C’è un generale consenso circa il livello di maturità raggiunto dai sistemi di Business Intelligence (BI) presenti sul mercato. In particolare, il potenziamento degli strumenti di data mining e delle tecniche statistiche consente di offrire oggi alle aziende un’estrema sensibilità nell’integrazione e interazione dei dati. Inoltre, l’aumento della varietà e della flessibilità nella generazione di metriche e di sistemi di reporting accresce costantemente le possibilità di un’effettiva personalizzazione delle informazioni prodotte dall’architettura, in grado di seguire fedelmente le priorità aziendali.
Si aggiunga il fatto che la diffusione di sistemi Erp e Crm negli ultimi dieci anni ha di fatto facilitato il lavoro di normalizzazione dei database aziendali e di consolidamento delle architetture di BI, attraverso lo sviluppo crescente del datawarehousing.
Si può dire insomma che l’Information technology è in grado oggi di sostenere con un elevato grado di maturità le decisioni strategiche aziendali. È allora probabile che i punti di criticità e di attenzione oggi prioritari nello sviluppo di questi sistemi stiano al di fuori o perlomeno intorno alle architetture. Ci limiteremo in questa sede a segnalare quattro spunti specifici.
Attenzione al contesto
Un primo punto di attenzione va posto sul tipo di contesto alle decisioni di business e sulla conseguenza diretta della sua complessità sul tipo di misurazione richiesto alle aziende oggi. È necessario cercare di chiarire in che modo il contesto stia modificando le proprie richieste nei confronti delle aziende, e quali conseguenze ne derivino sulla progettazione di sistemi di performance management. Tre in particolare sono le variazioni di rilievo.
I destinatari: dal management agli stakeholder. La BI contemporanea deriva storicamente dai sistemi MIS-EIS (management-enterprise information system) e dalle applicazioni DSS (decision support system), il cui obiettivo prioritario è rimasto nel tempo quello di fornire informazioni sintetiche che sostenessero i processi decisionali da parte dei principali decisori aziendali. In sostanza, si trattava di un unico destinatario, corrispondente al livello più alto della gerarchia aziendale. Oggi il contesto interno ed esterno spinge le aziende a progettare sistemi che siano in grado di rilasciare informazioni aggregate per tutti gli attori rilevanti (stakeholder) che concorrono al successo dell’impresa: management, azionisti, fornitori, enti regolativi e autorità di controllo, istituzioni.
La misurazione: finanziaria ma non solo. Strettamente correlata alla prima, va segnalata una seconda tendenza egualmente rilevante che sta cambiando il modo di leggere e interpretare i KPI aziendali. In particolare, negli ultimi 20-30 anni, la valutazione strategica è stata dominata dagli indicatori finanziari, ritenuti più rilevanti o comunque più sintetici – come fossero ‘meta-indicatori’ – rispetto a misurazioni di tipo differente (produttività, efficienza, product mix, innovazione, rischio). Oggi prevale un’interpretazione diversa che misura la performance attraverso il ‘saldo’ di valutazioni multidimensionali: finanziaria, operativa, organizzativa, ecc.
Il ‘ritmo’: dalla frequenza costante al real time. La progettazione dei sistemi di BI ha da sempre presupposto una modalità di fruizione di tipo periodico e a frequenza costante, basata su ‘cockpit’ direzionali abbastanza stabili e in grado di suggerire alle aziende un metodo standard di consultazione e analisi delle informazioni. Oggi però si preferisce parlare di ‘real time’, ovvero di sistemi che siano in grado di servire l’azienda a seconda delle sue esigenze nel tempo e dei diversi eventi che si trova a dover gestire, e non sulla base di schemi predefiniti di consultazione e uso delle informazioni.
Rischio di defocalizzazione
Attenzione: tutto ciò che si è detto finora funziona come un’arma a doppio taglio. Nel senso che la maggiore flessibilità dei sistemi, l’ampliamento multidimensionale della misurazione e il ‘real time’ costituiscono sì un’enorme opportunità da cogliere, ma aumentano paradossalmente il rischio di una implementazione defocalizzata e – alla fine dei conti – sterile. Quando le opportunità crescono, la scelta si fa più difficile e l’ingordigia o l’indecisione possono giocare brutti scherzi. Perciò, le seconda criticità emergente riguarda l’attenzione che le aziende devono porre nel momento in cui decidono di ‘attrezzarsi’ con la BI. In sé, infatti, la BI può obbedire ad almeno quattro visioni differenti, che alterano profondamente le caratteristiche dell’architettura da rilasciare e dell’uso che se ne farà.
Le elenchiamo qui per ordine, dalla più interna alla più esterna:
Controllo: ossia la necessità di aumentare il presidio sull’operatività dell’azienda (attraverso i canonici Kpi interni di produttività ed efficienza o con un forte accento sul benchmarking), come conseguenza di una crescita dimensionale, un’acquisizione o una forte strategia di diversificazione.
Decision making strategico: ovvero la necessità di rafforzare alcuni processi decisionali specifici che attualmente l’azienda non può o non riesce a intraprendere a causa di informazioni troppo poco strutturate.
Trasformazione: ovvero la necessità di misurare e analizzare i movimenti dell’azienda verso una nuova posizione competitiva (il che implica la generazione di indicatori inerenti il tasso di innovazione prodotti, l’acquisizione di nuovi clienti o la capacità di attrarli, il cambiamento dei fattori specifici della soddisfazione del cliente, la risposta dettagliata dei clienti rispetto all’offerta di nuovi servizi, etc.);
Compliance: ovvero la crescente necessità di dimostrare la conformità dell’azienda a standard esterni richiesti da istituzioni o autorità regolative.
Ora, è vero che teoricamente queste esigenze potrebbero presentarsi tranquillamente insieme, tuttavia è molto probabile che il successo dell’implementazione di un sistema di valutazione strategica delle performance non possa prescindere da una scelta circa le sue finalità fondamentali.
Capacità consulenziale e progettuale
Sin qui, i punti di attenzione per le aziende clienti, quelli che seguono riguardano invece più specificatamente i fornitori. Anche per i fornitori, resta ovviamente invariato il consiglio a ritenere le architetture di BI, almeno dal punto di vista del cliente-utente, sufficientemente mature. I punti critici allora riguardano piuttosto la capacità consulenziale e progettuale della fornitura, ovvero la capacità non solo di capire e articolare il bisogno del cliente, ma anche – se necessario – di contribuire a renderlo più chiaro e focalizzato al cliente stesso. Se in particolare ci riferiamo all’esigenza di capire il bisogno esplicito del cliente, allora può essere d’aiuto per i fornitori comprendere in dettaglio il livello di maturità del cliente stesso rispetto alla BI; una maturità che può essere scomposta in almeno quattro stadi.
Stadio ‘operativo’: l’azienda estrae informazioni operative sulla base di serie storiche, con modalità frammentate di immagazzinamento e accesso.
Stadio di ‘controllo’: l’azienda si focalizza su alcuni aspetti specifici della propria performance, per i quali ha consolidato storicamente modalità di accesso e uso.
Stadio ‘integrativo’: l’azienda dispone di utenti ‘proattivi’, in grado di utilizzare informazioni integrate per discutere o definire nuovi benefici strategici;
Stadio ‘innovativo’: l’azienda rafforza o modifica la propria posizione competitiva sulla base di un costante ‘dialogo’ con le proprie basi dati.
È del tutto evidente che proporre alle nostre aziende – spesso ancorate al livello ‘operativo’ – il miraggio di mirabolanti scorecards in grado di predire il futuro può giovare alla negoziazione sul breve termine ma ha pesanti ricadute sull’efficacia dell’operazione nel medio periodo e sulla relazione di partenariato.
Non dare per scontati i processi
Eppure, molto spesso non basta essere in grado di fornire al cliente una soluzione ‘adatta’ al suo livello di maturità; esiste in particolare una necessaria premessa alla BI che le aziende clienti sottovalutano spesso all’atto di ‘vestire’ la nuova architettura. Un sistema più o meno evoluto di informazioni e conoscenze che debba supportare le decisioni aziendali è per sua natura legato a doppio filo ai processi decisionali che intende supportare. Ebbene, nella gran parte dei casi, questi processi non possono essere dati per scontati. Si danno i due casi seguenti.
Il processo decisionale esiste, ma in una decina di versioni, corrispondenti ai differenti decisori. È la realtà frequente delle grandi imprese multifunzionali. In questo caso, anche il fornitore deve decidere: costruire la classica torre di Babele (e prepararsi psicologicamente ai tempi dello sviluppo) o promuovere ad arte una negoziazione preventiva?
Meglio (peggio) ancora, il processo decisionale non esiste, nel senso che non esistono metodi strutturati e ricorsivi per prendere le stesse decisioni, c’è inoltre una forte simpatia e fiducia nell’intuito degli strateghi. Anche qui, ai fornitori l’ardua sentenza: costruire la classica cattedrale nel deserto o promuovere ad arte una policy (una qualsiasi, basta che ce ne sia una)?
*Alberto Melgrati è responsabile product development di Istud