Possiamo senza dubbio dire che il lavoro ibrido oggi è un argomento di particolare rilevanza, soprattutto per l’impatto che sta avendo sulla gestione dei rapporti con il personale da parte delle aziende. E se i grandi gruppi nella maggior parte dei casi sono già strutturati, mediamente questa pratica sembra ancora faticare a decollare. Soprattutto, apparentemente, per le difficoltà tecniche che impediscono una buona employee experience che sia davvero facilitante e che permetta la stessa qualità di collaborazione che si ottiene in presenza.
Nel gestire questa problematica, il ruolo della tecnologia è fondamentale. Matteo Montorsi, Cloud & Infrastructure Specialist di Quanture, azienda di IT consulting emiliana con più di 500 clienti all’attivo, affronta il tema di quali strumenti tecnologici sono davvero fondamentali per avvicinare al meglio le aziende al lavoro ibrido.
Partire dalle basi, una pratica troppo spesso sottovalutata
Spesso, quando si immaginano soluzioni tecnologiche, c’è la tendenza a creare sovrastrutture, mentre bisognerebbe concentrarsi prima di tutto sugli aspetti essenziali. Quindi, quali sono gli strumenti essenziali per un ambiente di lavoro ibrido efficace?
Montorsi risponde così: “Nel gestire il lavoro ibrido, è importantissimo avere validi strumenti di collaboration che permettano la comunicazione a distanza in modo simile a quanto già accade in ufficio: messaging, chiamate a uno a uno, riunioni remote con la possibilità di condividere e collaborare su strumenti adeguati devono essere alla portata di ogni utente. Inoltre, disporre di file salvati in Cloud che permettano editing multiplo favorisce senza dubbio l’efficienza dei flussi di lavoro”.
Inoltre, per favorire l’orchestrazione fra le diverse parti, sarebbe preferibile scegliere il più possibile strumenti che facciano parte della stessa suite. “Serve, insomma, creare un ecosistema che comunichi in modo efficace” ricorda Montorsi.
Il ruolo chiave della tecnologia
Supportare il lavoro ibrido non è solo una questione di feature tecniche: è necessario che gli strumenti siano di facile utilizzo e gestione, anche in caso di necessità di intervento da parte dei team IT. Un’esigenza sottolineata anche dal manager.
“Quanture si rivolge ad aziende medio grandi, tipicamente da alcune centinaia a diverse migliaia di utenze ed endpoint. Inizialmente il nostro principale bacino di utenza era in Emilia-Romagna, ma oggi operiamo praticamente in tutta Italia, anche in contesto multinazionale, rivolgendoci particolarmente alle aziende in campo manifatturiero, food e biomedicale con un reparto IT interno strutturato. Sui nostri clienti riscontriamo alcune necessità che accomunano la maggior parte delle aziende quando si tratta di lavoro ibrido” racconta Montorsi. “Sicuramente il bisogno di migliorare le modalità di organizzazione del lavoro ibrido per permettere all’azienda di gestire gli strumenti di chi lavora in mobilità e offrire loro un adeguato supporto”.
Per chi adotta gli strumenti giusti i benefici sono evidenti: facilità nella condivisione di file, materiali e informazioni in generale e soprattutto semplicità di comunicazione sono fra i due principali. Senza dimenticare che il lavoro ibrido non annovera solo aspetti strettamente tecnologici.
“Senza dubbio la tecnologia aiuta sempre – ricorda Montorsi – ma bisogna considerare anche il fattore umano, sia in termini di relazioni, sia in termini di formazione”. A livello tecnologico il miglioramento è continuo, basti pensare anche a soluzioni relativamente semplici come le whiteboard, ma non sempre a questo segue un’adeguata formazione sugli strumenti. “Per questo – prosegue Montorsi – le aziende di consulenza come Quanture devono supportare le aziende non solo sotto il profilo tecnologico, per esempio di configurazione e installazione, ma anche da quello della formazione del personale per il corretto utilizzo degli strumenti”.
Un tema quanto mai attuale, soprattutto se si ragiona in funzione del ritorno degli investimenti. Senza la formazione, infatti, gli strumenti rischiano di rimanere inutilizzati. Il percorso di adoption, insomma, deve comprendere anche un’adeguata formazione perché gli utenti finali utilizzino realmente le soluzioni tecnologiche, in modo che siano diffusamente presenti su ogni endpoint, per esempio appoggiandosi a strumenti per la configurazione zero touch, come i noti Autopilot e Intune di Microsoft. “Nel contesto dinamico dell’IT, ritengo che uno degli imperativi fondamentali per un’azienda di consulenza sia fornire una visione chiara ai propri clienti. In questo processo, è essenziale non solo evidenziare le tecnologie a disposizione, ma anche illustrare come ottimizzarle strategicamente per migliorare l’efficienza complessiva del loro ambiente. Questo approccio mirato non solo consolida la partnership, ma posiziona l’azienda cliente in una posizione vantaggiosa nel panorama tecnologico in rapida evoluzione” sottolinea Montorsi.
Le principali sfide tecnologiche
Senza dubbio il tema più caldo è riuscire a mantenere il contatto e la supervisione di quello che accade, anche a livello di postazione, all’esterno dell’azienda. “Il dipendente in remoto non può essere “abbandonato” dal team IT – sottolinea Montorsi – a partire dalla connettività”. Il primo step è quindi senza dubbio quello di implementare opportuni strumenti di amministrazione remota che possano agire anche con un certo grado di automazione, per esempio per segnalare attività sospette (anche inconsapevoli) da parte degli operatori.
Questo deve essere conciliato con un bisogno fondamentale: rendere disponibili tutti gli applicativi necessari al dipendente da qualsiasi location, anche attraverso piattaforme Cloud. “In ottica di Cloud ci si deve poter parlare da qualsiasi locazione, conciliando sicurezza da un lato e usabilità dall’altro” continua Montorsi.
Per poterlo fare occorre integrare diversi strumenti e mettere in campo le competenze necessarie per orchestrarli, soprattutto in un periodo in cui la sicurezza dei dati e dei perimetri aziendali è sempre al centro delle conversazioni.
La sicurezza: come gestirla in modo ottimale
Oggi la buona pratica basilare per la sicurezza nel perimetro effimero è Zero Trust. “Una sfida tecnica interessante: lato utente tutto dovrebbe essere accessibile, ma questo rende tutto più rischioso. Questo rende complesso il tema della cybersecurity perché la risposta tecnica è più complicata rispetto a quello che avviene nel perimetro fisico” ricorda Montorsi. La soluzione basilare è quella di rendere le risorse accessibili solo se l’utente è autenticato, il PC è sicuro e non ci sono indicatori di criticità.
“Quanture crede nelle pratiche Zero Trust e cerchiamo di implementarle sempre. Di sicuro conciliare la sicurezza indispensabile con l’immediatezza tipicamente richiesta dagli utenti è una delle sfide più interessanti di oggi” conclude.