Il cubo di cristallo all’angolo nord di piazza 5 Giornate è da molti anni un punto di riferimento per chiunque viva a Milano e, per chi vi arriva dall’aeroporto di Linate, segna l’ingresso nel centro-città. Ma sebbene il centro di vendita milanese, da poco rinnovato nella struttura e nell’esposizione, sia il portabandiera dei negozi Coin, non è né il più grande né tanto meno il più antico di un’impresa vicina a compiere il secolo.
È nel 1916 infatti che Vittorio Coìn, di Pianiga, in provincia di Venezia, ottiene la licenza di venditore ambulante di tessuti e mercerie. Aiutato dai figli, nel 1927 apre il primo negozio nella vicina Mirano e nel ’29 un magazzino a Dolo, sempre in zona. Negli anni ’30 i Coìn iniziano a vendere gli “abiti fatti”, come si diceva allora, e aprono negozio e magazzino a Mestre. L’azienda cresce, nel ’39 diventa società anonima e incomincia ad allargare l’area d’azione. Passa la guerra e nell’Italia del boom lo sviluppo della Coin (senza più l’accento sulla i e diventata SpA), fa un salto di qualità: nel 1957 apre a Trieste il primo grande magazzino a più piani, e nel ’58 un negozio nel centro di Bologna. Uscita dall’ambito regionale, Coin amplia sia la presenza sul territorio come la ricchezza dell’assortimento. Nel giro di una quindicina d’anni si aprono negozi in tutta Italia. Mentre agli abiti confezionati si affiancano gli articoli sportivi, i casalinghi, i giocattoli e la profumeria. Nel 1968 nascono, per coprire le periferie e i piccoli centri, le Coinette, e da queste gli Ovs (Organizzazione Vendite Speciali) che vendono le giacenze Coin a prezzi di saldo. Nel 1997, e siamo quasi ai nostri giorni, nasce il Gruppo Coin, che già un anno dopo compra il ramo abbigliamento della Standa e nel 1999 viene quotato in Piazza Affari. Nel 2008 e nel 2009 entrano nel Gruppo altri due marchi: Melablu (una sessantina di negozi, principalmente nel Nord Italia) e Dem Retail (sette grandi magazzini, nel Veneto). Infine l’acquisizione di Upim, i cui negozi vengono in gran parte integrati, come per le altre operazioni, nelle catene Coin e Ovs, porta il Gruppo ad essere il numero uno nel suo settore sia per presenza (oltre 880 punti vendita) sia per giro d’affari, con un venduto 2011 di 1.648 milioni di euro, pari al 6.51% dell’intero mercato dell’abbigliamento in Italia.
In tutte le attività commerciali, ma specialmente nella vendita al dettaglio, non si arriva al successo se non si conoscono a fondo i clienti, i loro gusti, cosa li spinge all’acquisto. In questo campo Coin è un’antesignana: nel 1986 è infatti il primo retailer in Italia a introdurre la Coincard, una carta-fedeltà che premiando con sconti e promozioni coloro che ripetono l’acquisto, ottiene dati preziosi sulla composizione della clientela e sulle sue preferenze e orientamenti. Quest’attività di marketing sul consumatore è continuata nel tempo e oggi, aggiornata sulle possibilità della tecnologia e sulle opportunità date dal Web, ha generato un progetto di analytics applicate al mondo delle reti sociali.
“Naturalmente – osserva Gianluigi Zarantonello, responsabile Digital Marketing del Gruppo Coin,
parlando al convegno Business Analytics organizzato da Idc a Milano – cambiano le necessità e le cose da misurare. Oggi moltissime persone fanno ricerche sul Web per poi concretizzarle in un acquisto fisico. Noi investiamo in siti, cataloghi on-line e quant’altro per portare la gente nei nostri negozi, ma come ne misuriamo il ritorno?”. La risposta a questa domanda si è cercata appunto nei social network, che sono stati considerati in tutte le loro dimensioni d’informazione. Il progetto è nato dal marketing, ma ha investito da subito sia i commerciali, “che stando sul campo hanno il vero polso del mercato”, sia l’It, “che va coinvolta dall’inizio e non a cose fatte”, perché sia responsabile delle scelte e degli eventuali problemi che dovessero poi sorgere, sia infine il customer care e chiunque avendo contatti con i clienti ne possa integrare i dati, “perché i social network sono un fenomeno globale e quindi non è detto che siano un campione rappresentativo”. È poi molto importante che tutte le persone coinvolte abbiano bisogno di tempo per comprendere la tematica, sviluppare competenze o anche solo maturare una nuova attenzione al mondo social. “Possono anche servire nuove professionalità, ad esempio nelle analisi o nel mobile, che oggi non ci sono nelle aziende tradizionali ma che le più grandi potrebbero cominciare a reclutare”. Ovviamente occorrono anche le tecnologie, ma in un progetto di questo tipo la scelta tecnologica dovrà essere successiva alla conoscenza delle persone, cioè degli utenti dei network e degli strumenti da questi usati, nonché degli obiettivi d’informazione che si vogliono ottenere: “Se si sceglie la tecnologia prima – afferma Zarantonello – questa finirà per condizionare le azioni successive e il progetto si svilupperà a rovescio”.
Riguardo all’esperienza Coin, questa si sviluppa in una chiave che il responsabile Digital Marketing chiama di Social Crm: “Abbiamo all’interno del Gruppo una componente di Crm molto forte e stiamo usando un tool che permette di analizzare gli utenti attivi del network, in particolare di Facebook, vedendoli soprattutto come individui, con le loro informazioni, i loro interessi e quant’altro”. Zarantonello non ha citato lo strumento adottato, limitandosi ad osservare che “si tratta di un tool molto legato alla logica Crm e non a quella di fare comunicazione sui social” e che è provvisto di avanzate funzioni di analisi e monitoring. “Fornendo delle statistiche molto qualitative lo strumento offre un beneficio a tutte le funzioni aziendali”. Per questo, lo stadio attuale del progetto è il collegamento dei profili social ai database Crm aziendali: “Possiamo fare analisi sofisticate e anche comunicare one-to-one via e-mail, Sms e altri mezzi arricchendo il messaggio pubblicitario con l’informazione che viene dal social network. Tutto ciò – ha concluso Zarantonello – lo facciamo guardando non solo al Web ma all’intero ecosistema digitale, con applicazioni per smartphone che oltre a virtualizzare le fidelity card ci possano permettere di capire i comportamenti sociali dell’utente anche quando è fisicamente dentro il negozio”.