Il sistema ERP è ormai uno dei software fondamentali per qualsiasi tipo di impresa, a prescindere dalle dimensioni dell’organizzazione e del verticale a cui fa capo il business. Se infatti ormai questo genere di suite, implementata con logiche modulari, funge da fulcro per avviare qualsiasi strategia di digitalizzazione dei processi aziendali, non bisogna dimenticarne il ruolo anche rispetto ai temi degli adempimenti fiscali e dell’orchestrazione della catena logistica: con l’obiettivo di semplificare e standardizzare i workflow su cui si regge la catena del valore, le soluzioni di Enterprise Resource Planning sono destinate a diventare il centro nevralgico di tutte le attività.
Proprio per questo motivo, il cambio di software ERP è probabilmente il più traumatico: non si tratta solo di passare a un nuovo software, ma anche di far evolvere le modalità di lavoro dei collaboratori aziendali, eliminando procedure ripetitive stratificatesi in anni di attività e introducendo nuovi task, che implicano cambiamenti sul piano della mentalità, oltre che della manualità. Sono le parole di Cristian Pellizzer, Software Solution Manager di BlendIT, tech company specializzata nella fornitura di servizi e soluzioni digitali per la digital transformation delle imprese.
Le ragioni che spingono a cambiare il gestionale ERP
È facile comprendere perché un salto del genere intimorisca soprattutto le PMI che, oltre alle difficoltà legate al change management, devono anche preventivare il rischio di dover affrontare degli stop sul fronte operativo durante la fase di transizione. Quando accade, poi, si tende ad addossare la responsabilità al provider. Tuttavia, il più delle volte le criticità emergono perché l’organizzazione non ha approfondito le motivazioni per cui si decide di scegliere un nuovo sistema ERP, senza essere pienamente consapevoli di cosa si vuole ottenere utilizzandolo.
Pellizzer sottolinea che le aziende cambiano in media il proprio ERP ogni dieci anni circa, per svariate ragioni – dall’obsolescenza del software alla necessità di sostituire prodotti sviluppati ad hoc che non ricevono più assistenza tecnica o aggiornamenti di sicurezza. A volte è l’azienda a essere cresciuta e a manifestare nuove esigenze, sull’onda di un cambio generazionale o per l’espansione delle attività di business in nuovi ambiti.
L’opportunità di migrare al cloud non sembra essere tra i fattori determinanti in modo diretto. Pellizzer indica, infatti, che tutti gli ERP possono essere trasferiti sul cloud, ma questa necessità non è tra le prime considerate, almeno tra i loro clienti. Al contrario, c’è chi punta a far interagire l’ERP con moduli che offrono funzionalità su processi innovativi – basti pensare al boom dell’ecommerce – e le vecchie piattaforme in molti casi non riescono a sopportare questa integrazione, soprattutto quando parliamo di soluzioni SaaS.
Delineare gli obiettivi e costruire una roadmap accurata
A prescindere dal pretesto, deve comunque essere chiaro l’obiettivo che si intende raggiungere, così come programmare accuratamente il passaggio di consegne sia sul piano tecnologico, che su quello operativo e culturale.
“Occorre dedicare tempo, attenzione e risorse all’analisi delle motivazioni alla base del cambio del software ERP”, avverte Pellizzer. In assenza di questo sforzo, si incorre infatti nel sensibile aumento dei costi durante l’implementazione del software che, oltre all’acquisizione delle licenze e alle operazioni di installazione, contemplano a corollario le ore impiegate dal fornitore per il setup, le attività di simulazione e l’analisi, senza contare il roll out vero e proprio con le sessioni di formazione annesse. Pellizzer prosegue la sua analisi sottolineando come elaborare una roadmap significhi raccogliere sistematicamente e trasferire correttamente al partner tutte le informazioni che possono concorrere a definire i flussi di lavoro e a individuare le metodologie più appropriate per integrare il prodotto nell’organizzazione.
Suggerisce quindi di creare un gruppo di lavoro focalizzato sul progetto di migrazione, prevedendo l’impiego di due o tre persone interne che fungano da punti di collegamento con il project manager del system integrator, e verificando i dati raccolti attraverso interviste qualitative per snellire ulteriormente la dispersione delle informazioni. Sarà poi compito del PM esterno far convergere le esperienze pregresse, maturate al fianco di altri clienti, per determinare ogni milestone, rendere gli interventi programmati il più efficienti possibile e controllare che le tempistiche del progetto vengano rispettate.
Le possibili criticità durante le fasi di setup e rollout
Una volta installato il nuovo ERP e dopo aver importato i dati, seguono il setup iniziale e la fase di formazione del personale. Secondo Pellizzer, i percorsi formativi possono essere gestiti singolarmente o per gruppi: specialmente in questo momento, è fondamentale dare a chiunque la possibilità di esplorare le funzionalità del nuovo software a partire dai risultati delle analisi condotte preliminarmente. Spesso è ideale realizzare e somministrare mini-dossier ad hoc, costruiti secondo gli effettivi workflow dell’azienda, che racchiudono corsi online, webinar e – in misura sempre maggiore dopo l’emergenza Covid – video pillole, utilissime da consultare anche per i nuovi arrivati.
Quando gli operativi sono in grado di muoversi con sufficiente sicurezza sull’applicativo, si passa alla fase di simulazione. Si comincia con la gestione di una procedura semplice, come l’emissione di una fattura o la trasmissione di una bolla, per poi comporre con l’ERP un processo completo, dalla redazione del preventivo fino alla registrazione della fattura, in modo da verificare se ciò che è stato ipotizzato nelle fasi precedenti di analisi e setup è effettivamente presente lungo il flusso.
L’esperto di BlendIT precisa che, anche con questi accorgimenti, arrivare a uno switch off in cui ogni singolo elemento è stato settato è quasi utopia. “Al rollout, tipicamente, si può contare sul 70% delle funzionalità previste all’inizio. Per essere a regime, possono servire, anche in base alle dimensioni dell’azienda, un paio di liquidazioni IVA” spiega.
Superare la resistenza al cambiamento delle persone
Vi è anche un’altra criticità: fare i conti con la resistenza al cambiamento delle persone. La sfida più complessa, infatti, rimane quella di aiutare i collaboratori a comprendere che il loro lavoro verrà semplificato, anche se inizialmente il nuovo strumento può risultare ostico per questioni di abitudine. Una volta introdotta la novità, una user experience migliorata consentirà a ciascun operatore di svolgere lo stesso lavoro in molti meno passaggi.
Non esiste una metodologia specifica per superare agevolmente questo primo impatto. Sicuramente influisce il tipo di software che si decide di installare. BlendIT ha per esempio puntato su Business Cube, un gestionale a tutto tondo sviluppato da NTS Informatica, che può essere personalizzato in base alle esigenze dei clienti grazie a un approccio modulare.
“L’ERP va incontro a qualsiasi tipo di business – dall’impresa artigiana alla grande azienda – è facilmente integrabile con altri applicativi ed è in grado di evolversi man mano che l’organizzazione si espande. Si tratta di un prodotto italiano e, per questo, garantisce l’adeguamento rapido e veloce alla normativa nazionale” chiosa Pellizzer. “Fondamentale, infine, è il fatto che NTS ne consenta la rivendita solo a partner certificati: quando si parla di piattaforme come gli ERP, che sostanzialmente offrono tutti funzioni molto simili tra loro, ciò che fa davvero la differenza, è l’expertise del system integrator soprattutto nella delicatissima fase di migrazione e successivamente nell’assistenza post-avviamento”.