Smart working: impatti sociali e legali, i pareri di Inail e dei sindacati

Abituati a confrontarci sui molteplici, e indiscutibili, benefici derivanti dallo smart working, è interessante anche soffermarsi a riflettere sui risvolti che esso può avere dal punto di vista prima di tutto sociale e poi assicurativo, legale, sindacale. In occasione del convegno Jobs Act: tra controllo e smart-working, promosso da Adp, si è intavolato un interessante dibattito su questi temi, partendo dal presupposto che, al momento, smart working è un concetto metagiuridico ancora non definito. Tra i pareri sul tema, l’intervento di Inail

Pubblicato il 22 Dic 2015

Riunioni virtuali fisiche, un ossimoro possibile, che racconta quel che ormai è molto semplice fare grazie alle tecnologie di collaboration, un’innovazione, tra le tante, che incide sull’attuale modo di lavorare. Uno scenario complesso, che è stato delineato in occasione del convegno: Jobs Act: tra controllo e smart-working, promosso da Adp, fornitore di soluzioni per la gestione delle risorse umane, in collaborazione con la società di consulenza WattaJob! e l’associazione professionale LabJus.
“Armonizzare il sistema legislativo italiano in materia di lavoro con quello di altri Stati per rendere competitive le nostre imprese – ha dichiarato Valentina Aprea, Assessore all’Istruzione, Formazione, Lavoro della Regione Lombardia aprendo il dibattito – è uno dei fini che si pone Regione Lombardia. Siamo infatti in prima linea per quanto riguarda l’attività economica nazionale, dobbiamo quindi restare al passo proponendo modelli organizzativi che permettano alle imprese di rinnovarsi, oltre che tesi a promuovere lo sviluppo”.

Sulla stessa linea Gianni Bocchieri, Direttore Generale Istruzione, Formazione, Lavoro della Regione Lombardia che è entrato nello specifico del tema della giornata: “Lo smart working va affrontato in particolar modo dal punto di vista dell’innovazione che esso comporta, sia aziendale sia sociale, basti pensare alle ampie ripercussioni positive che possono derivare da una migliore organizzazione degli orari e delle presenze al lavoro sul traffico sia pubblico sia privato”. Numerose le testimonianze portate da aziende che già hanno adottato lo smart working: esperienze positive dove è stato rilevato un maggior benessere del singolo (che in tutti i casi riportati ha accolto con soddisfazione professionale la maggior responsabilità) e, di conseguenza, si è avuto un aumento della produttività.
Se perciò i vantaggi sono notevoli, d’altro canto, sono numerose le questioni che si aprono in termini di tutele e gestione del personale.

I pareri tecnici

Un momento dell'evento

“Il Jobs Act – ha raccontato l’avvocato Emil Bertocchi – si occupa di telelavoro (prevedendo l’intervento dell’impresa nell’allestimento della postazione domestica) ma non fa riferimento alla ben più ampia concezione di smart working; quest’ultimo è infatti un concetto metagiuridico cui non è data una definizione precisa. D’altra parte, entra però in merito alla questione dei controlli a distanza”. La normativa degli Anni 70 proibiva l’utilizzo di attrezzature di controllo, consentendo solo quanto necessario per la sicurezza sul lavoro. “La legge delega – ha spiegato Bertocchi – ha posto la questione riguardo ai limiti che il controllo difensivo possa avere. Per esempio, se controllando le mail si scoprono truffe nei confronti dell’azienda o attività pericolose per i colleghi, come ci si dovrebbe comportare? Oggi non ci sono più divieti assoluti, sono ammessi sistemi che possono controllare tangenzialmente l’attività lavorativa per esigenze organizzative, di sicurezza sul lavoro e per la tutela del patrimonio, fermo restando che, secondo i principi costituzionali, non è possibile alterare tali strumenti al fine di monitorare i dipendenti”. La norma ha suscitato critiche e il dibattito resta aperto; riguarderà tutti i device tecnologici? “La nostra posizione è di apertura – ha affermato d’altro lato Antonio Traficante, Direttore di Inail Lombardia – siamo noi per primi a riconoscere e sfruttare i vantaggi di telelavoro e smart working. Non possiamo però trascurare il discorso assicurativo: il lavoratore è assicurato sugli infortuni per il rischio specifico legato alla sua attività (e può esserlo in qualsiasi altro ambiente la svolga). È più complicato invece per il datore di lavoro avere il dominio del rischio (equivalente a quello che avrebbe in azienda) se la delocalizzazione è completa”. Se per esempio accade un infortunio al di fuori degli orari di lavoro? Come si gestiscono poi i rischi ambientali (semplicemente l’illuminazione o l’ergonomia della postazione) di luoghi lavorativi che non sono l’azienda? Inoltre, il lavoratore è tutelato in caso di infortunio in itinere, come può l’Inail controllare questo aspetto? Infine, lo smart working può rappresentare un rischio anche dal punto di vista dello stress, lavorando da casa è possibile arrivare a sostenere 24 ore di attività… “Credo – ha proseguito Traficante – che il legislatore debba esprimersi in materia: se per qualsiasi di questi motivi viene minata l’integrità fisica del lavoratore, si corre il rischio della denuncia penale. Dal nostro punto di vista suggeriamo di informare l’Inail circa quello che accade in azienda, possibilmente anche individuando i luoghi dove il lavoratore svolge l’attività, anche se questo può sembrare restrittivo; è poi molto importante avviare una formazione specifica in merito alla salute e alla sicurezza per gli smart worker”.

Le parti sociali

“Lo smart working – ha dichiarato Roberto Benaglia di Cisl Lombardia – parte dal presupposto che si lavori per risultati: sono quindi indispensabili criteri di valutazione oggettivi. D’altra parte, il datore di lavoro deve continuare ad assicurare al dipendente la percezione di far parte di un gruppo. Inoltre, ultimamente in altri Paesi si inizia a parlare di diritto alla disconnessione, si pongono limiti di orario all’invio delle mail eccetera, presupponendo, tra l’altro, il fatto che oltre un certo limite la produttività si abbassa. Le relazioni sindacali, locali, in azienda, credo possano essere molto utili per instaurare sin da subito un clima positivo rispetto a queste novità”.
“La vera sfida – ha aggiunto Paola Mencarelli di Uil Milano e Lombardia – è per il management; è quella organizzativa. Cambiando l’impostazione del lavoro, il ruolo del manager si avvicina a quello del couch che ha un compito oltre che di valutazione, di impostazione dei traguardi possibili; i responsabili devono inoltre impedire discriminazioni, essere attenti allo stress lavoro correlato, in pratica, impegnarsi sull’analisi prima e poi sulla risoluzione delle criticità. Anche per questo il sindacato si offre per dare il proprio contributo”.

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