Competere significa evolvere, rivedere processi e prodotti per essere sempre e comunque al passo con le variabili di una domanda sempre più globale, concentrarsi, infine, su ciò che è essenziale per favorire lo sviluppo del business aziendale.
Affrontando il tema dal punto di vista dell’organizzazione, e ci riferiamo quindi a risorse umane, know how tecnologico e competenze funzionali, ZeroUno ha cercato di mettere a fuoco gli aspetti chiave che stanno caratterizzando la ricerca e la definizione di nuovi modelli gestionali e operativi per supportare la crescita in un mercato che oggi fa della competitività uno dei suoi tratti distintivi. Dei nuovi orizzonti del “business management” ne abbiamo quindi parlato con David Verrill, Executive Director del Center for eBusiness alla Sloan School of Management del Mit (Massachusetts Institute for Technology) di Boston.
ZeroUno: Come un’impresa con una limitata disponibilità di “capitale di organizzazione”, così come lo definite al Mit, può diventare un’organizzazione digitale evoluta, con tutti i benefici che ne conseguono?
Verrill: La risposta è in una dettagliata analisi di natura economica condotta dal professor Erik Brynjolfsson, Faculty Director qui al Center for eBusiness del Mit. Lo studio dei risultati estratti da un campione di oltre 1.000 aziende esaminato negli Stati Uniti negli ultimi dieci anni ha detto che le società più produttive negli Usa possono vantare un insieme di “best practice” a livello di cultura e di organizzazione aziendale che completano nel modo più opportuno i rispettivi investimenti in It. Il messaggio chiave estratto dall’indagine è quindi il seguente: quelle aziende che hanno sposato modelli evoluti di organizzazione e simultaneamente hanno speso più di altre in soluzioni informatiche hanno generato in modo più che proporzionale migliori risultati. Per le aziende che non hanno seguito questo iter, l’unica possibilità di tornare competitive è quello di implementare le practice di cui sopra secondo criteri di adozione anche aggressivi, superando il luogo comune che dice “nessuno può saltare un abisso con due passi”. La ricerca, più concretamente, ci ha permesso di sviluppare vari tool in grado di aiutare le aziende a misurare con specifici benchmark i propri risultati rispetto a quelli della concorrenza, mentre lo studio di esperienze reali ci permette ora di suggerire i metodi e i percorsi necessari per crescere sotto il profilo dell’organizzazione digitale
ZeroUno: Qual è lo specifico ruolo dell’Information Technology in questo processo di trasformazione?
Verrill: Il supporto che l’It deve fornire per creare modelli di “organizzazione digitale è quasi ovvio, perché le tecnologie software e di rete devono abilitare, per missione, nuovi processi di business. Succede però che investimenti in It anche molto onerosi sono in vari casi dannosi per lo sviluppo dei modelli organizzativi. La nostra ricerca, per esempio, ci mostra come mentre l’implementare un Erp può costare anche dai 2 ai 3 milioni di dollari di sole licenze, i costi aziendali in risorse umane e tecniche per incrementare la produttività dell’intero sistema sono fino a 10 volte superiori la cifra spesa. Senza contare i tempi necessari per arrivare al pay off completo dell’intero investimento. Questo ci dice che per aspirare a nuovi modelli di gestione di’impresa servono cambiamenti a livello di abitudini e di comportamento e business practice adeguate. Il punto è che per molte aziende il cambiamento, in sé, non è facile. La convergenza in atto fra tecnologie informatiche e di comunicazione ci mette inevitabilmente in una posizione di poter cambiare radicalmente il modo di vivere e lavorare e porta, contemporaneamente, a sfumare i confini fra quella che è la vita personale e quella professionale. È un mutamento che non può non riflettersi e non essere percepito e assorbito all’interno delle organizzazioni aziendali.
ZeroUno: Come un’azienda può intervenire sui processi per trasformarli da analogici a digitali? E quali sono i “building blocks” basilari utili a identificare i processi che necessitano di cambiamento?
Verrill: Mentre alcune teorie affermano come sono centinaia se non addirittura migliaia i processi di business che potrebbero essere oggetto di revisione, la nostra esperienza ci dice che i business executive in azienda possono, e anche molto velocemente, isolare i processi chiave in modo intuitivo. Il problema, semmai, è quello di isolare i processi giusti. Per fare
questo riteniamo sia utile adottare due tipi di approccio.
Il primo presuppone l’identificazione delle competenze chiave dell’azienda: e quindi qual è la caratteristica distintiva e specifica di ogni singola organizzazione? Qual è la reale value proposition? Una volta che questi fattori sono stati identificati è relativamente semplice capire quali sono i processi di business che abilitano la catena del valore e le competenze strategiche.
Il secondo approccio, alternativo al primo, mira a focalizzare l’attenzione su quei processi che sono maggiormente manuali, che riguardano per esempio i colli di bottiglia dell’intera organizzazione o la concentrazione delle cosiddette “customer compliant”. Anche in questo caso, l’identificazione dei processi chiave che dovrebbero essere analizzati in chiave cambiamento è veloce, se ben effettuata.
ZeroUno: Quali applicazioni software possono aiutare le aziende in questo compito?
Verrill: Non credo si debba parlare di specifici software in gradi di supportare coloro che decidono quali processi di business è necessario cambiare. L’avvento dei sistemi Erp e di Crm ha sicuramente incoraggiato il cambiamento, così come vi sono diversi soluzioni e tool di Business Process Reingeneering disponibili oggi sul mercato in grado di mappare i processi aziendali, uno di questi l’abbiamo sviluppato in casa [Matrix of Change, ndr] e utilizza il nostro Process Handbook, un repository di migliaia di processi catalogati in una sorta di “tavola periodica” di elementi, per mostrare dove emergono i principali conflitti a livello di business operation. In ogni caso la regola generale vede il mananagement aziendale deputato a scegliere e identificare i processi oggetto di intervento.
ZeroUno: Tutte le grandi aziende hanno le competenze per sviluppare, costruire e quindi implementare nuovi modelli di business e di management?
Verrill: La maggior parte delle grandi compagnie hanno processi di business complementari, è un fattore indispensabile per essere nel business. Va da sé che le competenze ci sono. Il vero problema, la vera sfida è quella di identificare l’impatto dell’Ict sul proprio business, cercando di capire le competenze chiave in seno all’organizzazione, la value proposition nei confronti dei clienti e quindi
allineare le risorse tecnologiche al business per ottimizzarne i processi. L’economia di mercato va intesa come una naturale sopravvivenza ai cambiamenti e chi farà propria la transizione potrà sopravvivere e prosperare, chi vi rinuncerà sarà costretto a cadere.
ZeroUno: E cosa succede invece nel cosiddetto mercato small e medium enterprise?
Verrill: Le aziende di medie dimensioni devono convivere con una realtà a doppio taglio. Da una parte, il fatto di essere piccole le fa essere agili, dall’altra questa stessa caratteristica non consente loro di avere un’ampiezza di conoscenze o risorse umane sufficienti per risolvere complesse problematiche legate ai processi di business. In linea generale possiamo dire che fra le grandi organizzazioni e le small e medium enterprise ci sono sia analogie che sostanziali differenze.
ZeroUno: Il nuovo paradigma della corporate governance soddisfa completamente la necessità di più management nell’Ict o di più Ict nel management?
Verrill: Rispondo con un esempio reale. Di recente abbiamo ospitato qui al Mit John Chambers, Ceo di Cisco. Uno dei temi più importanti da lui sottolineati riguardava come l’It, intesa come risorsa a se stante, non possa portare alla soluzione delle attuali problematiche di business. L’allineamento fra tecnologia e business è il punto critico. Chambers ha quindi rimarcato l’importanza di ciò che lui stesso definisce “reale comunicazione interattiva”, una sorta di network “sociale” che utilizza le tecnologie e ne misura i relativi impatti sulle performance di business. La risposta alla domanda di partenza, in ogni caso, è sì.
ZeroUno: Quali sono i passi chiave che un Cio deve compiere per raggiungere l’obiettivo di abilitare la cosiddetta “organizzazione agile”?
Verrill: È un must di cui si parla da due anni. L’enterprise agile è di fatto l’insieme delle metodologie che portano l’It a supportare funzioni di business attraverso attività quali l’outsourcing o il ricorso a specifici managed service. La questione è assai complessa e comprende tanto le azioni decise in seno all’azienda quanto le capacità fornite dall’esterno: il punto è come scalare velocemente soluzioni avanzate o come portare altrettanto velocemente nuovi servizi It Web based all’interno dei processi aziendali per rispondere ai cambiamenti in corso a livello strategico e di business. Le strade per essere “agile enterprise” sono diverse, ai Cio il compito di trovare il giusto mix di soluzioni per rendere il business aziendale migliore. n
Vista del Massachusetts Institute for Technology di Boston