La rincorsa all’innovazione continua, elemento indispensabile per poter competere in mercati sempre più ‘aggressivi’, dinamici nei cambiamenti e i cui confini geografici e di competenza risultano sempre più laschi, ‘costringe’ le aziende a rivedere i propri processi, soprattutto in un’ottica di digitalizzazione pervasiva, lungo l’intero processo produttivo. “Considerazione tutt’altro che ovvia se pensiamo al fatto che oggi il software non è più a supporto del business ma è IL business, nel senso che moltissimi modelli di impresa sono oggi incentrati sul software quale elemento imprescindibile di innovazione, competizione e reddittività”, osserva Stefano Uberti Foppa, Direttore di ZeroUno e chairman di un recente Executive Dinner, organizzato da ZeroUno in collaborazione con Siemens PLM Software, nel quale abbiamo discusso, insieme ad alcuni Cio e It Manager riuniti intorno al tavolo, di Digital Manufacturing, in particolare di come le solusioni tecnologiche possono oggi accelerare i processi di innovazione. Scenario che non è appannaggio solo di coloro che producono beni, ma anche di tutte quelle aziende che forniscono servizi, dal mondo finanziario a quello delle telecomunicazioni, dal settore trasporti e logistica fino al mondo media o a quello di viaggi e turismo… tutte realtà che, grazie alla digitalizzazione e all’Ict possono oggi offrire servizi secondo un modello industrializzato e non più in modo ‘artigianale’.
Indice dell'articolo
Ecco la doppia faccia dell’innovazione tecnologica
“Siamo abituati a pensare all'innovazione tecnologica come ad una leva in grado di portare all'azienda un enorme vantaggio competitivo difendibile nel tempo”, interviene Federico Frattini, Associate Professor al Politecnico di Milano e Honorary Researcher alla Lancaster University Management School; “non v’è dubbio che sia così, ma attenzione perché l’altra faccia della medaglia ci mostra uno scenario nel quale l’innovazione tecnologica, se non intercettata, capita e ‘cavalcata’, può essere così dirompente da diventare la primaria causa di fallimento di un business, impattando sulle gerarchie competitive di un mercato predefinito”.
Imprese giovani, per esempio, “possono oggi scardinare modelli di business storici e consolidati e determinare il fallimento di grandi aziende fino a quel momento solide e stabili”, invita a riflettere Frattini. “A volte, poi, tale nuova competizione non è nemmeno voluta, è ‘semplicemente’ frutto della dirompenza con la quale la tecnologica conquista il mercato; la Apple non aveva alcuna intenzione di far concorrenza alle grandi case produttrici di macchine fotografiche; ha inserito fotocamere digitali sempre più potenti per vendere più smartphone, eppure ha messo in crisi un mercato fino a quel momento ben delineato e controllato da pochi grandi produttori mondiali”.
È innegabile che le aziende ‘storiche’ debbano fare i conti con silos e legacy tecnologici ed organizzativi non facili da scardinare, “ma gli impatti delle soluzioni digitali possono essere devastanti se da parte delle aziende vi è incapacità nel gestire adeguatamente il manifestarsi di una innovazione tecnologica radicale e di reagire opportunamente ad essa”, ricalca ancora Frattini, ricordando per esempio l’emblematico caso di fallimento di Polaroid “incapace di intercettare l’arrivo della fotografia digitale e battuta sul terreno della competizione da aziende che con la fotografia non avevano nulla a che vedere”.
Anche Gian Luca Sacco, Marketing Director South & Central Europe di Siemens PLM Software, evidenzia più volte questi aspetti sottolineando come oggi siano ormai quasi definitivamente “cambiate le regole della competizione tradizionale: FCA non avrebbe, solo qualche mese fa, considerato Google come un competitor; eppure oggi, dove anche prodotti come le automobili sono sempre più smart e connesse, player giovani nati come provider di servizi digitali possono creare qualche turbolenza nei giochi della competizione globale”.
“Soprattutto se pensiamo al fatto che l’innovazione tecnologica è diventata meno costosa (i costi di sviluppo di un bene e servizio si sono ridotti proprio grazie alla digitalizzazione dei processi), più veloce nella sua diffusione (è in grado di raggiungere mercati globali in tempi rapidissimi) e più ubiqua (pervasiva e accessibile: può arrivare a chiunque con qualunque mezzo)”, gli fa eco Frattini.
Il modo per superare le barriere alla trasformazione
Se la stessa innovazione può essere dunque opportunità e al tempo stesso minaccia, come si supera lo scoglio? “La trasformazione di un'idea in qualcosa che poi venga venduto/utilizzato è fondamentale: l’innovazione deve raggiungere il mercato altrimenti non serve a nulla!”, sottolinea Sacco. “In quest’ottica la digitalizzazione accelera tale ‘realizzazione’, è cioè l’anello di congiunzione nella filiera dell’innovazione, quella che abilita idea, realizzazione, utilizzo di un bene o servizio”.
Se le facce della medaglia mostrano scenari contrapposti, la risposta risolutiva è comunque una sola: la tecnologia! “Non possiamo sopravvivere alla forza della nuova competizione se prima non ci siamo dotati di piattaforme tecnologiche atte a supportare tale innovazione”, dice un po’ provocatoriamente Sacco. “Innovazione che non si genera automaticamente ma attraverso processi governati e misurati”. Che è ciò che consente di fare oggi un sistema di Plm – Product Lifecycle Management evoluto, “in grado cioè di gestire l’innovazione di prodotto e di processo su due livelli – spiega Leonardo Cipollini, Business Development Director di Siemens PLM Software -: da un lato, realizzando il prodotto giusto che catturi l’attenzione del mercato soddisfacendo requisiti quali tempistica, funzione, prestazioni, stile e prezzo; dall’altro, producendolo nel modo corretto, ossia minimizzando i costi di produzione, migliorando la qualità e l’affidabilità del prodotto o del servizio, riducendo le complessità di gestione e manutenzione, facilitando le fasi di fine ciclo di vita”.
I passi da compiere: rompere i silos organizzativi…
Oggi non esiste alcun settore che possa dirsi al riparo da una qualsiasi dirompente innovazione tecnologica in grado di stravolgere le classificazioni di mercato, dato che contaminazioni e ibridazioni continue, abilitate e accelerate proprio dalle tecnologie digitali, scardinano i giochi competitivi di un tempo. E se è la tecnologia stessa, come abbiamo visto, ad essere al tempo stesso minaccia e opportunità, “ciò che le aziende possono provare a fare per ‘sopravvivere’ (e trarne vantaggio) è rompere le barriere dei silos organizzativi – asserisce Frattini – passando dal concetto del ‘know-how’ a quello del ‘know-where’. Nei nostri percorsi formativi siamo sempre stati abituati a considerare impresa innovativa quella basata su un forte know-how, ossia su una base di competenze specialistiche difficile da replicare; la storia della digital disruption dimostra che questo approccio non è più sufficiente: l’impresa vincente oggi riesce a far leva sì sul proprio know-how ma risulta competitiva e innovativa solo laddove questo è interconnesso ad altre conoscenze distribuite altrove (non necessariamente al di fuori dell’azienda, ‘altrove’ può anche voler dire di dominio di differenti aree funzionali)”.
Alcuni dei temi fortemente dibattuti durante la tavola rotonda, infatti, afferiscono alla condivisione delle informazioni e alla collaborazione tra unità aziendali quali elementi imprescindibili per innescare meccanismi di innovazione continua in vista della implementazione di imprese manifatturiere digitali. “La gestione del ciclo di vita del prodotto è prima di tutto una strategia – descrive Cipollini -, una metodologia basata sull’informazione condivisa grazie alla quale si riesce ad accelerare processi decisionali, produttivi e di vendita consentendo all’impresa di apportare innovazione durante tutto il ciclo di vita di un prodotto, dalla fase di progettazione fino all’obsolescenza”.
È su questi capisaldi che ha basato la propria strategia Plm, per esempio, SCM Group: “Dal 2009 l’innovazione di prodotto è diventata una vera e propria funzione trasversale lungo tutte le aziende parte del nostro gruppo industriale – racconta il Cto Federico Ratti -, non più divisa per stabilimento o tipologia di produzione e progettazione. Tale trasversalità significa oggi mettere a fattor comune la conoscenza e le capacità di tutti i progettisti, anche se il progetto Plm ha avuto ripercussioni non trascurabili sul piano organizzativo, attraverso una importante ridefinizione dei processi, dei ruoli e delle responsabilità delle persone, nonché nell'utilizzo di strumenti condivisi (il tutto partito con l'introduzione della filosofia e di rigorose regole di Project Management)”.
…change management, innovare ‘per gradi’ anche i processi!
“La natura di un progetto Plm dipende dal più ampio disegno strategico e dall'ambiente all'interno del quale deve essere inserito”, interviene Marco Rossi, Demand Management and Project Delivery Director di Barilla. “Noi per esempio abbiamo sempre riscontrato le principali criticità sul piano dei processi e dell’organizzazione, quindi sul Change Management. È però innegabile che le nuove tecnologie consentono oggi di avviare progetti di innovazione con una superiore celerità rispetto al passato, modulandone non solo i rilasci ma anche gli effetti (e di conseguenza i rischi); ciò significa che si può ragionare anche su meccanismi di innovazione ‘modulare’, sperimentandone gli effetti su aree ristrette ed acquisendo la necessaria fiducia da parte del business per estenderne poi le evoluzioni”.
Una delle criticità con le quali ammette di ‘scontrarsi’ Luca Osnaghi, It e Pianificazione di Temporiti, è la “ricerca di soluzioni puntuali a problematiche diverse; tendiamo a capitalizzare al massimo il nostro know-how interno, anche nella risoluzione di criticità che magari in altre realtà si sono già presentate e potrebbero rappresentare dunque un utile spunto consentendoci di risparmiare tempo e accelerare processi decisionali importanti che impattano sull’intero ciclo produttivo. Sul piano tecnologico, noi oggi ci scontriamo con la sopravvivenza di ambienti complessi costruiti su sistemi disgiunti poco standardizzati, ambito sul quale stiamo però intervenendo – non senza ripercussioni sul fronte organizzativo e di processo – perché è ciò che ci richiede il mercato, soprattutto clienti che, rispetto a noi, sono ‘colossi mondiali’ e richiedono ai propri fornitori sia capacità innovative di prodotto sia di processo”.
È la standardizzazione a rappresentare un punto critico e fondamentale di attenzione anche per Lucio Gallina, Regional It Manager di Bosch, “non tanto sul piano dei processi produttivi, quanto sull’integrazione dei sistemi a fronte di nuove acquisizioni da parte del gruppo, operazioni indubbiamente di valore strategico ma che richiedono una forte attenzione da parte dell’It e della struttura organizzativa, con inevitabili impatti anche sui processi innovativi. In questo caso, noi sfruttiamo moltissimo gli strumenti analitici, in particolare quelli che ci consentono di lavorare sui Big data, anche in un’ottica di Plm”.
Persone, serve condividere la conoscenza
L’uso dei sistemi Plm quale motore di innovazione non di prodotto ma di ‘outside innovation’, attraverso la disponibilità di informazioni (rendere accessibile il dato corretto alla persona giusta al momento più opportuno nella filiera del processo di innovazione) e la collaborazione tra differenti team aziendali, è uno degli aspetti più rilevanti che porta oggi le aziende ad implementare o far evolvere un sistema di gestione del ciclo di vita di un prodotto o servizio.
“L’unificazione del ‘masterdata di prodotto’ – racconta per esempio Rossi – nel nostro caso ha avuto un interessante impatto anche su funzioni quali gli Acquisti e le Vendite, in particolare migliorando la reputazione della forza vendita (che di fronte al cliente è in grado di accedere ai dati corretti e aggiornati) e assicurando lungo la filiera un maggior controllo sull’industrializzazione del prodotto”.
“Il processo di innovazione è abilitato prima di tutto dalle persone – commenta Gallina -; gli strumenti digitali diventano un incredibile volano non solo per la condivisione delle informazioni e la collaborazione tra team, ma anche per identificare ruoli, carriere, potenzialità e talenti di coloro che possono aggiungere valore a tale innovazione”.
È proprio con questo spirito, per esempio, che in Dana Italia S.p.A., “si è deciso di inserire nei team di progettazione e nella aree dedicate alla Ricerca e Sviluppo competenze di processo e non di prodotto. Io stesso ne sono un concreto esempio”, asserisce Paolo Locatelli, Lead Engineer, Engineering Systems dell'azienda. “Ci è voluto un po’ di tempo per ‘l’assestamento organizzativo’ ma ora anche gli stessi progettisti ne comprendono e ne attingono il valore”.
A volte l’engagement di tutti i livelli aziendali può però risultare complesso da avviare, come conferma Nicola Di Paola, Responsabile Sistemi Informativi di Trocellen Italia: “Noi non abbiamo un sistema Mes – Manufacturing Execution System in azienda per gestire e controllare la funzione produttiva, ma abbiamo integrato in Sap tutti i dati relativi alle operations, compresi quelli della produzione. Quello che ci manca è l'engagement di altri livelli aziendali per coinvolgere nelle scelte di innovazione di prodotto persone non necessariamente legate al processo produttivo (non sarebbe male nemmeno poter condividere informazioni e processi con anche alcuni fornitori chiave); ciò che manca ancora è il collettore, ossia strumenti più efficaci per la gestione della conoscenza”.
Parla invece di conoscenza del cliente Daniele Lanfranchi, Ict Manager di Rexel Italia: “Noi non siamo un’azienda produttrice ma una realtà commerciale di vendita; la multicanalità rappresenta uno dei driver principali quale tassello per l’innovazione di servizio, che deve essere costruita attorno alla conoscenza del prodotto per il quale, però, non riusciamo ad accedere a tutte le informazioni necessarie, non essendo noi i produttori. L’aspetto più critico in questo momento è dato dalla digitalizzazione di tutte le informazioni e dalla loro corretta condivisione”.
Così è possibile gestire il cambiamento
Se nessuna realtà aziendale è dunque esclusa dalla ricerca di innovazione, le sfide da vincere per riuscire a produrre, lanciare sul mercato e gestire efficacemente l’intero ciclo di vita di un bene o servizio passano da diverse fasi organizzative e di implementazione tecnologica.
Innanzitutto, è fondamentale che i flussi di informazione siano supportati da processi digitali che garantiscano agli utenti aziendali di ricevere le informazioni corrette al momento giusto; servono poi modelli produttivi intelligenti in grado di evolvere ed adattarsi a seconda delle necessità reali del business; un altro importante tassello è dato dalla rispondenza e integrazione tra la definizione ‘virtuale’ del prodotto/servizio e la sua reale produzione finale, in particolare diventa fondamentale che il prodotto/servizio sia perfettamente allineato ai business requirement; infine, l’azienda deve dotarsi di un sistema ‘adattivo’ in grado di massimizzare l’efficienza dei rilasci e della gestione di beni e servizi ma al tempo stesso flessibile per poter fronteggiare adeguatamente una domanda di mercato sempre più instabile e ‘nevrotica’.