Una parte sempre più consistente delle nostre vite si sta trasferendo on line, complici i lockdown da Covid-19 che hanno diffuso questo trend anche in fasce di popolazione prima insospettabile. Ecco perché salta ancora più all’occhio il dominio delle Big Tech sull’uso di internet e il loro controllo sui dati personali. Da questa crescente consapevolezza nasce Web3, la terza incarnazione della rete che promette di restituire il potere agli utenti sfruttando la blockchain.
La personalizzazione e l’influenza che oggi internet è in grado di esercitare su chiunque vi navighi, pur restando convenienti, stanno diventando sempre più invasive. Emerge così la necessità di difendersi da eventuali abusi di dati personali da parte di chi ha un netto dominio del mercato, da player come Google (Alphabet), Amazon, Meta (precedentemente Facebook), Netflix, Microsoft e Apple che da soli intercettano il 43% del traffico totale della rete.
Con il Web3 solo nodi e nessun centro
La decentralizzazione è il fattore differenziante di questa emergente iterazione di Internet, open-source ma anche trustless e permissionless, grazie alla blockchain. Dalla struttura client/server in cui i dati sono gestiti e conservati da soggetti centrali fidati, si passa quindi a un registro distribuito su una rete peer to peer. L’obiettivo è quello di creare una nuova economia digitale basata sulla partecipazione diffusa, incoraggiandola con la promessa di guadagni in criptovalute e l’eliminazione di monopoli, pubblicità e abbonamenti.
Coniato dal fondatore di Ethereum Gavin Wood, il concetto di Web3 risale al 2014, ma è dal 2021 che si sta affermando grazie alla popolarità di blockchain e NFT, agli investimenti dei Venture Capital e all’aumento delle preoccupazioni per un sistema centralizzato e gestito da pochi grandi soggetti. Restiamo però tutt’ora nell’era del Web 2.0, quella dei social media e dei marketplace, delle interazioni tra utenti e della creazione e produzione di contenuti. Prima del 2004 abbiamo sperimentato da utenti totalmente passivi il Web 1.0, un read-only web composto da pagine create per mostrare informazioni e basato su applicazioni come il browser, per l’accesso ai siti, e i motori di ricerca.
Se il Web 2.0 ha innovato il front-end, il Web3 punta a cambiare il back-end, mantenendo per lo meno inizialmente lo stesso look and feel a cui siamo abituati. Esistono diverse descrizioni del nuovo mondo digitale a cui si guarda con speranza o scetticismo, ma in esse ricorrono alcune caratteristiche che molto probabilmente lo distingueranno. Il single-sign-on anonimo, la proprietà individuale e la tokenizzazione.
Nel Web3 si potrà accedere a tutti i siti con un solo nome utente e metodo di autenticazione, senza dover rinunciare al controllo dei dati personali sensibili, ma anche senza fare singoli login per ogni sito, come nel Web2. Per spingere alla partecipazione gli utenti, inoltre, a chiunque contribuirà al Web3 saranno offerti token. In forma di NFT o di cripto, questo incoraggiamento concreto distribuisce anche proprietà in base a cui votare le regole di un sito, poi eseguite da smart contract.
Questa nuova configurazione non lascia i dati nelle mani di strutture di governo centrali, ma li archivia in più copie su una rete di computer peer to peer. La gestione seguirà regole garantite dal consenso dei partecipanti a tale network e formalizzate all’interno di protocolli, essenziali anche per tutte le specifiche applicazioni che spunteranno per poter offrire agli utenti servizi di ogni genere.
Dalle app alle dApp, più sicure e resilienti
Qualsiasi app eseguita su una rete di computer peer to peer è detta decentralizzata, solo se si basa sulla blockchain è una dApp utilizzabile nel Web3. Rispetto a quelle 2.0 a cui siamo abituati, ha un funzionamento definito con uno smart contract e non utilizza server proprietari: la differenza, quindi, è tutta nel back-end e porta tre principali vantaggi.
- Resilienza: non dipendendo da alcuna entità centrale, il funzionamento è garantito anche in caso di indisponibilità di nodi della rete, attacchi esterni o censure governative
- Sicurezza: per proteggere gli scambi di informazioni sulla rete blockchain si utilizza la crittografia con la certezza che nulla sia inviato a server esterni. I dati restano a disposizione del proprietario permettendogli di controllare anche i contenuti prodotti
- Anonimato: un wallet con indirizzo blockchain e chiavi crittografiche ha sostituito l’accoppiata username/password nel processo di autenticazione, aprendo alla possibilità di restare anonimi
Nella finanza la DeFi (Decentralized Finance) è ormai un trend affermato ed esistono diverse dApp, come anche nel mondo del game o dei social, o nei mercati di cripto e NFT, ma gli altri settori sono piuttosto fermi. Il Web3 appare come un nuovo mondo ancora da costruite e animare, quindi, e proprio con questa mission nel 2017 è stata creata (sempre da Gavin Wood con Ashley Tyson e Peter Czaban) la società di blockchain Web3 Foundation.
C’è chi dice no: i sospetti sul Web3
Se c’è chi stravede per il Web3 e preme per una transizione generale verso questo nuovo internet reputandolo davvero libero, c’è anche chi per “free web” intende tutt’altro. La Yesterweb community, per esempio, ritiene sia necessario “coltivare la creatività e la diversità nelle pagine web e nell’infrastruttura sociale digitale” per fare di internet un “luogo” migliore. Nel sito “Keep the web free, say not to web3” questa organizzazione spiega perché la strada immaginata da Wood sarebbe sbagliata o, adirittura, pericolosa. Senza dover prendere una posizione, è interessante esplorare le argomentazioni riportate per porsi di fronte alla novità del Web3 in modo aperto, ma disincantato.
Secondo Yesterweb, il nuovo internet è guidato da tattiche di marketing predatorie e segue le linee simili a quelle di uno schema Ponzi, facendo leva sulla asimmetria informativa per ingannare chi non possiede complesse conoscenze tecnologiche e finanziarie. Più che inclusiva, quindi, sarebbe esclusiva. Porterebbe infatti vantaggi solo agli early adopters e ai big player tradizionali, gli unici in grado di investirvi già ora affrontando un alto rischio. Ciò porterebbe “alla creazione del sistema che già esiste, ma con nuovi giocatori che lo controllano”. Se il Web3 finisse in mano a pochi investitori, sfruttando denaro, potere e influenza sarebbero loro a guidarne lo sviluppo mettendo voce anche sul protocollo.
Un’altra obiezione riguarda la scarsità artificiale, la” falsa mancanza” di qualcosa che in realtà gode di un’abbondanza teoricamente illimitata. È con questo meccanismo che, secondo Yesterweb, il Web3 trarrebbe profitto e lo farebbe a scapito dell’ambiente. Secondo il Cambridge Bitcoin Electricity Consumption Index, infatti, la potenza di calcolo richiesta dalla blockchain richiede la stessa energia di una piccola nazione. Anche al di fuori di questa community circolano simili perplessità e alcuni altri dubbi sulla scalabilità del sistema, sulla promessa di sovranità online e sul cambio di mindset richiesto agli utenti, affatto scontato.
Web3 vs Web2: prima lo scontro, poi la convivenza
Esistono degli scogli anche dal punto di vista infrastrutturale e tecnologico da superare se si desidera che il Web3 prenda il sopravvento sul Web2. Le diverse dApps esistenti non hanno un’ampia infrastruttura come quella dell’attuale internet attorno: se non inserite in un ecosistema complessivo e interoperabile restano progetti anche apprezzabili, ma isolati e poco utili. Per poter davvero funzionare, il Web3 dovrebbe permettere agli utenti di muoversi agevolmente, tramite browser, da una piattaforma all’altra, migliorando anche la velocità e la usabilità delle sue applicazioni.
Risolta questa criticità, arriveranno gli utenti abbandoneranno in massa il Web2 per approdare nel Web3? Non è scontato. Sarebbe infatti un errore sottovalutare i vantaggi della centralizzazione della rete: zero responsabilità, massima semplicità di utilizzo, totale delega su decisioni importanti e nessun coinvolgimento economico. Difficile prevedere quanti saranno disposti a rinunciarvi in nome della decentralizzazione.
Secondo diversi esperti lo scenario più probabile, per lo meno nel futuro prossimo, è una fase di competizione e poi di convivenza tra Web2 e Web3. Pochi, per lo meno inizialmente, vorranno e sapranno collaborare allo sviluppo di questo nuovo ecosistema che potrebbe crescere parallelamente all’attuale, diventando il corrispettivo digitale delle cooperative. Capaci di coesistere con le imprese tradizionali, queste realtà infatti propongono un modello innovativo e disruptive, apprezzato da molti ma non adatto a tutti.