“Quando parliamo di smart working ci sono almeno due grandi ambiti che dobbiamo focalizzare: quello tecnologico e quello culturale”, ha esordito Stefano Uberti Foppa, Direttore di ZeroUno nell’introduzione all’Executive Meeting “Smart working: tecnologie di collaboration per una nuova ‘experience’”, recentemente organizzato da ZeroUno presso Cisco, partner dell’evento.
Di questo servizio fanno parte anche i seguenti articoli: | |
LA RICERCA – Smart working: le tecnologie necessarie | |
IL DIBATTITO – Smart working: come la pensano le aziende | |
L’OFFERTA – Lo smart working secondo Cisco: al centro l’utente |
“Individuare gli strumenti di collaboration giusti è fondamentale, così come lo è integrarli con le piattaforme legacy dell’azienda; bisogna infatti evitare di procedere a macchia di leopardo per far sì che le soluzioni di collaboration possano effettivamente operare nel disegno organizzativo dell’impresa – ha spiegato Uberti Foppa – Ma l’altro grande ambito da cui non si può prescindere è appunto quello legato all’approccio culturale al cambiamento e alla ridefinizione dei processi aziendali: lo smart working impone infatti alle aziende e all’It un’attenta riflessione anche sul modo in cui le persone lavorano e interagiscono nella loro attività quotidiana”.
Questione di soft skill
Proprio su questo secondo fronte di interesse si sono concentrate alcune delle riflessioni di Fiorella Crespi, Direttore dell’Osservatorio Smart Working, Politecnico di Milano, presente in qualità di analista esperta del fenomeno: “L’aspetto culturale è decisamente importante: le persone devono sviluppare soft skill fondamentali per concretizzare le potenzialità che questa modalità di lavoro offre”: in particolare, gli smart worker devono, secondo Crespi, essere in grado di:
- capire che strumenti digitali utilizzare per ogni occasione in base al tipo di incontro o di scambio che devono avere e sapere quando è necessario preferire meeting fisici, in funzione delle esigenze organizzative e delle caratteristiche degli individui;
- avere capacità di “virtual communication”, ovvero saper comunicare in modo efficace coordinando progetti e gestendo il proprio profilo negli ambienti digitali;
- capire come muoversi all’interno della marea di informazioni presenti in forma digitale nell’azienda per trovare il dato che serve nel momento in cui serve.
Le ricerche dell’Osservatorio confermano che queste capacità risultano tutte decisamente più diffuse tra gli smart worker che tra i lavoratori tradizionali. E aggiungiamo all’elenco due competenze che connotano il lavoratore agile in modo anche più rilevante (il 14% in più degli smart worker, rispetto ai lavoratori tradizionali, le possiede):
- la proattività, ovvero la disponibilità a prendere decisioni autonomamente cercando di anticipare i problemi;
- l’intelligenza collaborativa, ovvero la capacità di sviluppare relazioni strategiche e scambiare informazioni utili.
Sistemi di valutazione
Crespi ha poi descritto il modo in cui lo smart working si concretizza concedendo maggiore flessibilità di luogo e orario di lavoro, riadattando gli uffici per una maggiore differenziazione degli ambienti (es. evitando postazioni fisse) e ripensando i sistemi di valutazione delle persone: “È un tema ancora poco affrontato dalle aziende sul quale bisogna però iniziare a lavorare – dice Crespi rispetto all’ultimo punto elencato – Aprirsi a forme di flessibilità e autonomia quando si ha un metro di valutazione non aggiornato è una forma di incoerenza che va superata”: riprendendo i dati dell’Osservatorio, infatti, se è vero che il 77% delle organizzazioni che ha avviato progetti di smart working misura il livello di soddisfazione degli utenti, meno della metà delle stesse misura gli impatti sulla qualità del lavoro svolto e solo il 14% quelli sui business Kpi e sui processi aziendali.
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