Hanno partecipato alla tavola rotonda:
– Stefano Uberti Foppa, Direttore di ZeroUno
– Antonella Cartone, responsabile della Business Intelligence del mercato Retail
di banche popolari Unite
– Guido Ghio, area comm. Crm e Comunicazione, di Banche Pop. unite
– Ferdinando Bianchi, Responsabile Business Relationship, Gruppo Market/Enterprise,
di Zurich Italia
– Renzo Traversini, Direttore Solution Business Development di Sas
– Francesco Varanini, Direttore Scientifico Area e-Business di ISTUD
La Tavola rotonda che qui sintetizziamo, si colloca all’interno del ciclo ‘Incontri a cena’ promosso da ZeroUno e Istud (1) e rappresenta un approfondimento sul tema dei principi e delle evoluzioni più recenti dei sistemi di Customer Relationship Management (Crm). Durante la serata, svoltasi lo scorso fine giugno a Milano, sono stati presentati e analizzati, partendo dall’esame di casi reali, i diversi modelli di riferimento oggi disponibili per condurre in porto con successo più stretti processi di relazione con i clienti in una logica evolutiva che, a partire da un approccio prevalentemente ‘informativo’, preveda un’avanzata gestione dell’interazione con figure esterne all’impresa.
Uberti Foppa: Vorrei innanzi tutto cercare di capire, con i partecipanti alla tavola rotonda e con il pubblico, quale possa essere il punto di mediazione fra una visione ottimale della relazione con il cliente e la situazione reale. Indicando, pragmaticamente, quale sia un accettabile punto di partenza nella capacità di comunicare con il cliente e come da questo punto si possa evolvere facendo crescere la qualità della relazione.
Cartone: Comincerò indicando le principali difficoltà incontrate. La prima è prestare adeguata attenzione a informazioni che possono rivelarsi utili per conoscere il cliente, anche quando questi tende a ‘nascondersi’. Per farlo è indispensabile scegliere gli strumenti più adatti. Un compito non facile se si tiene conto che fino a poco tempo fa tecniche statistiche e di data mining venivano ancora viste nel mondo bancario come oggetti ‘strani’. Inoltre, nonostante sia fondamentale acquisire il punto di vista del cliente, questo è poi difficile da valutare: in molti casi l’atteggiamento dichiarato, ad esempio nel caso della propensione al rischio, non sempre coincide con quello effettivo.
Bianchi: Dal mio punto di vista, il problema principale è più che ottenere le informazioni, cosa peraltro non sempre facile, comprendere quali siano le informazioni davvero utilizzabili. Andando a indagare sulle informazioni già disponibili all’interno dell’azienda, si scopre a volte di avere più informazioni di quelle che siamo in grado di sfruttare. Un’ulteriore difficoltà è inserire i clienti entro segmenti definiti sulla base di quanto dichiarato dal cliente stesso, anche per il fatto che queste informazioni possono cambiare nel tempo. Un possibile modo di procedere consiste nel partire da alcune informazioni fondamentali per identificare i target, deducendole, in fase iniziale, da quelle già disponibili; mentre in un secondo tempo è indispensabile che l’appartenenza al target venga dichiarata esplicitamente.
Intervento dal pubblico: Le aziende del settore finanziario hanno detto della loro difficoltà nel reperire informazioni. Come cliente di una banca, sarei ben lieto di esprimere la mia valutazione sui servizi offerti. Tuttavia, non solo non sono mai stato sollecitato a dare il mio parere, ma anche quando avrei voluto farlo non ho trovato interlocutori interessati a conoscere il mio punto di vista.
Intervento dal pubblico: Esprimo anch’io una preoccupazione come cliente. Le aziende, soprattutto del mondo finanziario, hanno ormai raccolto grandi quantità di dati. Non c’è il rischio che un uso estremo del Crm vada ad impattare su aspetti che riguardano la privacy, coinvolgendo anche i dati cosiddetti sensibili? A mio parere, sarebbe opportuno, oltre ad occuparsi degli strumenti tecnologici, definire un codice deontologico per regolamentare questi aspetti.
Bianchi: Rispondo a questa ultima obiezione: le analisi che vengono svolte non sono focalizzate sul singolo individuo, ma vengono fatte sui grandi numeri per poter agire sul segmento.
Varanini: A mio parere, sulla questione della privacy esiste un’unica soluzione per risolvere veramente il problema: indipendentemente dalle norme stabilite dai garanti occorre un patto, fra l’organizzazione che propone i servizi e i singoli clienti, che stabilisca l’interesse reciproco nello scambio d’informazioni. Quanto alla quantità delle informazioni, questa dovrebbe essere considerata come un’opportunità che consente di ottenere maggiore conoscenza. Per superare la difficoltà nella gestione delle informazioni esistono strumenti creati allo scopo, come il data mining, e disporre di informazioni di tipo diverso, apparentemente anche ridondanti, crea più occasioni di connessione positiva nel generare un’informazione significativa. Dunque, il consiglio è tenere tutte le informazioni che si possono avere, visto che per fortuna i sistemi di memorizzazione costano sempre meno. Prima o poi si imparerà anche ad usarle nel modo migliore.
Traversini: Tornando al tema delle privacy, ci si può chiedere se abbia senso la richiesta di permesso dell’uso delle informazioni senza che ci sia contemporaneamente la definizione di un impegno. Probabilmente si farà davvero un passo in avanti nella relazione con il cliente quando dare informazioni farà parte integrante del contratto. Ciò implica una dichiarazione di fiducia, anziché la sottoscrizione di un vincolo di cautela, che dà valore al rapporto. Tuttavia, per quanto io ne sappia, non ci sono sistemi che vadano a contrattualizzare questo nuovo tipo di rapporto. Questo è un terreno su cui sarebbe necessaria la maturazione globale del mercato.
Ghio: Concordo sugli interventi che hanno sottolineato la quantità delle informazioni sul cliente e la scarsità di quelle sulla sua percezione del servizio. Cercherò, ricordando la nostra esperienza di maturazione, di indicare un possibile percorso. Avendo verificato che nelle campagne promozionali si andavano a colpire sempre le stesse persone, sostanzialmente quelle che i gestori conoscevano e con le quali avevano maggiori contatti, il nostro primo obiettivo era conoscere i clienti e soprattutto farli conoscere ai nostri gestori. Ma poi, affrontando in modo strutturato un portafoglio clienti più ampio, ci si è resi conto della difficoltà di contattarli. Molti clienti si presentavano da tempo in banca, ma senza che il gestore, focalizzato su poche persone, riuscisse stabilire un rapporto con loro. Per risolvere la situazione abbiamo sviluppato inizialmente strumenti tattici, piuttosto semplici, che hanno rappresentato un primo contributo efficace per l’automazione della conoscenza. Oggi ci vengono però chiesti strumenti più sofisticati dal punto di vista della capacità di interazione della banca sia verso il gestore sia verso il cliente. Stiamo dunque cercando strumenti capaci di acquisire informazioni sugli aspetti più importanti, dal punto di vista del cliente, dell’interazione con la banca, con l’obiettivo di aiutare entrambi e creare una vera ‘loyalty’ nel rapporto.
Bianchi: Anche noi prevediamo di acquisire informazioni relative alla percezione del cliente e allo scopo abbiamo scelto di considerare l’intermediario che gestisce il contratto come il canale principale in grado di recepire una serie di informazioni destrutturate. Questa figura è molto importante, visto che circa l’80% del nostro business viene gestito dall’agente, che fa da filtro tra il nostro servizio e il cliente.
Intervento dal pubblico: Mi occupo da tempo di marketing e da tempo sono cliente di banche. Mi stupisce che finora nessuno si sia preoccupato di indicare quali siano gli interessi del cliente. Le banche si preoccupano moltissimo di accedere alle informazioni dei clienti, anche se già sanno tutto di loro, ma emerge una contraddizione in termini di marketing: si accentua la centralizzazione a scapito dell’organizzazione territoriale. In qualunque filiale sul territorio ci sono risorse in grado di chiedere al cliente tutte le informazioni che si vogliono, e probabilmente il cliente sarebbe disposto fornirle in un rapporto personale, uno a uno; ma in realtà, almeno a mia esperienza, non viene fatta nessuna richiesta di questo tipo. Ci sono allora, a mio parere, tre problemi principali. Il primo è il rapporto con il cliente, ossia la vera volontà di averlo; il secondo è l’organizzazione, che deve essere tutta focalizzata sul cliente, e non solo il marketing; il terzo riguarda la tecnologia, nella quale le banche hanno da sempre investito moltissimo senza tuttavia riuscire a risolvere i loro problemi. Questi tre punti sono in definitiva riconducibili ad un unico aspetto principale: come rivitalizzare il rapporto con il cliente.
Intervento dal pubblico: Un problema che vorrei affrontare riguarda il ritorno dell’investimento. Vorrei sapere dalle aziende che partecipano alla tavola rotonda in base a quali parametri o quali obiettivi hanno deciso di investire in ambito Crm?
Bianchi: Per quanto ci riguarda, abbiamo analizzato come i costi di redemption siano cambiati negli ultimi anni grazie all’adozione incrementale di strumenti di Crm. Nel ‘99% dei casi, in assenza di campagne mirate, si decideva, in un universo di clienti scelti a caso, di fare proposte attraverso il nostro canale e la redemption era dell’1%. Nella fase successiva abbiamo deciso di effettuare interventi di comunicazione strutturati, tipo brossure, con un costo per contatto di 3 euro e una redemption del 18-20%. Nel 2003, con una diminuzione del costo di contatto a 0,90 euro, ma, grazie agli strumenti di Crm, con contatti mirati, abbiamo infine ottenuto una redemption superiore al 30%.
Intervento da pubblico: Anche la mia società, come la maggior parte delle aziende farmaceutiche, ha spostato la sua focalizzazione dal prodotto al cliente. Non sono però mancate le difficoltà, visto che allo stato attuale gli unici elementi certi riguardano le tecnologie, mentre per noi l’importante sono gli uomini. Abbiamo infatti 1.400 informatori medico-scientifici che finora sono stati abituati a parlare al medico del prodotto, di cui sanno tutto. Il problema è convincerli a focalizzarsi sul medico come cliente, passando ad un Crm ‘condiviso’, che implica uno scambio di servizi in una logica win-win, dove le informazioni servono all’azienda per fare più profitto e al cliente per essere servito meglio. Questo è un passaggio molto difficile: il rischio maggiore del Crm, a mio parere, è portare uno strumento complesso in un’azienda non pronta ad accoglierlo dal punto di vista culturale.
Uberti Foppa: Mi sembra ci sia, dal punto di vista dell’Ict come da quello del marketing, la consapevolezza di dover intraprendere un percorso che per portare al successo di una strategia Crm debba poter considerare anche gli aspetti più sfumati della relazione impresa – cliente. Lo sforzo che dovremmo poter fare ora è definire alcuni punti fermi sui quali si deve concentrare l’attenzione di un’azienda che voglia portare avanti un progetto di questo tipo; quale possa essere il punto di partenza e quale il percorso di sviluppo.
Traversini: Partirei da una prima considerazione: uno strumento Crm ha molti gradi di libertà; sarebbe dunque un errore considerarlo come una macchina che serve semplicemente per eseguire anziché come una macchina che serve anche per imparare. Il Crm non ha l’obiettivo di eseguire operazioni di puro ‘push’, ma serve per capire, per aprire una prospettiva evidenziando dei fatti. Ad esempio: quanto il cliente interagisce con l’organizzazione, quanti sono i segmenti con cui questa lavora, cosa prediligono i clienti di quello che l’organizzazione offre, come si stanno muovendo all’interno delle prospettive d’offerta. Questi sono, in definitiva, i fatti che generano revenue e che aiutano a capire come cambia il mercato. Per il successo del Crm è importante definire tavoli dove le diverse componenti aziendali possono mettere a fattor comune le proprie competenze relative ai processi. Caso tipico: l’utente del marketing strategico e l’It. L’obiettivo è passare da una pura situazione di richieste sporadiche ad una situazione in cui l’utente riesca ad agire da solo, mentre l’It sia in grado di garantire il livello di servizio sottostante.
Varanini: Prima di concludere, vorrei dare un consiglio alle aziende utenti di Crm: con tutto il lavoro che dovete fare, non perdete tempo per costruire ‘prima’ dei target; lasciate invece che i cluster dei clienti emergano ‘spontaneamente’, macinando le informazioni con gli strumenti adeguati. Lavorando in tal modo è infatti possibile che emergano aspetti nuovi, che non erano stati previsti. Dobbiamo infine ricordare che il fine di questi progetti dovrebbe essere la costruzione di una rete fra l’organizzazione e i clienti. L’utente finale del servizio Crm non è né il marketing, né il canale di vendita, né lo sportello, ma il cliente stesso, che dovrebbe avere accesso diretto il più possibile ai servizi e in qualche modo contribuire a progettarli. Non si tratta di uno scenario così utopistico: tecnicamente si può fare, e sarebbe ancora più possibile realizzarlo se partissimo da zero, senza vincoli organizzativi.
1) Questo appuntamento ha concluso il primo ciclo di ‘Incontri a cena’, che aveva a tema: ‘Ict e Valore di Business, quale rapporto tra la gestione dei sistemi informativi e il miglioramento della capacità competitiva d’impresa’.
Nei prossimi mesi si prevede di avviare un secondo ciclo di incontri sul tema della “Governance d’impresa”.