai workflow automatizzati, e integrati su una singola piattaforma, quali quelli di ServiceNow.