Si fa presto a dire smart working. Soprattutto oggi, a causa dell’emergenza Covid-19 che sta costringendo a stare a casa moltissimi italiani, il richiamo al “lavoro agile” è diventato una costante. Attenzione, però, a non confonderlo con il semplice remote working.
“Sembrano uguali, ma in realtà si trattano di due cose molto diverse” sottolinea Matteo Masera, Sales & Marketing Director di Westpole, service provider con sedi a Milano, Roma, Venezia, Bologna e un’esperienza quarantennale come partner tecnologico nei processi di digital transformation delle aziende.
Il fenomeno smart working nel 2020, i numeri
Secondo l’Osservatorio Smart Working della School of Management del Politecnico di Milano sono 6,58 milioni gli italiani che hanno fatto smart working nei mesi scorsi. Hanno dovuto lavorare in questo modo, infatti, il 97% delle grandi organizzazioni, il 94% delle PA e il 58% delle piccole e medie imprese.
Si tratta di un fenomeno davvero rilevante, basti pensare che gli smart worker nel 2019 erano circa 570mila. Anche a settembre, i dipendenti in smart working, tra rientri obbligatori e consigliati, erano comunque circa 5 milioni.
Per quanto riguarda i settori principalmente cioinvolti nel fenomeno smart working gli studiosi dell’Osservatorio rilevano soprattutto finance e ICT, meno retail e manifatturiero. In ogni caso sono state riconvertite diverse attività grazie agli strumenti digitali e di connettività: nel 33% delle grandi aziende hanno lavorato da remoto gli operatori dei call center, nel 21% gli addetti allo sportello e nel 17% addirittura è stato fatto lavoro da remoto da parte di operai specializzati che hanno avuto accesso a macchinari digitalizzati.
Perché smart e remote working non sono la stessa cosa
“Il remote working – aggiunge Masera – è l’evoluzione del telelavoro, mentre lo smart working appartiene a pieno titolo alla trasformazione digitale delle imprese”. Una differenza che non si rileva tanto nelle soluzioni tecnologiche a corredo dell’una o dell’altra modalità, che permettono in entrambi i casi di accedere a infrastrutture e dati aziendali a distanza, quanto nella tipologia di rapporto con cui l’organizzazione si pone nei confronti dei suoi dipendenti.
Dal punto di vista di Westpole, gli strumenti offerti a chi lavora da remoto o allo smart worker sono identici.
“La postazione di lavoro – spiega Masera – deve essere accessibile con una connessione non soltanto da casa, ma da qualsiasi luogo. Perciò deve essere mobile e quella fissa, come nel caso degli amministrativi, deve essere remotizzabile”.
Ciò premesso, il Sales & Marketing Director tiene a rimarcare la distinzione per evitare che si creino “aspettative sbagliate” in termini di ritorno economico e di risultati: “Se le persone si misurano per obiettivi, ci si aspetta un’efficienza maggiore e una produttività più elevata. Se, invece, si applica esclusivamente il remote working ci si aspetta continuità rispetto ai risultati”. Anche un certo modo di fare smart working, in fondo, lascia trasparire questo approccio, laddove mantiene un carattere concessorio nel permettere di collaborare alcune ore a settimana o qualche giorno al mese fuori dall’ufficio.
Andare oltre il “cartellino” per misurare gli obiettivi
“Non è sufficiente – chiarisce infatti Masera – dotare le persone di strumenti per ottenere lo smart working, se non si cambia anche il criterio di misurazione delle loro performance, fondandolo sugli obiettivi e non sulla mera presenza o il ‘cartellino’. In tutte le aziende i commerciali sono naturalmente degli smart worker, perché vengono valutati, per definizione, sulla base degli obiettivi che raggiungono. Per non parlare delle figure apicali e dei dirigenti. Lo stesso metodo dovrebbe essere implementato per tutte quelle risorse che si prestano a poter diventare smart worker”.
È un cambiamento di rotta per nulla scontato, che adesso le imprese sono state obbligate ad affrontare loro malgrado. Tanto che in alcuni casi sono state indotte a tenere a casa i dipendenti magari spingendoli a prendere ferie forzate, non foss’altro perché non era stata coltivata a sufficienza prima l’abitudine a lavorare lontano dalla propria scrivania. Il contagio che sta funestando l’Italia potrebbe essere perciò l’opportunità per considerare seriamente una trasformazione profonda nella cultura organizzativa, nei processi aziendali e nei meccanismi usuali di controllo.
Non mancano tecnologia e strumenti, ma il mindset
Secondo Masera, i gravi disagi legati al coronavirus “potrebbero essere l’occasione per le aziende di ripensare ad alcune pigrizie che le hanno caratterizzate, visto che gli strumenti per lavorare da remoto in modo utile e proficuo ci sono già da un po’ di tempo”.
Paradossalmente, oggi il fronte più arretrato è quello del mindset a confronto della maturità dal punto di vista delle tecnologie disponibili. Westpole, ad esempio, non da ieri contempla una serie di servizi e strumenti a supporto di questa trasformazione.
“Ci occupiamo della parte tecnologica fornendo un workplace as a service costruito insieme alle aziende in funzione di profili tipo. In base a questi, attrezziamo le postazioni di lavoro con desktop, elementi di sicurezza e di virtualizzazione della postazione. A cui si aggiunge un help desk attivo 24 ore su 24 che il cliente può contattare per ricevere assistenza”.
Alcuni dei segnali raccolti di recente dal Sales & Marketing Director sembrano andare nella giusta direzione, a cominciare da un incremento nelle richieste di tool di collaborazione evoluti come Cisco WebEx, software che Westpole propone insieme ad altri, anche in modalità integrata con la sua piattaforma proprietaria WebRainbow e il suo cloud.
Un nuovo modo di collaborare (e di risparmiare) a distanza
“Le richieste sono cresciute non solo per migliorare la collaborazione all’interno dell’azienda, ma anche con i fornitori e con tutto l’ambiente in cui l’azienda si muove. Noi stessi, per ovviare a diversi annullamenti di riunioni fisiche, abbiamo adoperato tantissimo WebEx con i nostri clienti. Ci siamo accorti, ad esempio, che in tempi normali sottoutilizziamo le nostre installazioni di video conferenza, mentre ora trovano piena funzionalità con clienti e fornitori”.
Non sono diminuite le riunioni, ammette Masera. Anzi, sono aumentate, seppure a distanza. E peccato se si perdono un po’ l’esperienza e il feeling degli incontri a tu per tu, ma ormai la qualità delle video conferenze è talmente alta che è una perdita superabile. Senza dimenticare il fattore risparmio. Risparmio di spazio, di tempo, di carburante, di capitali.
“Tutto questo – conclude – avrà un impatto sul nostro futuro. Resta da superare il timore della perdita del controllo su quello che i dipendenti fanno da remoto. È questo il passaggio fondamentale. Ma smart working vuol dire assegnare degli obiettivi e confrontarsi su quelli. Ed è qui la difficoltà odierna delle aziende: capire come e cosa misurare rispetto ai singoli lavoratori”.