Unified communications and collaboration, Idc e il viaggio verso la comunicazione unificata

Ucc e partner commerciali: come le tecnologie supportano la collaborazione tra aziende differenti ma operanti nello stesso ecosistema? Quali sono leve e freni che condizionano le azioni delle imprese? In un mercato complesso come quello attuale – che spinge le aziende a migliorare le proprie performance attraverso la digitalizzazione da un lato e a stringere sempre più alleanze strategiche per mantenersi competitive dall’altro – riflettere su queste forme di “collaborazione allargata” diventa
di particolare rilevanza. Ne abbiamo parlato con Daniela Rao, Research Director di Idc

Pubblicato il 27 Apr 2016

Come le aziende stanno sfruttando le tecnologie Ucc, non semplicemente per una migliore comunicazione interna, ma per agevolare il dialogo con i propri partner di business (fornitori, distributori, attori della supply chain ecc.)?

Daniela Rao, Research Director, Idc

Per rispondere a questa domanda ZeroUno ha intervistato Daniela Rao, Research Director di Idc, che ha subito inquadrato questa particolare tematica all’interno di un più ampio percorso di collaboration che le aziende stanno affrontando, e che la stessa Idc scandisce in tre fasi (vedi figura): alla prima fase, che potremmo definire di puro avvicinamento all’Ucc (si procede con progetti pilota sperimentali e il motore principale è la riduzione dei costi operativi), ne segue una in cui le imprese intraprendono azioni più consapevoli, hanno budget dedicati, e acquisiscono, sia lato It sia lato Lob, una maggiore maturità anche culturale; la terza fase, la più evoluta, si caratterizza invece proprio per una forma di Ucc che si spinge oltre i confini aziendali: “L’ultima tappa del Journey – dice Rao – è legata a una evoluzione della piattaforma di collaboration che, integrando e sistematizzando i processi, permette all’azienda ‘capofila’ [rispetto alle realtà coinvolte nella filiera produttiva – ndr] di avere una soluzione che controlla, facilita e fluidifica le comunicazioni all’interno di una business commuity fatta di fornitori, partner, distributori ecc.”; non è semplice approdare a quest’ultimo livello di Ucc: “In Italia, dove solo dalla fine del 2014 si è effettivamente iniziata a vedere una accelerazione verso modelli comunicativi evoluti, abbiamo ancora diversi passi da compiere: l’azienda capo-filiera deve avere un approccio strutturato a tutta la tematica della comunicazione; riescono a farlo le grandi realtà, ma già le imprese di media dimensione faticano”.

Il percorso della Unified Communication & Collaboration delle aziende – fonte: Idc

In questo modello di business community evoluto, la realtà che si fa garante della comunicazione tra tutti gli interlocutori, deve infatti anche avere l’autorità per guidare le altre aziende: “Si deve essere in grado di ‘imporre’ l’utilizzo della soluzione a tutti i partner coinvolti – dice Rao (è scontato che l’imposizione debba essere inevitabilmente supportata da una adeguata formazione e preceduta da un’analisi che rilevi la predisposizione degli utenti ad abbracciare i nuovi strumenti) – Il top management deve essere evoluto: avere un approccio strategico, valutare il Roi dei progetti fatti, essere sempre pronto a riadattarsi rispetto alle esigenze della community e prepararsi ad affrontare spese impreviste”. Come spiega l’analista, i costi non sono infatti solo quelli dell’integrazione della soluzione, ma anche quelli derivati da problematiche che insorgono mesi dopo, se, per esempio, alcuni componenti della supply chain si manifestano reticenti sull’adozione di un determinato sistema perché integrarlo imporrebbe il riadattamento di altri componenti già presenti. Il capo-filiera si trova dunque investito dell’ulteriore responsabilità di studiare forme di convincimento per superare eventuali freni dei partner coinvolti, una mission che in certi casi ha spinto alcune grandi aziende a regalare dei device mobili a questi interlocutori di business per cercare di incentivare processi di integrazione difficoltosi. A rendere l’obiettivo ulteriormente ambizioso, le peculiarità del caso italiano: “Man mano che si ridiscende la filiera distributiva, si ha un progressivo sgretolamento verso soggetti piccoli e vicini sul territorio; tra questi la comunicazione è totalmente destrutturata, come quella che può avvenire tra privati”: diventa difficile coinvolgere queste realtà in modelli comunicativi come quelli descritti.

Premesse per una Ucc che va oltre i confini aziendali

Riflettere sull’Ucc intesa in questa chiave “estesa”, come sottolinea Rao, è certamente di interesse in un mercato difficile da scalare come quello attuale, che spinge le aziende a “fare gruppo”, aumentando di conseguenza la domanda di sistemi di comunicazione solidi e flessibili che favoriscano questa forma di collaborazione allargata. Ma quali sono le premesse necessarie a un simile percorso? Due in particolare:

  • Sistemi integrati, se possibile dello stesso vendor – Tante funzionalità, tanti utenti che fruiscono delle soluzioni, device eterogenei da gestire: all’Ucc si legano molti fattori di complessità che non possono che aumentare se il controllo da parte dell’It si va a estendere oltre i confini aziendali. Come affrontarli? “La tendenza è quella di unificare sotto un unico sistema tutte le funzioni di comunicazione che avvengono internamente e verso l’esterno dell’azienda – spiega Rao – In genere questo si concretizza con l’adozione della suite di un unico grande vendor; sono pochi quelli effettivamente in grado di guardare a tutta la tematica nel suo complesso: dalla rete, che deve diventare sempre più intelligente, flessibile, potente, fino ai device e alle applicazioni, queste ultime integrate in modo da garantire lo switch rapido tra le varie funzioni mail, instant messaging, condivisione contenuti ecc.”. Esiste però il problema del legacy: “La maggioranza delle aziende, non volendo abbandonare strumenti già acquisiti, si adatta orchestrando soluzioni ibride”, dice Rao; e la prova tangibile di come questi processi di ottimizzazione non siano considerati prioritari, è il perdurare dei telefoni fissi sulle scrivanie degli uffici.
  • Una banda performante, o almeno sufficiente per le funzionalità non video – “La banda ‘non è mai abbastanza’, ed è vero che l’Italia è sotto ai livelli di altri paesi europei, ma la nostra copertura non è scarsa se si considerano le complessità geografiche del territorio e la forte distribuzione di persone e aziende”, dice l’analista, che quindi sottolinea come in campo Ucc il canale video non sia l’aspetto su cui le aziende si stanno concentrando maggiormente: “In Europa il focus di tutti i progetti Ucc è migliorare la comunicazione voce per renderla più fluida”, dice l’analista e quindi risuta sufficiente un Adsl minimamente accettabile..

Mobility e consumerizzazione: leve di cambiamento…

“Il fronte mobile si conferma potente nel nostro Paese – dice Rao – Si conta una sim aziendale per ogni due lavoratori e siamo il mercato più sensibile in Europa per gli smartphone di fascia alta, più costosi e performanti”. Secondo l’analista, l’Ucc è entrato nelle Pmi, spesso inconsapevolmente, proprio attraverso l’uso di applicazioni mobili dedicate alla collaborazione, soprattutto di tipo consumer.

Proprio la consumerizzazione, leva di trasformazione, ha però una seconda faccia: farsi “sedurre” dalle applicazioni non business, significa per l’It rinunciare a ogni forma di controllo e di garanzia sul piano della sicurezza, un aspetto molto delicato per le imprese, aggravato oltretutto dalle ulteriori complicazioni legate alla diffusione del Byod. “Le informazioni condivise in una business community – dice Rao tornando al focus qui trattato – che viaggiano quindi esternamente all’azienda, sono esposte a forti rischi in termini di sicurezza; per questo è particolarmente consigliabile avere una soluzione unica, organica nei suoi vari componenti, che offre generalmente più garanzie di security rispetto a un sistema ibrido”.

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