Enrico Camerinelli è European Director & Chief Analyst nel Supply-Chain Council, organismo fondato nel 1996 da Pittiglio Rabin Todd & McGrath e Amr Research e attualmente annovera fra i propri membri circa 1.000 esponenti di alto profilo che operano su scala mondiale in vari settori dell’economia, dal manufacturing ai servizi, dalla grande distribuzione al retail.
Un profondo conoscitore di tematiche si supply chain management a cui ZeroUno ha chiesto di commentare i messaggi fondamentali espressi dai vari responsabili It intervistati sul tema oggetto di questa inchiesta. E cioè come la tecnologia risponde alle esigenze di integrazione delle soluzioni/applicazioni di Scm con il sistema informativo aziendale e quello dei partner esterni, quali sono i modelli che determinano un’infrastruttura It a supporto del rinnovamento dei processi di gestione della produzione o delle relazioni di filiera e quanto le nuove tecnologie (soluzioni mobili, business intelligence, Rfid, Extranet Web based, Web services, marketplace B2B) sono effettivamente alla base di un’evoluzione delle supply chain.
Innovazione a livello “locale”, lavorando sui sistemi (Erp) esistenti
A Camerinelli abbiamo chiesto innanzitutto di commentare il progetto in corso di realizzazione in Honda Italia, che prevede l’utilizzo di tecnologie Rfid “in house” per la gestione di alcuni componenti critici sulla linea di produzione.
“Se parliamo di collaborazione e di integrazione – questo il pensiero dell’analista – il primo obiettivo da raggiungere riguarda la relazione fra l’azienda e il mondo esterno, i fornitori; se prendiamo in esame applicazioni di tecnologie complesse, come l’Rfid, il processo di rinnovamento dei processi è normale che si limiti ad aree interne all’organizzazione, come per esempio logistica e produzione. In tema di utilizzo esteso dei sistemi di identificazione a radiofrequenza mancano ancora, in linea generale, le esperienze dei grandi system integrator e non è quindi un caso che in fatto di Rfid prevalgano di fatto iniziative condotte a livello locale”.
Affrontando invece uno dei temi ricorrenti nelle risposte raccolte da ZeroUno presso le aziende utenti, e cioè la centralità dell’Erp rispetto alle implementazioni di soluzioni di Scm, Camerinelli ha fatto questa premessa: “In chiave supply chain, le aziende sono sostanzialmente orientate a far fruttare gli onerosi investimenti sostenuti in passato per implementare piattaforme gestionali estese. Ottimizzare le risorse It esistenti, sfruttandone al massimo le capacità di elaborazione dati, e rispondere alle esigenze dettate dal business è di fatto il vero obiettivo da raggiungere, anche con una parziale interoperabilità con l’esterno. L’Erp, in questo senso, viene visto come repository centrale dei dati, necessariamente allineati e corretti, generati a più livelli dalle diverse fonti aziendali. Se questo è comunque un passo avanti rispetto al passato, il problema che resta aperto riguarda le modalità con le quali l’Erp viene utilizzato: l’esperienza sul campo ci dice che non sempre sono corrette e funzionali al rinnovamento di alcuni processi strategici, supply chain compresa”.
Integrazione: il problema non è tecnologico, ma di processo
Un secondo punto di convergenza fra le esperienze maturate da Ducati, Pramac, Colombo Filippetti, Elica e Itriafarma riguarda l’approccio al fattore integrazione, ritenuto un passaggio obbligato da compiere per poter adottare adeguatamente una soluzione di Scm o di planning & scheduling. Secondo Camerinelli “i sistemi Erp e Scm in azienda si parlano e tecnicamente non ci sono grossi problemi per arrivare a questo obiettivo; ciò che però in alcuni casi viene a mancare è la spinta flessibile e adaptive verso le nuove richieste originate dal mercato o dalle strategie aziendali. Il punto focale della questione integrazione è quindi sul livello di maturazione dei vari processi interessati, e quindi produzione, ricevimento merci, riordini dei materiali; il flusso di dati che convoglia nell’Erp deve essere necessariamente flessibile in funzione delle diverse modalità di gestione operativa”.
Se, a detta dei responsabili It sentiti da ZeroUno, il problema dell’integrazione è un ostacolo di fatto superato, anche in virtù di piattaforme gestionali avanzate, Camerinelli ritiene doveroso osservare come i sistemi Erp debbano essere ulteriormente aperti e possibilmente personalizzati e come l’integrazione sia da conseguire fra diverse fasi di processo e non tanto fra diverse scatole applicative. Anche per ragioni che vanno oltre la mera interoperabilità dei dati: “Nella supply chain – ha infatti osservato Camerinelli – i flussi oggetto di integrazione sono legati sia ai materiali e ai documenti che li identificano sia a informazioni di carattere squisitamente finanziario, che non è scontato siano sempre sotto controllo al fine di garantire la massima trasparenza ed affidabilità delle transazioni a livello di filiera”.
Il paradigma “demand driven”
Un’altra certezza espressa dalle aziende oggetto di questo servizio riguarda infine la propensione delle stesse verso soluzioni di gestione della catena di fornitura e delle fasi di produzione e planning sempre più legate ai processi di internalizzazione del business e a strategie operative customer oriented.
“Il principio alla base del modello demand driven – ha osservato in proposito Camerinelli – è valido ed è di fatto l’obiettivo di tutte le aziende, che puntano infatti a non produrre più dell’ordinato e bilanciare, in altre parole, i livelli di produzione con l’effettiva domanda. Si parla quindi di modelli di supply on demand e si guarda con attenzione a controllare un ciclo finanziario che deve far collimare gli incassi generati dalle vendite con le uscite destinate a finanziare gli approvvigionamenti di materia prima. Il modello non va però estremizzato, soprattutto per quanto riguarda la riduzione delle scorte: demand driven significa poter rispondere in modo adeguato alle variabili della domanda, assecondandone i picchi sia verso l’alto che verso il basso; significa gestire in modo opportuno fattori quali la resilience e il risk management della supply chain, ovvero la capacità di reagire e ripristinare il normale funzionamento della catena a fronte di gravi imprevisti e di conoscerne approfonditamente le dinamiche”.
Il “consiglio” che arriva da uno dei massimi esperti a livello europeo in fatto di supply chain e che potrebbe di conseguenza essere molto utile alle aziende impegnate in progetti di Scm estesi è quindi il seguente: “Occorre guardare a ben definite best practice, e una di queste riguarda le applicazioni di Sales and operational planning, che permettano alle aziende di affrontare la problematica nel suo complesso attraverso attività e processi più condivisi e collaborativi, in un’ottica di filiera estesa che possa spaziare dal marketing alla produzione, dagli obiettivi di time to market alla gestione degli acquisti”.