Mettendo a frutto anni di ricerca e sviluppo, l’intelligenza artificiale di ultima generazione sta mostrando al mondo i suoi progressi esponenziali. ChatGPT, il modello di linguaggio sviluppato dai ricercatori di OpenAI, lanciato a novembre 2022, è il fenomeno del momento sotto i riflettori. Permette all’intelligenza artificiale di sostenere un dialogo fluido con l’uomo, e tra le varie applicazioni, come illustrato dalla società attraverso alcuni esempi, è anche in grado di eseguire il debugging del software, correggendolo, e scrivendo nuove linee di codice.
Una AI abile nella programmazione rappresenta un salto quantico nell’ingegneria del software. E, a giudicare dal crescendo d’intensità che la competizione tecnologica sta ultimamente registrando, l’impressione è che ora la AI stia davvero avvicinandosi a un fatidico “tipping point”. Un punto di svolta cruciale, che starebbe spingendo DeepMind (la sussidiaria di Alphabet, holding di Google), anch’essa impegnata nel campo della artificial general intelligence (AGI), a introdurre sul mercato un proprio chatbot. Lo ha detto in un’intervista al Time l’amministratore delegato di DeepMind, Demis Hassabis.
Una versione “private beta” del chatbot, chiamato Sparrow, potrebbe arrivare in un momento imprecisato del 2023. Il tempo necessario, insomma, per consentire a DeepMind di lavorare su alcune funzionalità basate sull’apprendimento per rinforzo (reinforcement learning), di cui ChatGPT sarebbe privo, come ad esempio la capacità di citare le proprie fonti.
In effetti, la gara in corso sulla AI non sarà disputabile unicamente sul piano della pura abilità di una R&D di far evolvere velocemente questa tecnologia in maniera indiscriminata, senza seguire le dovute linee guida. Sul piatto della bilancia ci sono infatti anche aspetti etici, da tenere in considerazione per giudicare chi fornisce tecnologia AI, sulla base della capacità di depurare gli algoritmi da bias cognitivi e, soprattutto, di evitare che possano essere utilizzati per scopi moralmente inaccettabili.
AI, l’impatto sui software engineer
Qualcuno interpreta i recenti progressi della AI come una rivoluzione inevitabile, una meteorite capace di porre fine, come con i dinosauri, al classico concetto di programmazione del software, fatto di algoritmi, strutture dati, linguaggi di vario tipo. Matt Welsh, ingegnere software esperto d’informatica, è stato professore di computer science ad Harvard. Oggi è Ceo e cofondatore della startup Fixie.ai, ed è convinto che la programmazione, intesa in senso tradizionale, stia arrivando al capolinea.
“La programmazione diventerà obsoleta” scrive Welsh in un punto di vista pubblicato a gennaio sulla rivista Communications of the ACM, intitolato ‘The End of Programming’. “Credo che l’idea convenzionale di ‘scrivere un programma’ sia destinata all’estinzione, e che, davvero, per tutte le applicazioni, eccetto quelle molto specializzate, gran parte del software, così come lo conosciamo, sarà sostituito da sistemi di intelligenza artificiale che sono addestrati, piuttosto che programmati. Nelle situazioni in cui si ha necessità di un ‘semplice’ programma, quei programmi saranno generati da una AI, invece di essere sviluppati manualmente”. E aggiunge: “Assistenti alla codifica AI-based come Copilot stanno solo grattando la superficie di ciò che sto descrivendo”.
Secondo Welsh, in questo scenario, le funzioni delle persone resteranno confinate, più che altro, a mansioni di controllo. “Mi sembra del tutto ovvio che tutti i programmi del futuro saranno scritti da intelligenze artificiali, con gli esseri umani relegati, nella migliore delle ipotesi, a un ruolo di supervisione. Chiunque dubiti di questa previsione deve solo guardare ai molto rapidi progressi compiuti nella generazione di contenuti attraverso la AI, come la generazione di immagini. La differenza in qualità e complessità tra DALL-E v1 e DALL-E v2, annunciata solo quindici mesi dopo, è sconcertante”.
Insomma, conclude Welsh, piuttosto che stare a guardare la meteorite che ci investirà, è meglio accettare l’idea che questo sarà un futuro molto probabile, ed evolvere il proprio pensiero di conseguenza, così da gestire nel modo migliore il nuovo che avanza.
Più opportunità che rischi per la professione
Qualcun altro, come Ethan Mollick, professore associato di management alla Wharton School of the University of Pennsylvania, confrontando i progressi compiuti dal nuovo modello di ChatGPT con le precedenti generazioni del sistema, parla di punto di svolta, sottolinea l’enorme impatto che queste tecnologie produrranno sulle attività di business, e mette in guardia le organizzazioni sullo shift di paradigma. Ma pone maggiormente l’accento sulle opportunità che la AI può fornire agli sviluppatori software. “Le aziende che comprendono l’importanza di questo cambiamento, e agiscono per prime, saranno notevolmente avvantaggiate” scrive Mollick in un articolo pubblicato sulla Harvard Business Review.
Una AI come ChatGPT, ricorda, non solo è capace di produrre paragrafi di testo scritto in inglese, francese, cinese mandarino, o qualunque altra lingua, ma può anche creare su comando blocchi di codice software. Qui, un cambiamento chiave è il massiccio incremento della velocità ottenibile con tali strumenti.
“Un solo buon programmatore può ora legittimamente fare quello che, non molto tempo fa, sarebbe stato il lavoro di molti; e le persone che non hanno mai programmato saranno presto in grado di creare codice funzionante”. Frase che, peraltro, fa subito ricordare che, per il medesimo scopo, oggi esistono anche le tecnologie e piattaforme di sviluppo “low-code” e “no-code”. La società di ricerca e consulenza Gartner prevede quest’anno il comparto low-code in crescita, a livello mondiale, di quasi il 20% rispetto al 2022, in parte proprio grazie alla domanda proveniente dai “business technologists”, che in azienda non ricoprono un ruolo nel reparto IT.
Sempre Gartner prevede che, entro il 2024, l’80% dei prodotti e servizi digitali sarà creato da coloro che non sono professionisti della tecnologia. Sarà dunque interessante scoprire, in un mondo sempre più dominato dalla AI, quali saranno i punti d’intersezione tra low-code e intelligenza artificiale.
Al di là dell’aumento di velocità di programmazione e di produttività che la AI rende possibile, l’altro aspetto interessante evidenziato da Mollick è la potenza dell’interazione, la possibilità di creare in maniera sinergica un lavoro ibrido uomo-macchina. “Ciò significa che gli esperti potranno colmare le lacune di capacità dell’AI, anche se questa diventa per loro più utile”. Quando si arriva al punto in cui lo scrittore non deve più scrivere gli articoli da solo, o il programmatore non deve più sviluppare il codice per conto proprio “il lavoro è una nuova forma di collaborazione che non esisteva il mese scorso” conclude Mollick. Tirando le somme, sembra che questa innovazione dirompente trasformerà nel profondo le professioni, oggi e nel prossimo futuro.