Go-to-market: quale ruolo per i partner?

Anche quando un vendor sceglie di gestire direttamente un cliente spesso si affida al canale per alcune attivita’ "minori" come quelle logistiche. Qual è il vantaggio per le terze parti? Come può avere un buon ritorno di business davanti a relazioni consolidate tra grandi imprese e big dell’it? Esaminiamo anche come vanno modificandosi in generale i meccanismi relazionali e di business tra i fornitori e la complessa galassia  dei partner del canale

Pubblicato il 07 Ott 2008

Anche i vendor It che dichiarano di avere un go-to-market diretto, in realtà, si affidano al canale e ai partner per raggiungere i clienti. A fare la differenza è, semmai, il modo con il quale questi vendor vi ricorrono che risulta del tutto strumentale al loro business. Stiamo parlando, principalmente, dell’approccio utilizzato sui clienti cosiddetti enterprise, ossia di fascia medio grande con i quali, solitamente, i vendor preferiscono manterenere un contatto diretto. In realtà, però, i partner di canale affiancano il vendor anche in questo caso ma con modalità differenti: le terze parti, in queste situazioni, devono accontentarsi di un margine piuttosto ridotto che il vendor ha già negoziato con il cliente per occuparsi delle attività logistiche e finanziarie. Le condizioni per le terze parti non sembrano quindi molto vantaggiose ma con questa modalità “strumentale” di gestire il cliente c’è la speranza di instaurare un contatto che permetta in futuro di sviluppare nuovi affari che possano ricompensarle dei ridotti margini della prima vendita (sempre che non si tratti di un cliente fidelizzato del vendor; in questo caso il vantaggio per il partner sarà dato dalla capacità di dare ulteriore impulso alla relazione già esistente).
La realtà però è molto più complessa di come l’abbiamo descritta, ma in questa fase del ragionamento, ci interessa sottolineare che nella relazione col cliente enterprise il vendor molto spesso usa i parter anche quando la relazione di business generation è completamente guidata da lui stesso.
L’impego, come dicevamo, è spesso “opportunistico”, non strutturato, finalizzato soprattutto a tener viva la relazione col partner in questione. Il presidio del cliente enteprise è saldamente nelle mani del vendor che però, tanto più complesso ed impegnativo risulta essere il suo prodotto/applicazione, specie in termini di manutenzione o ulteriore sviluppo, quanto più ha la necessità di ingaggiare chi ha competenze e maggiore flessibilità. Ed ecco spuntare nuovamente il partner e la spiegazione del loro ingaggio “strumentale” al quale si faceva riferimento prima.

Vendor, terze parti e clienti: quale equilibrio?
L’equilibrio della relazione descritta è però molto più stabile di quanto si potrebbe pensare. Guida, sovrana, la convenienza. La numerosità dei clienti è relativamente finita, i progetti/commesse, anche. Come si diceva, il “controllo” del cliente è in capo al vendor; il partner fa, in prima fase, molta “operation”, contando su quanto si potrà sviluppare a posteriori. Dal punto di vista del cliente questo modello è conveniente e spesso ricercato. Infatti, gli garantisce la relazione diretta col vendor che lo rassicura relativamente alla qualità del progetto, ma ha anche garantite le risorse e competenze di cui necessita nella quantità di cui di volta in volta ha bisogno ed ai prezzi che la propria capacità negoziale riesce a spuntare.
Quando i vendor a marcato o esclusivo orientamento al mondo enterprise decisero qualche anno fa che per sostenere le loro crescite avrebbero dovuto dirigere i loro sforzi anche verso la media e piccola impresa, una volta messa a punto la propria offerta, avvicinarono questo nuovo target di clienti più o meno nello stesso modo al quale erano abituati. Cioè contatto diretto con i clienti e uso strumentale dei partner. Si accorsero ben presto che i metodi usati per seguire i clienti, la cui numerosità si era fatta cento volte superiore, non poteva dare dei risultati efficaci. Si resero anche conto che il ruolo tradizionalmente affidato al partner, di semplice esecutore con ingaggio a seconda delle necessità, non era applicabile a trattative dimensionalmente molto più ridotte (non sostenute in prospettiva dallo sviluppo di altri business).

Pmi: serve una rete strutturata
Il numero decisamente maggiore dei clienti appartenenti alla medio-piccola impresa, la loro dispersione sul territorio, unite allo sterminato spettro dei bisogni e delle relative risposte applicative, rendono insostenibile per qualsiasi vendor l’impiego del modello di go-to-market con contatto diretto del cliente e delivery totalmente o parzialmente affidata al partner.
Nonostante queste considerazioni, però, quando si osservano le varie modalità dei vendor nell’affrontare il mercato delle Pmi, si verifica una varietà di atteggiamenti molto ampia.
Ciò deriva da vari fattori, i più condizionanti dei quali sono il livello del business complessivo del vendor che consente o meno di darsi una struttura di qualsivoglia tipo, per gestire le relazioni con clienti e canale, e la derivazione culturale del vendor in fatto di competenze di canale.
In base a questi due fattori possiamo classificare i vendor nelle seguenti categorie. Un primo gruppo è composto da quelle società che non avendo una massa critica sufficiente per sostenere una struttura territoriale, affidano le sorti del loro business alle caratteristiche del prodotto, al livello del prezzo ed alla comunicazione, nonché alle facilities logistiche dei maggiori distributori. In alcuni casi assistiamo allo sviluppo di qualche programma di canale (comunicato tramite i distributori o i media). In questo caso per il partner si profila una relazione del tutto occasionale, strumentale e finalizzata ad una vendita o poco più, in presenza spesso di politiche di vendita del vendor che fanno di tutto per complicare piuttosto che facilitare l’acquisto.
Un secondo gruppo è rappresentato da quei vendor che, avendo superato un certo livello di business, si possono permettere di mettere delle forze in campo. In questo caso, gli utenti vengono spesso segmentati per dimensioni e per settori industriali e, in base alla propria offerta, il produttore identifica sottocategorie da sviluppare e da gestire direttamente. In alcuni casi il vendor gestisce i clienti con livelli di “accounting” differenziati, creando strutture di territorio che operano spesso in team con dei telsales.
In un caso e nell’altro, l’ingaggio del partner è modulato in relazione alla fase durante la quale viene coinvolto. Può andare dalla semplice logistica, fino alla co-gestione dell’intera trattativa e del progetto. In base anche alla tipologia dei prodotti, al partner può venir affidata totalmente o parzialmente la fase di delivery progettuale e la gestione degli inevitabili ulteriori sviluppi.
Ciò che differenzia sostanzialmente i due modelli e complica terribilmente quello di indirizzamento del mercato Pmi è la scala. Il business medio in termini di prodotti (hardware, software o licenze) e dei servizi connessi per le Pmi è relativamente basso. In questo modello organizzativo la macchina di business generation è naturalmente commisurata alla forza che il vendor riesce a mettere sul campo. Normalmente non è poderosa, e quindi è in grado di generare livelli di business che, se anche soddisfano il vendor, non sono in grado di determinare un livello di commitment nel partner tale da spingerlo ad investimenti importanti in competenze e, men che meno, in attività di marketing specifiche.
Solo quando il livello di business del vendor raggiunge valori molto importanti, o quando ci si muove in aree ad elevata specializzazione (cioè quando vi sono le premesse perché vendor e partner si possano muovere con orientamenti e progettualità comuni), assistiamo a sforzi significativi da parte del vendor nell’impostare programmi di canale che esprimono con evidenza la centralità attribuita al partner nella strategia di approccio ai clienti.

I modelli vincenti
I modelli di relazione vendor-partner che oggi danno i risultati migliori sono quelli dove a fattor comune vengono messi ben identificati clienti e modalità con le quali gestirli e svilupparli. Va da sé che dietro un approccio di questo tipo c’é un lavoro preparatorio molto importante ed impegnativo. C’é la creazione delle competenze nell’offerta da parte del vendor, c’é la condivisione di una strategia di aggressione del mercato e la sua continua verifica e messa a punto. Ci sono anche regole che controllano il più possibile le modalità di ingaggio e la fase negoziale col cliente.
Quello appena descritto è però un punto di arrivo al quale tendere, partendo spesso da molto lontano.
Vi sono fattori facilitatori di relazioni consolidate vendor-partner, come per esempio i trend del mercato nel quale si muove il vendor. È chiaro che un produttore che opera in un mercato in forte crescita ha maggiori possibilità di instaurare relazioni stabili con un partner di quanto possa accadere ad un vendor che opera in un mercato di commodity.
Anche il cosiddetto livello di pervasività del vendor nel business del partner (cioé il peso specifico del prodotto/soluzione del vendor sul business globale del partner) rappresenta un fattore abilitante di modelli ad elevato parallelismo di obiettivi e strategie tra partner e vendor. Sul grado di parallelismo di orientamenti vi sarebbe parecchio da dire e da approfondire, dal momento che le controparti in ogni caso sono rappresentate da due aziende con proprietà, obiettivi e risorse completamente diverse. Il fatto che i loro destini in alcuni casi siano strettamente legati non comporta necessariamente il fatto che le strategie di medio/lungo termine coincidano. Spesso i vendor quando definiscono i loro obiettivi di crescita tralasciano un dato importante: non tengono conto del fatto che non tutti i partner tramite i quali operano sul mercato pensano di raggiunge tali obiettivi, sono in grado o più semplicemente hanno intenzione di seguirli.
* Manuel Spangaro è amministratore delegato di Partner Lab,
società di consulenza specializzata nella relazione tra i vendor e le proprie reti distributive

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