Tra i tanti pregiudizi che questa emergenza sanitaria ha scardinato c’è anche quello dei “dipendenti pubblici fannulloni”, come ha dimostrato l’indagine Strategie individuali e organizzative di risposta all’emergenza. Un bilancio dello smart working nella PA nella fase di lockdown svolta da FPA, società del Gruppo Digital360, che ha coinvolto 5.200 persone, di cui l’81% dipendenti pubblici: nonostante prima delle misure per il contenimento dei contagi emanate dal governo, solo l’8,9% delle amministrazioni di provenienza delle persone intervistate facesse ricorso in maniera diffusa allo smart working, nel giro di poche settimane questa modalità è stata adottata dal 98,8 delle amministrazioni.
Dotazioni tecnologiche inadeguate? I dipendenti hanno supplito con le proprie
E se prima dell’”era Covid” uno dei principali ostacoli alla diffusione dello smart working era rappresentato dall’inadeguatezza delle dotazioni tecnologiche e dall’impossibilità, per molte amministrazioni, di poter dotare i propri dipendenti di dispositivi adeguati al lavoro da casa, nell’emergenza la soluzione è venuta dalle persone che hanno utilizzato i propri device personali: telefono cellulare 77,1%, PC 68,2, tablet 83%, connessione a Internet 95,7%, stampante/scanner 97,6%.
“Ma quello della dotazione informatica non è l’unico fattore frenante alla diffusione dello smart working nella PA. A questo si uniscono le competenze del personale, la non digitalizzazione degli archivi documentali, un management e delle procedure inadeguate”, ha spiegato Andrea Ivan Baldassarre, Responsabile Content Development FPA, nel webinar di presentazione dei dati della ricerca (figura 1) inserito nel percorso #road2forumpa2020 nel quale FPA sta organizzando una serie di incontri di analisi e approfondimento, con le due tappe centrali del Forum PA di luglio e di novembre, per riflettere su come si possa trasformare questo difficile momento che stiamo vivendo in un’occasione per gettare nuove basi per il rilancio del Paese.
I dipendenti più reattivi della dirigenza
I risultati? Per il 40,9% l’efficacia lavorativa è stata praticamente analoga a quella in presenza e per il 41,3% addirittura migliorata o decisamente migliorata (figura 2).
E sono molto chiare le parole di Grazia Strano, Direttore Generale, Direzione generale dei sistemi informativi, dell’innovazione tecnologica e della comunicazione del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, nel confronto durante il webinar: “Anche noi abbiamo fatto una survey interna e i risultati sono molto simili: il personale si collega sempre, abbiamo consegnato ai dipendenti il piano di lavoro concordato a inizio anno quindi ognuno sapeva le attività che doveva svolgere. Ma questo periodo ci ha messo di fronte ad alcune ‘incompiute’, soprattutto nella dirigenza. Dalla survey interna è emerso che sono stati più pronti i dipendenti, un po’ meno la dirigenza purtroppo ancora un po’ troppo abituata al contatto fisico, al ‘se non ti vedo non so cosa stai facendo’”. Ed ecco quindi che questa esperienza mostra come per attuare un vero smart working sia necessario, oltre che cambiare questo mindset di parte della dirigenza, scardinare alcuni dogmi della PA a partire dalla postazione fissa di lavoro.
E punta sul personale anche Antonio Naddeo, Presidente di Aran: “L’intervento normativo relativo all’emergenza ha obbligato le PA a passare improvvisamente al lavoro da remoto, ma le amministrazioni non erano pronte e se si vuole proseguire con questa esperienza bisogna dotarsi di tutti gli strumenti necessari e dell’organizzazione per un vero smart working. Però questa situazione ci ha dato una grande opportunità, quella di capire il potenziale dei dipendenti”.
Mancano le relazioni, ma ci si organizza meglio
Sono a livello di relazione le maggiori criticità riscontrate: “Gli aspetti maggiormente negativi di questa fase di lavoro da casa – ha spiegato Baldassarre – non sono né tecnologici né organizzativi, sono piuttosto imputati a una dimensione tutta relazionale. Quello che più ha messo in difficoltà i lavoratori pubblici è stata la difficoltà a mantenere delle relazioni sociali con i colleghi (35,9%) e fare i conti con una sensazione di isolamento lavorativo (27,9%), oltreché riuscire in una situazione del genere a conciliare le esigenze familiari con quelle lavorative” (figura 3). E sempre relativi alla sfera relazionale gli aspetti maggiormente positivi (figura 4).
Ripensare le relazioni industriali e rifondare l’organizzazione del lavoro pubblico
Duro il commento di Francesco Raphael Frieri, Direttore Generale, Risorse, Europa, Innovazione, Istituzioni della Regione Emilia Romagna: “Questa esperienza ho dimostrato che il re è nudo. È emersa tutta l’arretratezza della PA dove quello che si è fatto è stato fondamentalmente digitalizzare quello che c’era, ma l’obiettivo della digitalizzazione della PA non era semplicemente avere un’amministrazione paperless!”. Il dirigente della Regione sottolinea come la limitata adozione del cloud, il vasto utilizzo di VPN, la limitata interoperabilità tra le diverse amministrazioni siano i segni evidenti di questa arretratezza.
Non solo, Strano e Frieri evidenziano anche un altro tema importante (e che per la verità non riguarda solo le PA): “Vanno riviste le relazioni industriali, non possiamo applicare le vecchie regole alle nuove realtà: bisogna rifondare l’organizzazione del lavoro pubblico, avere il coraggio di fare il salto di qualità”, ha detto Strano, raccogliendo l’adesione di Frieri che ha aggiunto: “È fondamentale rivedere le relazioni industriali, la relazione con il sindacato va rivista completamente: il sindacato è un grande partner per ripensare il processo. In questa nuova organizzazione tutti i gli istituti che non prevedevano un’attenzione verso la persona devono essere rivisti ed è fondamentale che si instauri una relazione di fiducia con il lavoratore e con le sue rappresentanze. Nel momento in cui entro nella vita privata del lavoratore [facendogli utilizzare i suoi device per il lavoro o consentendo, come ormai è normale, che un lavoratore utilizzi il device di lavoro anche per usi personali ndr], questi deve sapere che i suoi dati sono tutelati e non ci potremo accontentare di un flag su un disclaimer: l’approccio dovrà essere completamente diverso e non ci potremo limitare all’attitudine alla compliance”.
Una volta tornati alla normalità, almeno il 40% dei dipendenti pubblici dovrà adottare una modalità di lavoro agile: lo ha sottolineato la Ministra della Pubblica Amministrazione Fabiana Dadone. Dalla ricerca di Forum PA risulta che i dipendenti della PA sono pronti a questo passaggio: il 93,6% vorrebbe continuare a lavorare in smart working una volta tornati alla normalità, ma per la maggior parte di loro (il 66%) il lavoro da casa non deve essere full time, ma deve essere integrato con dei rientri in ufficio organizzati e funzionali.
E allora, quali sono i consigli che gli stessi dipendenti danno in vista del ritorno alla normalità? Ripensamento dei processi di lavoro, definizione puntuale di obiettivi e risultati individuali, formazione specifica sull’uso delle tecnologie e degli strumenti di comunicazione: sono questi i tre consigli principali (figura 5).
Concludo con le parole di Mariano Corso, Responsabile Scientifico, Osservatorio Smart Working – Politecnico di Milano: “L’emergenza sanitaria è stata una grande prova di resilienza. I lavoratori pubblici hanno dato prova di una grande responsabilità. I servizi pubblici hanno retto. Questa prova di resilienza e disponibilità all’insegna dell’improvvisazione, ha infranto alcuni pregiudizi e ci ha insegnato tantissimo: la gran parte dei dipendenti pubblici è capace, ha voglia di fare. Ma adesso inizia una nuova fase dove l’improvvisazione non vale più: bisogna programmare, spingere su formazione, cambiamento organizzativo, misurazione delle prestazioni e ci vuole un management capace di farlo. Questo è il vero snodo.”.