Ufficio borderless e collaborativo: la tecnologia è alla base

I dispositivi mobili e gli strumenti per la social business collaboration stanno ridisegnando il workplace, sotto il profilo sia degli spazi fisici, che si adattano ai nuovi stili di vita e ai modelli relazionali, sia della piramide gerarchica, verso un progressivo appiattimento. Quali sono i risvolti culturali e le tecnologie abilitanti questa trasformazione? Se ne è discusso durante un recente Webcast organizzato da ZeroUno in collaborazione con Intel

Pubblicato il 08 Giu 2015

Nell’azienda digitalizzata e senza confini, spazi e dinamiche lavorative si vanno riconfigurando all’insegna di mobility e collaboration. Ma quali strumenti It permettono di guidare il cambiamento, garantendo governance e sicurezza, pur liberando performance e creatività? Il Webcast realizzato da ZeroUno in collaborazione con Intel ha indagato su questi temi, discutendone i risvolti tecnologici, organizzativi e culturali.

“Parlare di workplace transformation – ha esordito Stefano Uberti Foppa, direttore di ZeroUno – significa prendere in considerazione due fenomeni interdipendenti: la rivoluzione digitale sociale (che riguarda la sfera privata del singolo, nel modo che ha di relazionarsi, accedere alle informazioni, fare acquisti e così via) e aziendale (che determina la trasformazione dei modelli organizzativi e di business)”. Come afferma Uberti Foppa, le tecnologie ereditate dal mondo consumer prendono posto in azienda per abilitare nuovi processi collaborativi e cognitivi, favorendo le interazioni nell’impresa liquida e distribuita: “All’It spetta il difficile compito di governare il nuovo ecosistema mobile-oriented, attraverso tool per la gestione dei dispositivi e delle applicazioni assicurando l’equilibrio tra sicurezza / privacy e prestazioni / usability”.

Aziende italiane verso la workplace transformation

I relatori, da sinistra: Stefano Uberti Foppa, direttore di ZeroUno, Stefano Mainetti, Codirettore Scientifico dell’Osservatorio Cloud & ICT as a Service della School of Management del Politecnico di Milano e Andrea Toigo, Pre-sales Director Southern Central and Eastern Europe di Intel

“È cambiato il modo di lavorare – interviene Stefano Mainetti, Codirettore Scientifico dell’Osservatorio Cloud & ICT as a Service della School of Management del Politecnico di Milano – da un’organizzazione basata su mansioni, spazi e tempi codificati, oggi si ragiona secondo logiche di risultato, orari flessibili, bilanciamento tra vita privata e professionale”. Tempistiche e modalità della trasformazione sono peculiari all’azienda: più lanciate le società It e di consulenza (knowledge oriented) o interessate da operazioni di M&A, più restii i settori rigidamente strutturati (task oriented), come il manufacturing. A trainare l’innovazione, due direttrici: la digitalizzazione del modo di lavorare e la consumerizzazione. “Da un approccio tradizionale – sintetizza Mainetti -, si è passati a quello prescrittivo con l’introduzione fallimentare dell’Intranet, troppo orientata ai bisogni di processo e alla fruizione via desktop. E poi c’è stato lo tsunami del Byod, con la diffusione in azienda di device personali, senza l’implementazione di adeguate strategie di security”.

Figura 1: l'utilizzo delle tecnologie "Smart" e l'interesse da parte degli utenti. Fonte: Osservatorio Smart Working – School of Management Politecnico di Milano

Resta da individuare la strategia corretta da seguire a fronte di una trasformazione inarrestabile, come sostanziano i numeri 2014 dell’Osservatorio Smart Working della School of Management del Politecnico di Milano: su 1000 professionals, il 69% dei dirigenti utilizza quotidianamente in azienda tecnologie Ucc, mentre la metà fa uso del Social Computing e il 64% dichiara di lavorare in mobilità. Le percentuali di adozione si abbassano con riferimento a quadri e impiegati, ma la propensione all’utilizzo di soluzioni per il digital workspace è evidente in tutti i contesti. Smartphone, portatili e tablet hanno un tasso di penetrazione in azienda rispettivamente del 41, 32 e 25%, ma il dato che porta a riflettere è l’incidenza del Byod: il 54% degli smartphone e delle tavolette intelligenti è personale. “C’è un gap profondo – sottolinea Mainetti – tra le aziende, che non sono pronte al cambiamento, e gli utenti, che chiedono per le proprie attività lavorative strumenti performanti quanto quelli consumer. La social business collaboration come leva di competitività è la vera sfida, che, incoraggiata dalle Lob, incontra la sponsorship del Ceo e del top management, ma che non può prescindere dal coinvolgimento delle funzioni trasversali come l’It”.

L’It per cucire il gap di visione tra azienda e dipendenti

L’intervento di Andrea Toigo, Pre-sales Director Southern Central and Eastern Europe di Intel, porta l’attenzione sulla discrasia di visione tra aziende, che inseguono obiettivi di stabilità e governance, e dipendenti, che pretendono autonomia e lavoro da remoto (esigenze sempre più sentite, visto che, secondo le statistiche, tra un lustro la metà dei lavoratori sarà costituita dai Millennials nati dopo il 1985). “Bridge the gap!” è l’esortazione di Toigo. Ma come possono le attuali tecnologie supportare la workplace transformation? “Bisogna abilitare strumenti veloci e intuitivi per la comunicazione a distanza (ad esempio, sistemi di telepresence) – suggerisce il Pre-Sales Director -, ridisegnare le infrastrutture per supportare la molteplicità dei dispositivi, agire sui livelli di produttività personale, attraverso la semplificazione di sistemi e processi. Il tutto salvaguardando la sicurezza degli asset aziendali”. Alle tecnologie si chiedono performance e intuitività consumer, con caratteristiche di robustezza e security di fascia enterprise. “La nostra risposta – suggerisce Toigo – si chiama Intel Core vPro, la classe di processori di quinta generazione che permette di ottimizzare le prestazioni, la gestibilità e la sicurezza dei pc professionali, vantando oltre 100 milioni di installazioni a livello globale”(vedi box).

Le domande: gli impatti del cambiamento e come gestirli

Se le innovazioni di Intel contribuiscono alla nuova concezione di workplace, le domande degli utenti pervenute prima e durante la diretta streaming evidenziano una trasformazione ancora agli stadi iniziali. Ci si interroga sugli impatti del cambiamento, sotto il profilo organizzativo e di riconfigurazione degli spazi fisici. Mainetti insiste sul processo di appiattimento (flattering) della piramide aziendale, verso una struttura simile alle startup della Silicon Valley e attrattiva per i giovani talenti (un network collaborativo di persone aventi pari diritti, con un leader carismatico, successioni non programmate, l’individuo che prevale sull’organizzazione). I nuovi ambienti di lavoro, invece, saranno caratterizzati da spazi per gli incontri fisici, sale per le videoconferenze, luoghi di ricreazione che agevolino l’integrazione tra vita privata e professionale.

Alcuni utenti hanno lamentato un ritardo italiano verso questi temi. “La workplace transformation – fa notare Toigo, sottolineando l’impegno dei vendor verso l’innovazione – richiede un cambio culturale: il lavoro non è più un luogo, ma un’attività. Questo salto di paradigma richiede ancora tempo, soprattutto in Italia, ma le tecnologie per abilitare la rivoluzione stanno arrivando e vanno verso un’interazione uomo-macchina sempre più intuitiva”. “Le tecnologie sono ‘rock’ – aggiunge Mainetti, parafrasando Celentano che definiva ‘rock’ tutto ciò che indica modernità, ma anche sostenibilità sociale -, ma non le aziende. Tuttavia, i nostri Osservatori hanno rilevato la volontà di investire nel cambiamento (ad esempio, nel 2014, i progetti di Mdm sono cresciuti del 40%)”. Non si può scappare dalla rivoluzione: “Abbiamo riscontrato ritorni impressionanti esaminando 102 casi di Social Business Collaboration – prosegue il codirettore scientifico -. Certo non bisogna essere miopi e valutare un’iniziativa solo sul Tco, ma piuttosto ragionare in termini di valore per il business e sui benefici ottenibili (rapidità di decisione e azione, che aumenta la profittabilità)”. Itil e best practice, come viene risposto dai relatori a una domanda di un utente, possono offrire un modello referenziale per il digital workplace, ma non devono imbrigliare un processo che deve nascere all’insegna dell’agility e della creatività.


Intel per l’innovazione del workspace

Fondata nel 1968 e con sede a Santa Clara (California), Intel progetta e sviluppa tecnologie a semiconduttore alla base dei dispositivi informatici di tutto il mondo. A supporto della workplace transformation, il vendor propone la quinta generazione di processori Intel Core vPro, che permette di ottimizzare le prestazioni, la gestibilità e la sicurezza dei pc e dei device professionali, vantando oltre 100 milioni di installazioni a livello globale. Secondo le dichiarazioni della multinazionale, oggi la piattaforma è in grado di garantire una velocità di 2,5 superiore e il triplo di durata della batteria rispetto alla versione precedente, fattori di forma ottimizzati per ciascun utente (la nuova frontiera sono i tablet convertibili e la drastica riduzione di peso/ingombro dei dispositivi), esperienze di wireless display e docking wireless (collegamento automatico di monitor, tastiera, mouse e accessori usb senza l’ausilio di cavi). La sicurezza è un altro punto di attenzione importante nella roadmap evolutiva del portfolio, garantita, ad esempio, attraverso funzionalità integrate di crittografia e identity protection. Torna su

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