Si è recentemente svolto l’Executive Meeting realizzato da ZeroUno in collaborazione con Hp “Smart Working: accessibilità e sicurezza oltre la mobility” che Nicoletta Boldrini, Giornalista di ZeroUno, moderatrice dell’evento, ha aperto citando i dati dell’Osservatorio Smart Working del Politecnico di Milano: “Nel 2015 le grandi aziende italiane ad aver già introdotto progetti organici di lavoro agile [modalità di lavoro per cui il dipendente è svincolato da orari e luoghi di lavoro fissi e viene valutato per la qualità dell’attività svolta e gli obiettivi che raggiunge – ndr], erano il 17%, quest’anno la percentuale è del 30%: una crescita significativa, che prova come all’interno delle organizzazioni si stiano effettivamente consolidando questi modelli, complice la consumerizzazione e la spinta data della diffusione del cloud, della mobility e in generale del digitale nella quotidianità delle persone”.
Di questo servizio fanno parte anche i seguenti articoli: | |
I DATI – Smart working: quali sono i vantaggi? | |
IL DIBATTITO – Smart Working: cosa pensano le aziende di normative, management, sicurezza | |
LE SOLUZIONI – Lo Smart working secondo Hp: ecco tre soluzioni |
Fiorella Crespi, Direttore Osservatorio Smart Working, Politecnico di Milano, dopo aver tracciato uno scenario sulle evoluzioni in atto nel panorama italiano in tema di lavoro agile, ha spiegato su quali punti si concentra la paura delle aziende, distinguendo falsi miti e difficoltà reali.
Falsi miti sullo smart working
- Le persone se ne approfittano: falso – “Si tende a pensare che i dipendenti se sono lontani dalla vista del proprio capo non lavorino bene, che approfittino dell’autonomia che il modello dello smart working concede loro: non è vero” dice Crespi, che quindi ribadisce quanto, al contrario e dati alla mano, lavorare “per obiettivi” responsabilizzi le persone e le renda più produttive.
- Genera senso di isolamento: falso – Non corrisponde a realtà nemmeno l’idea che il lavoro agile possa far sentire il lavoratore troppo isolato: “Spesso – spiega Crespi – questo falso mito deriva da una confusione tra lo smart working e il telelavoro che ha effettivamente questo inconveniente”: il lavoratore nel primo caso sceglie liberamente come alternare il lavoro in ufficio con il lavoro da altri luoghi (per esempio altre sedi della propria stessa azienda, spazi di coworking), nel secondo invece è stabilmente a casa.
- Si può fare solo per certi lavori: falso – Non è vero che lo smart working è adatto solo a certe categorie di lavori d’ufficio: “Abbiamo visto casi di aziende dove veniva applicato, seppure in una versione leggermente diversa, a gruppi di operai, a riprova del fatto che non si esclude a priori nessuna categoria professionale”, dice Crespi.
Difficoltà reali dello Smart working
- Richiede maturità e disciplina personale ai lavoratori: vero – Lavorare per obiettivi sfruttando la flessibilità di luogo e tempo di lavoro che lo smart working concede richiede buone capacità organizzative; per esempio, si deve essere in grado di pianificare i propri spostamenti in modo adeguato rispetto alle attività da svolgere (i lavori che richiedono concentrazione possono essere svolti meglio isolati a casa, altri che richiedono interazione, in ufficio);
- Cambia il modo di fare management: vero – Lo smart working si lega a stili di leadership basati non sul controllo diretto del lavoratore ma sulla valutazione dei risultati ottenuti; il management deve saper dare fiducia e autonomia decisionale alle persone: un cambio di approccio tutt’altro che semplice.
- La tecnologia è spesso ancora una “falsa commodity”: vero – Non tutte le soluzioni sono uguali: “Non basta che ci sia in azienda della tecnologia, è importante che sia efficace, sicura, di supporto e non di ostacolo allo smart working: è un aspetto che non bisogna sottovalutare”, dice Crespi.
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