“Il processo di demand planning nelle aziende italiane” è il titolo del libro che contiene i risultati di una ricerca nata dalla collaborazione tra il mondo dell’impresa, rappresentato da Ailog, associazione italiana di logistica e di supply chain management, e dall’Università Liuc.
Ailog è il punto di riferimento professionale in Italia sui temi della logistica e della gestione della supply chain e riunisce i maggiori esperti di logistica e di altre funzioni collegate. Il
gruppo di lavoro di Ailog, diretto da Fabrizio Dallari (nella foto), docente dell’Università Carlo Cattaneo Liuc e direttore del Centro di Ricerca sulla Logistica, ha esaminato 35 aziende – in un periodo compreso tra aprile 2005 e ottobre 2006 – per analizzare l’organizzazione attuale del processo previsionale ed evidenziare le best practices delle imprese di diversi settori merceologici: farmaceutico, beni di largo consumo alimentari e non alimentari, e infine il beverage.
La metodologia prescelta per la ricerca è stata quella dell’anonymous benchmarking, condotto mediante la compilazione di un questionario, finalizzato a comprendere le dinamiche aziendali della domanda e le soluzioni previsionali adottate, analizzando in modo particolare l’organizzazione del processo di demand planning.
In una fase successiva, le informazioni raccolte sono state discusse collegialmente nel corso di focus group settoriali, a cui hanno partecipato gli stessi manager coinvolti nell’indagine, per evidenziare le caratteristiche specifiche di ogni settore, commentare i risultati più interessanti e ricavare alcune linee guida per la corretta gestione delle previsioni.
“In uno scenario in cui la domanda è sempre più variabile – afferma Domenico Netti (nella
foto a destra), presidente Ailog e direttore logistica di Lavazza – abbiamo ritenuto necessario sensibilizzare il sistema produttivo nazionale sull’importanza che riveste il processo di demand planning. Dai risultati dell’indagine svolta emerge che molte aziende italiane hanno ancora tanta strada da percorrere e che, soprattutto, devono rapidamente abbandonare i criteri tradizionali e soggettivi per prevedere gli orientamenti e le tendenze del mercato. Gli obiettivi di efficienza per affrontare la competizione internazionale possono essere perseguiti attraverso modelli organizzativi e decisionali innovativi, con il supporto essenziale di software dedicati e specializzati nella gestione del processo di demand planning”.
Ma che cosa si intende per demand planning? Ecco quanto riportato all’interno del libro: “È il processo che unifica la previsione statistica e tutte le informazioni interne ed esterne provenienti da mercato e clienti (sia quantitative sia qualitative), ove l’intervento umano ha un ruolo significativo soprattutto per quanto attiene all’integrazione delle informazioni riportate dalle diverse funzioni. Questi due processi rappresentano un momento fondamentale nell’ambito del processo di Sales & Operation Planning. A partire dal numero generato dal demand planning, determina i fabbisogni, pianifica le attività produttive e logistiche. Per ottenere un elevato livello di performance, questo processo deve essere pronto a reagire rapidamente alle mutevoli condizioni operative, attraverso una gestione quasi quotidiana, a differenza dei diversi processi a ciclo mensile o al massimo settimanale”.
Sui settori imprenditoriali e le problematiche inerenti al tema del demand planning interviene
Marialuisa Martinengo (nella foto), business consultant di Sap Italia: “Come evidenzia la ricerca, pharma, home&personal care e beverage, sono i settori in cui le aziende hanno da sempre sentito maggiormente il problema del demand planning. Infatti sono state tra le prime a interessarsi all’ottimizzazione di tale processo. Tuttavia è opportuno sottolineare che negli ultimi anni anche altri settori come, per esempio, l’automotive, stanno investendo sempre più tempo e risorse su questa tematica”.
“Il tema della previsione della domanda è trasversale a tutte le aziende – interviene Dino Luzzatto (nella foto a destra), responsabile attività consulenza in area supply
chain di Txt e-solutions. – Se i settori evidenziati nella ricerca sono sicuramente quelli ove per il processo di previsione evidenzia un maggiore livello di maturità, negli ultimi anni la crescente complessità del business (domanda, prodotti, supply chain) ha richiesto sempre più di affinare le capacità previsionali anche in aziende appartenenti a settori come, per esempio, il manufacturing, settori che nel passato hanno posto minore enfasi a tale processo”.
Secondo Diego Giometti (nella foto a sinistra), senior partner consultant di Simco “la sfida
sarà quella di passare dalle realtà top alla Pmi, che ha altrettanto bisogno di organizzare sistematicamente il processo di demand planning e dove è più difficoltoso operare, per problemi anche di natura “culturale”. Occorre rendere il più possibile partecipe di questo approccio la realtà del tessuto imprenditoriale italiano, ivi incluse quelle aziende che operano nella distribuzione”.
“In un processo di previsione strutturato – afferma Luzzatto – diventa sempre più importante la dimensione collaborativa del processo per consentire a tutti gli attori significativi di fornire il proprio contributo. In questo ambito, la tecnologia, e in particolar modo le tecniche statistiche di previsione, sono da inquadrare come uno degli attori che partecipano al processo, in grado di produrre buone previsioni per segmenti di mercato (prodotto-mercato) a media complessità. Al crescere della complessità (per esempio, cicli di vita corti dei prodotti, incidenza significativa delle previsioni, politiche dei competitor molto dinamiche) il ruolo del pianificatore aumenta di importanza essendo l’unico attore del processo in grado di interpretare segnali deboli del mercato”.
Gli interlocutori, per quanto riguarda il demand planning, di solito appartengono alla supply chain, al marketing o, per le piccole aziende, è la stessa proprietà. Si dice inoltre che i sistemi sono rigidi, mentre i processi cambiano. Per Martinengo “a volte si crea confusione fra sistemi rigidi e rigorosi; non dimentichiamoci che la tecnologia deve essere un fattore abilitante. Quando si affronta un progetto nell’area demand planning è molto utile riferirsi a best practice di processo, ma è altrettanto importante tenere presente la cultura aziendale, per esempio la conoscenza delle metodologie statistiche, la politica di incentivazione dei pianificatori. In generale, è consigliabile inziare in maniera graduale, con processi semplici che una volta padroneggiati da parte dell’azienda possono ampliarsi fino a coprire tutti gli ambiti della best practice. Una volta disegnato il processo, il sistema supporta l’utente in una gestione rigorosa delle attività”.
“Noi siamo consci che il punto di partenza debba essere il disegno del processo e la chiara condivisione dei principali fattori abilitanti per il miglioramento delle previsioni – commenta Luzzatto. – Solo a questo punto è possibile delineare il ruolo della tecnologia e procedere a un progetto di implementazione di successo. Per esperienza è consigliabile suddividere il progetto in tranches definendo una roadmap di implementazione, introdurre sin da subito un processo strutturato di misurazione della forecast accuracy e, nel momento in cui il processo previsionale si sia stabilizzato, procedere con un dimensionamento delle scorte di sicurezza tenendo conto del livello di servizio richiesto e dell’errore revisionale”.
Ma cosa si intende per forecast accuracy? È la misura della capacità del sistema previsionale di avvicinarsi alla domanda effettiva del mercato, che potrà evidentemente essere nota solo a consuntivo.
“L’aspetto tecnologico, lo strumento” – aggiunge Giometti – “dovrebbe essere il più possibile “trasparente” per l’impresa, sebbene sia indiscutibilmente uno degli aspetti fondanti dell’efficacia del demand planning. Chi è chiamato a decidere se e quale strumento implementare, va aiutato sugli aspetti di base che caratterizzano la scelta; ecco perché il consulente – prima ancora che la definizione della copertura funzionale e di altre caratteristiche dello strumento e del fornitore – dovrebbe essere in grado di valutare il ritorno dell’investimento in termini di aumento del livello di servizio, riduzione delle scorte, aumento dell’efficienza dei pianificatori ecc”.
Un altro aspetto importante è il Business Process Outsourcing. “Guardando un po’ in avanti (oltreoceano si possono già analizzare esperienze in merito), riteniamo che si inizierà a parlare anche nell’ambito dei processi di Supply Chain Management di possibilità di fruire della tecnologia con logiche “a consumo” e di livelli più o meno spinti di outsourcing dei processi (Business Process Outsourcing) – conclude Luzzatto. – Soprattutto nel contesto italiano, caratterizzato da una massiccia presenza di piccole e medie aziende, sarebbe molto interessante per le aziende poter demandare a un attore esterno parte del processo. In quest’ottica al partner, che assumerebbe il ruolo di business partner e non solo di SW vendor, potrebbero essere demandate le parti del processo (per esempio, produzione del forecast statistico) che richiedono competenze specifiche spesso non disponibili in azienda (per esempio, tecniche statistiche) e che non richiedono la conoscenza di dettaglio dello scenario di business in cui l’azienda opera”.