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Iperconvergenza disaggregata (dHCI): quali sono i vantaggi in termini di affidabilità e sicurezza

Impostare una gestione definita dal software a livello di potenza elaborativa, capacità di memoria e infrastruttura di rete per trasformarle in funzioni variabili è stato il primo capitolo dell’iperconvergenza. Il secondo capitolo è la dHCI, che consente di disaccoppiare i vari stack tecnologici, garantendo alle aziende una gestione senza compromessi e più sicura.

Pubblicato il 28 Apr 2022

Iperconvergenza disaggregata

L’iperconvergenza disaggregata è l’ultima frontiera di un approccio virtualizzato che semplifica la governance, fornendo un’architettura integrata che riunisce in un unico apparato risorse di calcolo, memorizzazione e networking in modalità disaggregata, mantenendo un’unica cabina di regia centralizzata. L’approccio permette all’IT di orchestrare capacità computazionali, di archiviazione e gestione del disaster recovery, migliorando l’efficienza, la resilienza ma anche la sicurezza di tutta l’infrastruttura. Project Informatica, System Integrator specializzato in infrastrutture ibride e iperconvergenti, soluzioni cloud, IT security e servizi gestiti oggi è un brand ambassador della dHCI. Partner storico di Hewlett Packard Enterprise (che l’anno scorso ha insignito l’azienda del titolo di miglior partner SMB nel sud Europa), il gruppo opera da oltre 30 anni, conta più di 600 addetti e una copertura strategica su tutto il territorio italiano. Ai microfoni di ZeroUno, Vito Carlucci e Nicolas Rota, Presales Project Informatica, spiegano più in dettaglio l’evolutiva dell’infrastruttura IT a supporto della trasformazione dei processi aziendali e organizzativi.

Iperconvergenza disaggregata: che cos’è e come funziona

Rispetto al modello HCI tradizionale, che garantisce una scalabilità lineare di tutte le funzioni (componenti HW e SW), l’iperconvergenza disaggregata (disaggregated Hyperconverged Infrastructure – dHCI) permette di scalare ogni singolo stack tecnologico in modo indipendente, cosicché nessuna risorsa possa risultare bloccata o andare sprecata.

“Mantenendo il cardine centrale della singola interfaccia di gestione semplificata, tipica di una soluzione HCI, l’iperconvergenza disaggregata presenta numerosi vantaggi in termini di affidabilità e di sicurezza” ribadisce Vito Carlucci. “Rispetto alle modalità di gestione, infatti, la tecnologia permette di far crescere in modo dinamico i singoli stack: server, storage e networking”.

“Per avere più spazio in termini di storage, con l’iperconvergenza, l’IT doveva potenziare tutti i nodi” sottolinea Nicolas Rota. “Con l’iperconvergenza disaggregata, invece, è possibile aumentare solo lo spazio disco contenendo i costi e funzionalizzando (ottimizzando) obiettivi e investimenti, mantenendo funzioni di auto-discovery, provisioning e pooling delle risorse che sono tutte opzioni a valore aggiunto per la governance. L’iperconvergenza la posso gestire dal mio virtual center o dal gestore dell’hypervisor, intervenendo sullo spazio e sulle modalità di archiviazione dei dati con modalità di aggiornamento dei nodi che vanno a rafforzare sia l’operatività che la sicurezza. Con HPE Storage dHCI Nimble o Alletra, i responsabili IT possono contare su una piattaforma intelligente che unisce la flessibilità e la granularità dell’architettura convergente con la semplicità dell’infrastruttura iperconvergente. Mettendo a sistema la potenza dei server HPE ProLiant e lo storage autogestito di Nimble e Alletra, si libera l’IT dalla necessità di una programmazione previsionale, permettendogli di gestire la crescita imprevedibile”.

Quando l’archiviazione non è più un problema

Uno dei più grandi problemi delle aziende, infatti, sono i processi di archiviazione, a partire da quelli collegati ai comportamenti di dipendenti e collaboratori. I lavoratori, infatti, nel loro modus operandi difficilmente procedono con una razionalizzazione dei dati gestiti, cancellando spontaneamente vecchi progetti e informazioni che oggettivamente non servono più. Il problema si riversa sull’IT, costretto ad aumentare lo spazio in maniera maggiore rispetto alle configurazioni blindate degli stack tecnologici della HCI.

“Ragionando nella pratica – prosegue Vito Carlucci – la possibilità di disaccoppiare l’archiviazione dalla capacità di calcolo rende la dHCI ideale per tutte le aziende che devono affrontare l’onda montante delle informazioni, perché consente di gestire in maniera più elastica la crescita dei dati associati a database e data warehouse mission-critical, con livelli di sincronizzazione dei dati estremamente elevati. In sintesi, l’iperconvergenza disaggregata fa davvero la differenza per l’IT, offrendo una gestione dello spazio senza più limiti”.

Come e perché HPE dHCI fa la differenza

Basata su HPE InfoSight, HPE dHCI è una soluzione non solo affidabile, ma anche altamente resiliente che combina consolidamento, efficienza e visione verso il futuro. Progettata per offrire prestazioni e disponibilità elevata, la piattaforma porta con sé tutto il valore di una partnership con Hewlett Packard Enterprise, che garantisce pieno supporto in termini di implementazione e configurazione. Rispetto all’iperconvergenza tradizionale, un’azienda che sceglie HPE dHCI non deve più giocare d’anticipo, decidendo a priori la configurazione di riferimento. Indipendentemente dall’assetto prescelto, l’approccio partizionato libera l’IT rispetto all’evolutiva dell’infrastruttura.

“Fino a ieri per fare un upgrade dei server l’IT doveva aggiungere memoria, CPU o dischi, facendo una serie di analisi, usando la sfera di cristallo per immaginare le esigenze aziendali future” ribadisce Vito Carlucci. “L’iperconvergenza disaggregata di HPE, utilizza lo stesso processo ma lavorando su una scala diversa, consentendo di scalare lo stack che serve, quando serve davvero.

Il tutto con una gestione dei costi ottimizzata perché la scelta può essere fatta in modo verticale, senza toccare il resto della configurazione che rimane invariata. Per questo la dHCI è la soluzione di riferimento in tutti quei casi in cui l’organizzazione evolve per vari motivi: crescita del business, acquisizioni, fusioni, internazionalizzazione e via dicendo”.

L’unico freno alla sua adozione, secondo Vito Carlucci, non sono tanto i costi ma il tipo di cultura aziendale. “È vero che gestire l’infrastruttura tradizionale nel breve termine costa meno. Ma è anche vero, che nel medio e nel lungo termine i costi addizionali necessari ad allineare le infrastrutture IT alle necessità del business risultano estremamente più elevati. E questo accade sia nelle grandi aziende che nelle piccole”.

Un modello a 3S: Semplificazione, Scalabilità, Sicurezza

Approccio di ultima generazione che, detto per inciso, supporta tutta l’evolutiva applicativa come, ad esempio, la virtualizzazione dei container. La dHCI, infatti, non coniuga solo facilità di gestione e maggior controllo sull’allocazione delle risorse. Un altro grosso vantaggio dell’iperconvergenza consiste in una sicurezza di livello superiore.

“Sicurezza non significa solo presidiare gli accessi e proteggere applicazioni e sistemi” spiega Nicolas Rota. “Parte integrante della governance è mantenere aggiornate le infrastrutture, le componenti software e i relativi firmware per sistemare tutte le eventuali vulnerabilità. Il che significa andare a investire tempo e risorse per risolvere gli aggiornamenti di tutta la parte legata a storage, Switch Fiber Channel (SAN) e nodi, mantenendo e verificando matrici di compatibilità molto ristrette in termini di dischi, RAM e CPU”.

Una complessità che porta i responsabili a dilazionare il controllo e la programmazione degli aggiornamenti, riducendo il delta temporale degli interventi a una o due volte l’anno, con un disallineamento della sicurezza rispetto all’evolutiva delle minacce. L’iperconvergenza semplifica la sicurezza, togliendo gli oneri di gestione della SAN e di tutte le matrici di compatibilità legate a questo metodo di connessione. Combinando one-click upgrade e zero down time, la tecnologia abilita modalità di aggiornamento a caldo e durante gli orari di lavoro, senza impattare sulla continuità operativa degli utenti e degli applicativi di business.

Nell’IT fare le cose come si son sempre fatte non paga

L’inerzia della governance quando si parla di investimenti può risultare pericolosa. Nell’era del cambiamento continuo del business e della disruption, agire seguendo la logica del “abbiamo sempre fatto così” non solo non è vincente ma spesso lega le imprese al palo. Dal punto di vista dei responsabili IT l’iperconvergenza disaggregata rappresenta la fine del tunnel in termini di qualità del presidio e di massima agilità operativa a supporto della continuità operativa aziendale.

Dal punto divista del CdA è più difficile capire che il costo tecnologico iniziale si traduce in una riduzione sensibile dei costi legati alla necessità di supportare l’evolutiva dei server, degli storage e delle reti che servono a motorizzare il business.

“In questo senso è molto importante condividere le storie di successo di chi ha adottato l’iperconvergenza disaggregata” prosegue Vito Carlucci. “Un caso emblematico è quello di un’importante azienda finanziaria, che ha acquistato questo tipo di tecnologia arrivando a risparmiare il 30% rispetto a quanto avrebbe speso con un approccio tradizionale. Dal punto di vista dell’operatività quotidiana, a parità di infrastruttura, il valore della dHCI è incommensurabile: un nostro cliente del manufacturing è riuscito a ridurre di un 50-60% le attività, ottimizzando i tempi di aggiornamento e minimizzando gli oneri legati alla gestione della complessità.

Anche solo aprire 5/6 interfacce per fare degli aggiornamenti di storage, server e networking triplica le possibilità di commettere un errore e impatta significativamente sulla sicurezza. Avere un’infrastruttura che posso gestire e mantenere aggiornata velocemente, riducendo il perimetro di rischio, è realmente un fattore decisionale rilevante per un investimento strategico”.

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