Conviene a un’azienda media investire in un Centro d’Eccellenza aziendale per la Soa? ZeroUno lo ha chiesto a un esperto europeo: Paolo Malinverno, Research VP, Gartner, appena reduce dal Convegno Application Integration and Development di Londra, di cui è stato Chairman. E abbiamo scoperto, con sorpresa, che le imprese Italiane sono “avanti da un anno a un anno e mezzo sulla media Ue” negli investimenti sul tema”.
ZeroUno: Integration Competency Centre e Centro di eccellenza Soa non sono sinonimi, vero?
Malinverno: No, anche se la Soa presuppone l’integrazione di applicazioni e rappresenta un modo avanzato per integrarle. Per fare la Soa serve “scolpire” fuori da applicazioni esistenti servizi riferiti a sottounità funzionali delle applicazioni, e lo si fa con strumenti di integrazione di applicazioni (per esempio broker, Esb, application server). Ma rispetto all’integrazione applicativa, la Soa sta anche a un livello di astrazione più alto, in cui le sottounità funzionali sono componenti riusabili. E’ vero piuttosto che fra aziende grandi e medio grandi al mondo parliamo di un 50-60% di aziende dotate di un Integration Competency Centre. Realtà che si rendono o si stanno rendendo conto che mettendo un Enterprise Architect a capo di un Integration Competency Centre, e investendo in una governance unificata dei servizi al business, si può far evolvere l’Integration Competency Centre (che si occupa dell’interfaccia fra applicazioni eroganti servizi da sottounità funzionali) in Centro di eccellenza Soa (che si occupa del catalogo servizi al business e del flusso processuale in cui la Soa “veste” i servizi). Lo stesso gruppo di persone diventa così il “braccio armato” di un’iniziativa Soa.
ZeroUno: Diciamo allora due livelli di maturità diversi?
Malinverno: Nel Ciclo dell’innovazione Gartner per l’architettura delle applicazioni, l’Integration Competency Centre è arrivato al plateau e il Centro di eccellenza Soa sta ancora salendo verso il massimo. Alcune aziende tengono i due centri distinti, dedicando l’Integration Competency Centre all’integrazione non Soa, ma la maggioranza oggi ha un Integration Competency Centre che vorrebbe trasformare in Centro di eccellenza Soa.
ZeroUno: Un Centro di eccellenza Soa è dunque un Integration Competency Centre ad alta performance. Quali sono i vantaggi economici?
Malinverno: Stimiamo possibili in media risparmi del 30% sul tempo (di integrazione applicativa e di sviluppo interfacce dati), del 20% sulla manutenzione e un riuso effettivo del 25% dei componenti. Risparmi sostanziali: per progetti di integrazione tipicamente fra i 250 mila il milione di dollari (pensiamo all’integrazione aziendale di processi di order to cash, di emissione di un prestito o di attribuzione di un sinistro) un centro costi Integration Competency Centre che passa a Centro di eccellenza Soa produce risparmi potenziali oltre i 100.000 dollari a progetto. C’è una sola, ma cruciale, condizione: il Centro di eccellenza Soa fa risparmiare se, e solo se, la Soa è governata.
ZeroUno: La Soa governance! Quanto ne sono consapevoli le aziende oggi?
Malinverno: Mai abbastanza. La Soa Enterprise è una sfida, quella multi Enterprise un incubo di governance. Basta pensare al Master Data Management (Mdm) sui dati che viaggiano fra i diversi processi: una fattura gestita da Sap e una gestita da JdEdwards devono riferirsi allo stesso metadato, pena introdurre, per esempio, distorsioni nell’importo della stessa. Decisivo è evitare di partire con una cinquantina di servizi Soa per il business e accorgersi solo strada facendo, magari a quota 150 servizi, che si sta finendo in una delle situazioni di “Soa degenerate” che fa mancare l’obiettivo dei risparmi sostanziali.
ZeroUno: “Soa degenerata”… qualche esempio?
Malinverno: Le aziende che provano a sviluppare un progetto Soa senza governance di classe aziendale rischiano il “Far west Soa”, il caso più comune è quello in cui del codice viene pubblicato come servizio Web ma magari non risulta nel registro centrale per cui non si sa quali servizi sono disponibili. O la “Soa duplicata”, in cui “troppi” servizi registrati (tipicamente oltre i mille) creano un disordine in cui un servizio si perde e/o succede che è in realtà un duplicato (magari parziale) di un altro, per cui il riuso scende e i costi di manutenzione salgono oltre limiti del ritorno dell’investimento. O magari ancora la “Soa off the shelf”, la più pericolosa se il Centro di eccellenza Soa non ha sufficiente sponsorizzazione: la Soa c’è e funzionerebbe, ma le varie Lob utenti usano in maniera insufficiente i servizi pubblicati. E’ la prova che la governance deve essere di classe enterprise e che comincia dalla consapevolezza dell’utenza.
ZeroUno: Linee guida organizzative per il Centro di eccellenza Soa o best practice per la Soa governance?
Malinverno: La Soa governance è anzitutto un aspetto dell’It governance, e quest’ultima specifica chi ha responsabilità decisionali – e ne risponde – per incoraggiare un comportamento virtuoso nell’uso dell’It. Servono scelte organizzate che combinino le decisioni da prendere sui domini It (e Soa) del gruppo di persone corretto, usando meccanismi appropriati. Tre principali componenti di queste scelte: Quali decisioni devono essere prese (quali domini It, come strutturare i servizi d’accesso); Chi ha diritto di decisione o di fornire input decisionale (e lo esercita con diversi profili nelle varie unità); Come si formano e vengono eseguite le decisioni (fra una molteplicità di meccanismi quale meglio si attaglia a dimensioni, organizzazione e cultura d’impresa). Pratiche che si raggruppano in buona sostanza intorno all’Identity Management.
ZeroUno: Ha senso un Centro di eccellenza Soa “esteso verso il basso” per governare anche lo sviluppo della coda lunga (backlog) applicativo, che con tecniche web 2.0 (mashup) sono demandabili alle Lob?
Malinverno: Certo. Alle Lob si può demandare lo sviluppo di applicazioni non mission critical, non il loro governo.
ZeroUno: Parliamo di penetrazione della Soa e di Centro di eccellenza e Soa. Quanti sono i refrattari? La Soa è evitabile? E come sono messe le aziende italiane?
Malinverno: Il cosiddetto “uptake” della Soa è all’80%, con prognosi a 4-5 anni per renderla operativa: c’è un’azienda su cinque che non ne vuol sentir parlare. Escludendo “quanti mirano ad andare in pensione prima”, la Soa, è invece piuttosto “inevitabile”, e un Centro di eccellenza Soa a livello aziendale, organizzato per gestire in modo olistico il ciclo di vita dei servizi al business è un “costo di sopravvivenza” da pagare, se si vogliono centrare gli obiettivi di alta performance che sostengono i risparmi sostanziali. Cosa rende la Soa inevitabile? La funzionalità del business è sempre più decomponibile in servizi, la concorrenza punta aggressivamente ai benefici di agilità che la Soa promette, i servizi web sia pure lentamente maturano. Ma soprattutto il “Cio refrattario” diventa utente Soa suo malgrado, se solo è cliente di un megavendor: è esposto ad un “contagio pervasivo, quasi virale” da un middleware che rischia di non essere sfruttato. Le aziende italiane? Da un anno a un anno e mezzo avanti sulla media Ue, e non mi riferisco solo alle grandi aziende ma anche alle medie, quelle magari con un It da 300 dipendenti. La stessa Pa centrale, in vari ministeri, ha fatto investimenti sostanziali.