“Social Business: efficacia e capacità d’innovare per l’azienda collaborativa”, questo il titolo delle due tavole rotonde che ZeroUno, in collaborazione con Ibm, ha organizzato prima a Parma, poi a Treviso per parlare, insieme alle aziende del territorio, di come gli strumenti Social e di collaboration stiano acquisendo un ruolo sempre più importante nella definizione di nuovi processi aziendali, trasformando radicalmente quelli consolidati.
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Una maggiore flessibilità organizzativa, modalità relazionali più rapide ed efficienti nell’operatività quotidiana, più facilità nel condividere informazioni, conoscenze e idee: sono i vantaggi che stanno spingendo sempre più aziende a intraprendere un percorso di cambiamento ormai necessario, seppur complesso da pianificare e attuare: “Al di là delle difficoltà connesse con il legacy architetturale e tecnologico, si sta diffondendo nelle aziende la forte consapevolezza di dover intervenire sulle competenze, sui fronti organizzativi interni e sulle scelte tecnologiche di base, per capire quali percorsi vadano intrapresi al fine di creare degli ecosistemi collaborativi efficaci e duraturi nel tempo”, ha detto Stefano Uberti Foppa, Direttore di ZeroUno, che ha moderato l’incontro di Parma, specificando che, parlando di social, rientra nel tema sia il dialogo interno all’azienda sia quello che l’azienda può attivare esternamente con i propri partner e i propri clienti. È per questo, che seduti al tavolo delle due tavole rotonde, non c’era solo l’It, ma anche rappresentanti del marketing e responsabili di quei nuovi reparti aziendali dedicati al mondo digitale che stanno sorgendo nelle realtà più innovative e che per loro natura inglobano competenze di entrambi i settori e ne aggiungono di nuove, specificatamente legate all’ambito digital.
Prima di entrare nel merito delle criticità da considerare nel disegno di un percorso strategico di collaborazione estesa, alcune riflessioni emerse aiutano a individuare le motivazioni che stanno rendendo necessaria la trasformazione.
Un cambiamento necessario
Un primo input lo dà Alessandro Berzolla, Coo di Dallara, location d’eccezione della prima tavola rotonda, che ha presentato per l’occasione l’azienda, “un gioiello italiano” nella costruzione e progettazione di vetture da competizione (ma non solo: l’azienda, dotata di ben due gallerie del vento, fornisce anche servizi di ingegneria e assistenza ad alcune fra le maggiori scuderie automobilistiche del mondo e ha una eccezionale competenza sull’aerodinamica, la dinamica del veicolo e la produzione prototipale), sottolineando come il fatto di cooperare efficacemente e lavorare in tempi rapidi sia, in una realtà di questo tipo, essenziale: “Ci capita spesso, quando finisce una gara la domenica sera, di dover fare delle scelte determinanti già il giorno dopo: abbiamo pochissimo tempo per confrontarci su cosa fare per migliorare la performance della macchina e prendere delle decisioni in vista della corsa della domenica successiva”. Una solida capacità collaborativa è quindi fondamentale: “Non deve essere veloce solo la macchina che progettiamo, ma anche l’azienda: serve chiarezza, tempestività, avere una rete di informazione solida ed efficiente”. Questa volontà si è tradotta, tecnologicamente parlando, in una intranet e una extranet attraverso la quale si agevola un lavoro collaborativo non solo tra dipendenti, ma anche con partner e fornitori, collegando l’azienda al territorio per sfruttare al meglio i vantaggi della collaborazione partecipativa.
A proposito di quest’ultimo tema e di quello dell’intelligenza collettiva, alcuni ospiti hanno fornito degli esempi che rendono particolarmente evidenti i vantaggi offerti da un approccio che favorisce l’inclusione, raccontando di aziende che hanno speso grandi somme in consulenze esterne per scoprire in seguito che le soluzioni che stavano cercando erano di fatto già all’interno della loro stessa azienda, evidentemente nascoste; oppure aziende che hanno compiuto ingenti investimenti per risolvere problemi gestibili a costo zero, attraverso soluzioni che solo il personale addetto a certe specifiche mansioni, non interpellato, poteva conoscere.
Tornando alla domanda iniziale “Cosa sta spingendo al cambiamento?”, Silvio Lombardi, Responsabile Infrastrutture Ict di Brt Corriere Espresso (azienda che si occupa di spedizioni e di servizi logistici di supporto alla movimentazione e alla distribuzione delle merci), spiega che nel loro caso il primo input è stato esterno: “Aumentando il numero di clienti privati, l’azienda ha iniziato a ragionare sull’utilizzo di mezzi digitali nuovi, anche social, per adeguarsi ad esigenze più forti in termini di orari e dinamicità”.
Altre volte sono i lavoratori a rendere l’adeguamento necessario: se non vi sono alternative, gli utenti finiscono per utilizzare comunque, quando servono, strumenti di collaboration non aziendali, che Guido Angelo Ingenito, It Infrastructure & Security Manager di Ferretti, ha definito provocatoriamente dei “virus di consumerizzazione dell’It”: “Facebook, Linkedin, Dropbox, Skype stanno colonizzando il mondo business; diventano strumenti di collaboration ‘spontanei’, magari efficaci, ma fuori controllo, su cui possono finire per essere esposti dati sensibili, con alti rischi in termini di sicurezza”.
Che la “vecchia e-mail” sia un mezzo ormai limitato, sembra dunque un concetto largamente assimilato. Nondimeno si percepisce una certa titubanza quando si tratta di fare dei passi avanti. Come si deve dunque procedere?
Servono cooperazione, obiettivi chiari…
Può apparire paradossale, ma un elemento fondamentale per attivare un percorso di trasformazione in chiave social è prima di tutto una reale cooperazione tra i diversi reparti aziendali, proprio quella che gli strumenti di collaborazione aiuteranno poi a consolidare: se l’It, il Marketing, le Lob non riescono ad accordarsi per lavorare insieme nel disegno di un progetto, è difficile che i tentativi fatti singolarmente da uno solo di questi attori possa avere successo né tantomeno che le tecnologie possano essere la soluzione del problema: “L’implementazione di una soluzione tecnologica ha certamente una valenza, ma è inutile se non viene accompagnata da una logica di change management che coinvolga sia It che Marketing”, ha infatti sottolineato Pierluigi Spagoni, Responsabile Marketing di Fiere di Parma. Anche Alessandro Chinnici, Social Business Software Consultant di Ibm, è d’accordo: “Abbiamo notato che tutti i progetti nati solo dall’It o imposti dalle Lob non hanno funzionato, al contrario di quelli in cui le parti hanno lavorato in modo coordinato”.
Si tratta, come ha detto Ferdinando Polato, Responsabile Sales Territorio Nord Est di Ibm, di trovare un compromesso tra norma e velocità: agire rapidamente, come il business impone, ma senza trascurare aspetti fondamentali che l’It ha ben presenti, quali quello della sicurezza. Due elementi possono aiutare in questo senso a creare coesione (si pensi ora soprattutto ai social come mezzo per interagire con i propri clienti): il primo è la misurazione dei risultati. Secondo Mattia Filippelli, Digital Specialist di Amadori, avere un metro di giudizio è importante: “Per coinvolgere le persone si deve far capire che i risultati ci sono, bisogna misurarsi: contare i contatti che aumentano, controllare se le visite al sito diventano più lunghe, capire i vantaggi che questo movimento ha sul piano del business”.
Certo, non sempre è facile parlare di Roi. Come ha spiegato Pierangelo Raffini, Direzione Marketing, Pr e Comunicazione di Best in Game, i benefici sono spesso riscontrabili solo a lungo termine, magari forti, ma sfumati e indiretti e, come ha spiegato Spagoni, è difficile andare a capitalizzare alcuni fenomeni, per esempio gli elementi di contenuto generati da una community, i cui follower non sono sempre “trasformabili” in clienti.
…e formazione continua
Un elemento che può agevolare questo riscontro, e al contempo favorire la cooperazione tra i diversi reparti aziendali, è procedere in modo modulare: creare progetti pilota su cui confrontarsi prima di allargare la scala d’azione oppure, come ha raccontato Filippelli, portare avanti diversi progetti mirati, con obiettivi chiari, e soprattutto scegliendo un project manager che di volta in volta può appartenere a un settore o a un altro, a seconda delle caratteristiche della singola attività.
È così di fatto che sta ora agendo Amadori, ormai nota per aver condotto un importante percorso digitale negli ultimi anni che ha rilanciato fortemente il marchio aziendale; ed è significativo anche che l’azienda si sia appena riorganizzata creando un team digital all’interno dei sistemi informativi, che include figure provenienti dal marketing: “Penso sia il modello giusto: chi, come me, ha lavorato all’interno del marketing, ha consapevolezza di quali siano le difficoltà di dialogo con l’It. Un team così composto può guidare meglio un percorso social, per sua natura trasversale”, dice ancora Filippelli.
Anche Ivan Parise, Crm Manager di Lago, colloca il proprio ruolo in una “intercapedine tra It e Marketing”: “Stiamo cercando – spiega il manager – di rendere il nostro Crm uno strumento utile per evidenziare le connessioni tra ciò che avviene sui social e gli introiti sul piano del business e gestire sia campagne marketing che customer service”; è chiara la necessità, per portare avanti un simile progetto tecnologico, di avere competenze su più fronti.
Stefano Turcatel, Cio di Alf Uno, sottolinea l’importanza di ritagliarsi uno spazio di reale sperimentazione, che come tale contempli anche la possibilità di sbagliare e migliorarsi attraverso gli errori fatti. Va poi garantito che, come fa notare Renzo Gatto, Responsabile Integrazione di Benetton, questo spazio non sia cannibalizzato dalle impellenze dell’attività quotidiana.
Altro elemento imprescindibile per la riuscita di un progetto social è la formazione: “Se le persone non iniziano effettivamente a utilizzare gli strumenti, la tecnologia diventa inutile”, dice Ingenito. “Bisogna accettare che all’inizio cambiare modo di lavorare comporterà una perdita di tempo, confortandosi pensando che poi nessuno vorrà tornare indietro”, sottolinea Parise. Dallara ha formato non solo il proprio staff interno, ma anche partner e fornitori per introdurli all’utilizzo degli strumenti implementati. “Si deve parlare di alfabetizzazione – dice Maurizio Salamone, Sales and Marketing Manager Italia di Metagenics e fondatore della community Linkedin “Nord Est Creativo” – chiunque non sia nativo digitale, deve imparare che cos’è ‘un like’ o ‘un follower’ e arrivare a conoscere qualcosa con cui non ha familiarità”.
Questa “cura” nel rendere effettivamente attivi gli strumenti (che deve essere costante nel tempo e non solo in fase di start-up), può evitare, come ha detto Francesco Reffo, Web and Digital Manager di Baxi, lo spettro del grande progetto social destinato a spegnersi nel giro di pochi mesi a causa della mancata adesione da parte dell’organico. Come spiega Chinnici, da questo punto di vista molto aiuta proporre strumenti dal funzionamento familiare, mutuando le caratteristiche dei social network più diffusi in ambito consumer.
Salamone sottolinea infine, sul piano culturale, l’importanza di superare un approccio competitivo per abbracciarne uno collaborativo: “Sono due diverse ottiche d’esistenza: vedere nelle persone con cui lavoro – fornitori, colleghi, clienti – degli alleati, e non dei rivali”. In questo senso, come è stato ricordato, è certamente d’aiuto un management capace di premiare la capacità di condivisione dei propri dipendenti, rendendo la collaborazione un valore aziendale riconosciuto.
Non c’è social enterprise senza collaboration interna
Molte riflessioni emerse si sono riferite in particolare al social come strumento di interfaccia tra azienda e clientela. Si è ricordata l’importanza di conoscere bene l’utenza e le sue abitudini, la difficoltà di gestire un customer care dove tutti pretendono risposte, hanno libertà di critica e possono commentare tutto pubblicamente, la necessità, tecnologicamente parlando, di avere piattaforme che semplifichino il dialogo sia con gli altri strumenti aziendali, sia con i social più diffusi. Ma ciò che è stato parallelamente fondamentale sottolineare, è che è scorretto ragionare sui social creando una spaccatura interno-esterno. Come ha fatto notare Nicoletta Boldrini, giornalista di ZeroUno, che ha mediato la tavola rotonda di Treviso, riferendosi ad alcune ricerche di Forrester, esiste una stretta correlazione tra il business capability network, ovvero la capacità aziendale d’ingaggio del cliente, e le varie capability interne; “Essere social enterprise significa raggiungere dei modelli di interazione, di scambio di informazione, uno snellimento e un’efficacia di processo prima all’interno, per poter poi agire correttamente anche all’esterno”. “C’è una certa coerenza: se un’azienda ragiona in modo collaborativo e si apre al social business internamente, lo fa anche verso i suoi clienti, e viceversa”, commenta Salamone. Non solo: la trasformazione aziendale interna – Amadori rappresenta certo un buon esempio – può diventare essa stessa un elemento di marketing, un modo per valorizzare il brand e avvicinare il mercato, facendo del cambiamento un elemento di attrazione.
Un’ultima nota, soprattutto per le aziende B2B: non è vero che se si hanno pochi clienti business i social diventano meno interessanti. Non solo perché la ristrutturazione interna porta vantaggi assolutamente trasversali, e non solo perché questi mezzi possono consolidare e favorire lo scambio con i clienti acquisiti; Dallara sta sfruttando i social con lo scopo di misurare il valore del suo brand, raccogliere informazioni sulla sua diffusione e capire se esistono possibilità di sviluppo in altri settori come quello, ad esempio, del merchandising: gli obiettivi per aprire un dialogo con il mercato possono essere svariati, diversi dal più ovvio e immediato “vendere di più”.
Ibm: strumenti per reinventare le regole della comunicazione Mobile, big data & analyitics, cloud, social: questi, secondo Ibm, i 4 temi tecnologici che possono aiutare le aziende a compiere quel percorso di trasformazione ormai irrinunciabile per mantenersi competitivi all’interno di un mercato che richiede sempre più velocità, flessibilità e spirito di adattamento. Per quanto riguarda l’ultimo di questi driver, la risposta che Big Blue dà alle imprese che vogliono abbracciare la filosofia Social si chiama “Ibm Connections Suite”, in cui convergono tutti i tool di collaborazione necessari per “reinventare” le regole della comunicazione nell’operatività quotidiana aziendale: social software, strumenti chat, soluzioni per la gestione e la condivisione dei contenuti, e con funzionalità di posta, meeting e produttività d’ufficio. Forte modularità e capacità di integrazione, per rispettare la legacy tecnologica e inserirsi nei contesti aziendali anche in modo complementare a soluzioni già in essere; adattabilità a tutti i sistemi operativi per favorire mobility e Byod; possibilità di fruire delle varie soluzioni anche in modalità cloud, con chiari vantaggi sul piano della flessibilità; infine, come ha sottolineato Alessandro Chinnici, Social Business Software Consultant di Ibm, semplicità d’utilizzo: “Abbiamo mantenuto la facilità e l'usabilità proprie degli strumenti consumer – come Facebook e Twitter – abbinate, però, a tutti i più rigorosi criteri di sicurezza e a strumenti di governance tipici del mondo Enterprise" Per quanto sia necessario un percorso strategico e culturale parallelo all’implementazione degli strumenti social, la tecnologia mantiene un ruolo importante come mezzo attorno al quale questo percorso si può concretizzare. Essa, ha commentato Alberto De Angelis, Responsabile MidMarket di Ibm, può anche divenire un luogo da cui partire per favorire un dialogo tra It e marketing che oggi spesso fatica ad attuarsi, e che è invece fondamentale per favorire questa importante trasformazione. |