ZeroUno ha realizzato una serie di interviste a Cio, It manager e altre figure dei Sistemi Informativi appartenenti a diverse realtà del settore pubblico e privato, al fine di indagare il tema Unified Communication & Collaboration, e in particolare di capire quali sono le criticità che rallentano una più larga adozione di questo tipo di strumenti (ricordiamo i principali: File e video sharing, Social networks, Unified contact center, Videoconferencing e Telepresence): quali problematiche tecnologiche, culturali o legate ai processi decisionali esistono? Ci sono freni di carattere economico? Che ruolo gioca la resistenza al cambiamento da parte degli utenti? Qui di seguito le riflessioni emerse da queste e altre domande che hanno guidato le interviste, da cui risulta chiaramente, opinione condivisa dalla grande maggioranza dei manager, che i veri problemi non sono di carattere tecnologico.
Figure “evangeliste” per favorire una formazione spontanea e capillare tra gli utenti
Come testimoniano alcune ricerche sul tema, il problema legato alla resistenza al cambiamento da parte degli utenti è un aspetto spesso sottovalutato dai team che si occupano di implementare soluzioni Ucc: nella fase di studio che precede questi progetti, i Sistemi Informativi si ritengono maggiormente preoccupati da aspetti economici di recupero dei budget e gestionali legati alla fase di implementazione e di lancio; si accorgono solo a fine lavori che invece, nei fatti, l’ostacolo decisamente più difficile da superare è stato cambiare le abitudini operative delle persone. I manager che abbiamo intervistato e che hanno già implementato strumenti Ucc nella propria realtà aziendale, confermano con decisione questa lettura: “I veri problemi da superare sono sostanzialmente culturali”, dice Luca Del Bosco, Cio del Collegio S. Carlo di Milano, Istituto oggi dotato di strumenti di videoconference e file sharing utilizzati per fini sia didattici sia operativi; per spiegare le difficoltà che gli utenti hanno nel cambiare il proprio modo di lavorare, il manager porta come esempio la sempreverde dipendenza dal mezzo telefonico: “Avere il telefono sulla scrivania è diventato una sorta di status symbol e trasmette un’idea di controllo a cui gli utenti sono affezionati e che difendono, anche oggi quando un’applicazione Ucc è in grado di rimpiazzare la sua funzione”, dice Del Bosco, sottolineando la contraddizione che spesso si crea tra l’atteggiamento di apertura nei confronti dell’innovazione tecnologica nella sfera privata e la ritrosia che emerge invece in quella professionale: “Per qualche motivo, quando si entra in azienda, l’atteggiamento cambia: subentra il timore che la tecnologia possa fallire”.
Maurizio Caiazza, Infrastructure Management and Technical Architectures Manager presso Coop Consorzio Nord Ovest individua una possibile ragione collegata a questa ritrosia; pensando ai sistemi di instant messaging e alla funzione a questi collegata che richiede di segnalare la propria presenza/assenza dalla postazione, dice: “Per alcuni utenti questi sistemi significano aprirsi a un nuovo mondo, invece per altri, e non necessariamente perché siano in cattiva fede, significano solo ‘sentirsi controllati’: leggono queste soluzioni come strumenti invasivi, implementati per verificare che il loro comportamento risulti sempre ineccepibile”; una prospettiva che prova l’estrema importanza di promuovere, accanto alla tecnologia, i valori partecipativi della collaboration in opposizione a quelli tipici del modello gerarchico.
Oltre a questo, cos’altro si può fare per superare questo scetticismo? Tre gli aspetti su cui si sono concentrati gli intervistati:
1) Conoscere le abitudini dei propri colleghi. “A un certo punto è nata in me la consapevolezza che stavo sbagliando: ero chiuso in una sala macchine, e invece dovevo lavorare in mezzo alle persone. Questa era la strada giusta per supportare realmente il business” dice Claudio Umana, It Director di Fracarro Radioindustrie, realtà che da anni, sfruttando i vantaggi del Saas, utilizza in modo massiccio e continuativo gli strumenti Google Apps for Work. Andrea Bettoni, Ict manager di Diapath (azienda del settore medicale), sulla stessa linea sottolinea l’importanza di capire come i propri utenti operino nella loro quotidianità: “Non ci si deve dimenticare, come prima cosa, di parlare con i colleghi e chiedere loro cosa fanno durante la giornata lavorativa, come e con chi interagiscono.
2) Introdurre gli strumenti in modo graduale e pianificare una formazione tramite figure “evangeliste”. Del Bosco e altri intervistati hanno sottolineato, a proposito della formazione, l’importanza di scegliere in una prima fase degli “alunni” particolarmente recettivi, da preparare possibilmente attraverso un training pratico (“Si impara meglio se qualcuno ti assiste mentre lo strumento lo stai usando per qualcosa che davvero devi fare e fa parte del tuo lavoro”, dice Del Bosco). Queste figure “evangeliste” sono preziose non solo perché, divenendo insegnanti per i colleghi, consentono una formazione capillare in azienda, ma perché sono persone capaci di accettare le imperfezioni che in una prima fase di rodaggio possono presentarsi, e che invece per lavoratori meno flessibili potrebbero rappresentare un deterrente. Questi utenti “intermediari” favoriscono una meccanismo di coinvolgimento più spontaneo, senza costrizioni: è importante infatti che gli strumenti entrino a far parte dei processi aziendali gradualmente e abbiano il tempo di essere assimilati.
3) Essere di supporto nella fase operativa. Anche dopo la fase della prima formazione, è importante non lasciare gli utenti soli. I Sistemi Informativi devono fornire sempre un buon servizio di Help Desk (anche da remoto, sfruttando le stesse funzionalità delle piattaforme Ucc implementate). C’è comunque un momento di svolta oltre il quale le dinamiche si semplificano: “Se viene attuata una operazione di sensibilizzazione capillare sufficiente – ha detto Graziano De Petris, Responsabile dell’Ufficio Privacy e Sicurezza dei dati dell’Azienda Ospedaliero Universitaria “Ospedali Riuniti” di Trieste – anche quando si riscontra una forte resistenza iniziale, gli utenti finiscono per apprezzare la soluzione implementata e arriva il momento in cui non possono più rinunciarvi”.
Problemi tecnologici: alcuni sono reali, altri solo un pretesto
Sul fronte tecnologico, le interviste hanno fatto emergere un dato importante: esistono problemi assolutamente reali, ma accanto a questo si “confondono” criticità superabili a una attenta analisi, e in questi casi il vero freno è nuovamente di carattere culturale. Come è già stato fatto notare precedentemente, le ricerche evidenziano una sopravvalutazione delle difficoltà legate alla fase di implementazione, che come gli intervistati confermano risulta poi gestibile, se ben pianificata: “Dal punto di vista tecnologico non ci sono stati problemi insormontabili – dice Umana raccontando la propria esperienza – Certamente, abbiamo dovuto affrontare con tutta la serietà necessaria una migrazione verso un sistema innovativo, e il fatto che questo fosse in cloud ha richiesto dei punti d’attenzione particolari, [legati per esempio alla disponibilità di banda o alla sicurezza, ndr]; ma è un processo che se viene ben pianificato, è affrontabile”. Anche i dubbi che riguardano la sicurezza, come ha sottolineato lo stesso Umana, non sempre sono fondati. Prima il manager cita i sistemi di doppia e tripla autenticazione che la soluzione Google scelta prevede per gestire in modo efficace gli accessi, quindi fa una riflessione di carattere più ampio: “Alcuni colleghi si nascondono dietro al problema della sicurezza. Sono ancorati all’idea che il dato sia sicuro se resta vicino – dice, riferendosi in particolare alle soluzioni Ucc cloud based – In realtà avere i server in casa non dà garanzie: uno dei problemi maggiori dei sistemi tradizionali in campo sicurezza è che la scoperta delle intrusioni in molti casi avviene dopo anni; ci si sente tranquilli solo perché non si sa di essere attaccati”. Il manager sottolinea poi come i migliori fornitori di servizi cloud abbiano certificazioni impossibili da ottenere per una Pmi, quindi puntualizza: “È un problema anche di mancanza di informazione e conoscenza della materia: ho sentito spesso, per esempio, citare come freno la privacy inappropriatamente, senza che si conoscessero davvero i contenuti delle normative in discussione”; manca un buon sistema di informazione di riferimento in campo compliance (materia complessa anche perché variabile e diversamente restrittiva di settore in settore) e dunque ogni responsabile It che decide di approcciare un servizio cloud, in campo Ucc ma non solo, deve riuscire a studiare le normative in materia di security e capire bene cosa viene richiesto.
Tra i problemi tecnologici invece oggettivi, il più difficile da superare è quello legato alla banda: “Per implementare i nostri sistemi di videoconference, Webex di Cisco e Vidyo – dice Bettoni – abbiamo dovuto far posare apposta la fibra ottica. Se non c’è una buona copertura, alcuni sistemi restano preclusi salvo investimenti infrastrutturali importanti”.
Dialogare con il management e coinvolgere i dipartimenti “trasversali” all’azienda
Qual è il modo corretto di proporre, organizzare e orchestrare una transizione verso sistemi Ucc? Quali sono le criticità che possono rendere il percorso più difficoltoso? Com’è ovvio, l’appoggio del management è fondamentale e il consiglio è, nella proposta del progetto, di avere un approccio estremamente “esperienziale”, mostrando concretamente, soluzione alla mano, le funzionalità dello strumento che si vuol proporre. Una difficoltà che potrebbe emergere, si lega alla consumerizzazione: “Il rischio – avverte Bettoni – è che il business, attratto dal fatto che siano gratis, proponga l’uso di strumenti consumer a cui è abituato, in realtà inadatti al contesto aziendale perché privi di sistemi di gestione centralizzati, garanzie in campo security e altre funzionalità non trascurabili”. Come sottolinea Umana non è però generalmente il Top Management, che spesso coglie rapidamente l’impatto positivo che l’Ucc può avere sull’azienda in termini di costi ed efficienza operativa, a dare i maggiori problemi: “I sistemi Ucc favoriscono un modello operativo orizzontale, basato sulla trasparenza e sulla cooperazione che promuove la meritocrazia e valorizza i talenti, che può spaventare più il Middle management, attento a difendere il proprio ruolo da intermediario e la propria posizione privilegiata nella gerarchia aziendale”.
I problemi maggiori sembrano però emergere negli enti pubblici. Secondo Dario Cobalchini, Project Manager del Comune di Marostica (Vi), manca ancora la maturità culturale per abbracciare progetti di Ucc: le giunte percepiscono l’esigenza di strumenti di questo tipo soprattutto nelle fasi di particolare picco di lavoro, ma non hanno la collaborazione dei funzionari comunali, che spesso non trovano tempi e motivazioni sufficienti ad apprezzare e sostenere i progetti (“C’è più la ricerca dell’ostacolo che non dei vantaggi”, dice il manager). Una forte criticità è poi rappresentata dall’alternarsi delle giunte, dalle quali potrebbe appunto arrivare la spinta al cambiamento, ma che variando spesso, e avendo comunque altre priorità, possono non trovare i tempi necessari per pensare e poi gestire il progetto, senza contare, come spiega lo stesso Cobalchini, che in alcuni contesti pubblici si ha più difficoltà a misurare vantaggi e guadagni che possono derivare dall’implementazioni di strumenti Ucc non essendoci, come nelle aziende, un riscontro chiaro in termini di produttività. Anche De Petris, nel contesto sanitario in cui opera, segnala come penalizzante il turnover triennale della dirigenza a livello regionale: “È chiaro che quando viene implementata una soluzione ci vuole tempo per gestire i cambiamenti che ne conseguono: serve che la successiva dirigenza abbracci e porti avanti il progetto, e che così gli utenti abbiano il tempo di sperimentare il valore della soluzione”. A questo si aggiungano carenza di risorse e mancanza di regole che impongano budget finalizzati specificatamente al capitolo security (un obbligo legislativo che imponesse di dedicare sin dal principio delle percentuali dell’investimento alla messa in sicurezza dei sistemi implementati sarebbe, per De Petris, di grande utilità, essendo il tema centrale quando si vuole operare in strutture dell’ambito sanitario).
Tornando al contesto privato, Umana segnala tra le chiavi di successo, il coinvolgimento di almeno tre aree aziendali che in particolare dovrebbero lavorare insieme ai Sistemi informativi: Qualità, Controllo di gestione e Risorse umane. “Sono figure trasversali che operano con tutti i reparti aziendali. Se vengono coinvolte possono dare un forte contributo per creare lo spirito di complicità e collaborazione necessario”, dice il manager, che poi ricorda, come già accennato, che alla rivoluzione tecnologica se ne deve accompagnare sempre una ‘filosofica’: “Stiamo vivendo un periodo molto interessante dal punto di vista della trasformazione delle organizzazioni. Con questi strumenti l’uomo torna a essere il protagonista: non esistono più persone pagate per pensare e altre per eseguire, grazie a questi strumenti tutti possono collaborare attivamente. È importante che gli utenti abbraccino anche questi nuovi valori”.