La grande distribuzione e il retail in genere, il manufacturing e l’agroalimentare sono settori che non possono più fare a meno di trovare risposte adeguate alla voce riduzione costi, nella massimizzazione delle risorse e nell’ottimizzazione dei processi di supply chain, planning ed execution. L’It, in questo quadro, è ancora una volta il jolly da saper giocare per soddisfare tali requisiti, elevando la funzionalità del sistema azienda nel suo complesso. Peccato che, come spesso capita, la conoscenza e l’applicazione di modelli (anche legati all’outsourcing) avanzati di automazione dei processi non raggiunga sempre livelli di eccellenza, nonostante la componente logistica arrivi a pesare (ed è il caso del manufacturing) anche fino al 25% sui costi del prodotto finale.
Secondo l’Ailog, l’Associazione italiana di logistica e supply chain management, i costi (del software) non sono i veri freni inibitori alla dovuta informatizzazione delle attività di filiera: sarebbe la mancanza di adeguate soluzioni verticali in grado di gestire (oltre alle classiche interconnessioni Edi) anche operazioni su standard de facto come Xml a frenare chi vorrebbe superare l’impasse di investimenti in innovazione riluttanti e competenze funzionali di medio basso profilo. Suona come un campanello d’allarme, invece, l’ammonimento lanciato di recente da Federico Barilli, direttore Assinform, che, fotografando lo state dell’arte della comunicazione nelle Pmi a livello di filiera, ha detto: “Il concetto di distretto o filiera digitale non può reggere quando si pensa di informatizzare modelli gestionali vecchi e superati senza portare innovazione in seno ai processi. La relazione fra le aziende, nonostante il diffondersi delle tecnologie di rete, è quindi ancora un nervo scoperto per lo sviluppo economico della Pmi italiana e solo progetti di collaborazione dinamica basati su tecnologie digitali possono costituire il primo passo per realizzare forme di aggregazione strategiche e durature”. Se la competitività delle Pmi italiane è lecito che passi anche attraverso progetti di Supply chain avanzati, di lavoro da compiere, sembra di capire, ce n’è veramente molto.
Gartner: obiettivo demand driven e real time per i processi di filiera
Entrando nel merito della nostra inchiesta, tesa a identificare i punti di forza ma anche le criticità che accompagnano l’adozione di soluzioni di Scm, citiamo un dato elaborato dagli analisti di Gartner Group: entro il 2007, il 50% delle aziende Fortune 500 che non hanno creato strategie di Scm demand driven in tempo reale condurrà iniziative di supply chain di scarso successo.
La stima prende corpo dal fatto che nel 2004 sono aumentate in numero e volume le iniziative strategiche di supply chain nelle aziende statunitensi che, dopo alcuni anni di investimenti tattici, sostanzialmente piatti e improntati alla prudenza, stanno iniziando a concentrarsi su progetti di Scm con obiettivi di portata più ampia rispetto alla riduzione dei costi e mirati a produrre agilità, funzionalità e soddisfazione dei clienti. In tal senso, il modello di gestione demand-driven e in tempo reale rappresenterà il nucleo centrale delle strategie di Scm a complemento dell’approccio attualmente in uso, che prevede in primo luogo le fasi di pianificazione e di esecuzione. Migliorare la gestione della supply chain, secondo Gartner, è quindi un tassello fondamentale per ottenere reale valore dall’interazione tra reparti aziendali e risorse It e, nel quadro di sviluppo prospettato dagli analisti, gli impatti più significativi sul business aziendale deriveranno dal collegamento dei processi di supply chain alla domanda effettiva del mercato (e non a dati che ne rappresentano possibili proiezioni).
Come può, partendo dai presupposti appena descritti, un’azienda intervenire su processi, risorse umane, infrastrutture It per raggiungere tale obiettivo? Le indagini dicono che la principale causa di “malfunzionamento” della supply chain è l’assenza di collegamento tra processi e domanda. L’azione correttiva si ritiene quindi possa essere quella di collegare tutte le attività aziendali alla domanda esplicita o prevista e di ri-progettare i processi all’interno della supply chain in modo che riflettano, anche solo in parte, questo modello, privilegiando quindi operatività di gestione di tipo “pull” e riducendo al minimo quelle di natura “push”. I processi, questa la sintesi ultima dell’analisi di Gartner, sono di fatto il centro della problematica, sebbene la componente tecnologica pura, vedi tool per la gestione collaborativa della domanda o reti basate su sensori per il monitoraggio delle operation in tempo reale, possono giocare un ruolo determinante per accelerare il passaggio a una supply chain demand-driven.
Un’altra faccia dello stesso fenomeno, infine, è quella descritta dal paradigma “plan while executing”. L’interpretazione che ne dà Gartner parte dalla convinzione che entro il 2008 inizieranno ad affermarsi nuovi processi orientati a una pianificazione concomitante all’esecuzione. Tecnicamente questa sarà un’evoluzione che fa propria la crescita di funzionalità software relative alla valutazione delle performance per il supporto ai processi decisionali real time e sistemi di aggiornamento in tempo reale delle banche dati sulle quali si basano le operation. Realizzare un progetto di Scm avanzato e basato sulla domanda passerebbe quindi proprio dal poter utilizzare strumenti di supporto per ogni decisione all’interno della supply chain, generando flussi di dati maggiormente utili agli attori della filiera e sfruttando per questo architetture applicative orientate ai servizi e tecnologie come l’Rfid.
La centralità dell’Erp e la “lean enterprise supply chain”
Il giro d’orizzonte che abbiamo compiuto con i vendor It inizia con gli interventi dei due colossi del software applicativo, Sap e Oracle, cercando di cogliere con loro gli aspetti legati alla flessibilità operativa e all’integrazione tecnologica.
Giulio Folgarait, SCM Business Consultant in Sap Italia, ha subito inquadrato il tema rimarcando l’importanza “di piattaforme di integrazione [il riferimento è a Netweaver, ndr] per abilitare processi aziendali in una logica verticale, della capacità di allineare in modo del tutto integrato l’Erp a soluzioni di Scm per ottenere risposte più veloci da dare al cliente. In questo senso l’Rfid può essere un driver di riferimento per raggiungere la massima flessibilità nelle fasi di pianificazione ed esecuzione. Superati gli attuali vincoli di natura tecnologica e di costo, sarà uno standard operativo condiviso da tutti gli attori della filiera”. Quali sono quindi le aree di intervento più sensibili per le aziende? “In un momento di pressione sui costi come l’attuale – ha spiegato Folgarait – la ricerca di efficienza è un dovere, soprattutto a livello di linea produttiva. Per investire in un progetto evoluto di supply chain occorre una base dati omogenea ma il fattore critico è la trasmissione dei dati in tempo reale: per questo assistiamo a una domanda tattica di integrazione tecnologica nell’ambito delle soluzioni di supply chain, con l’obiettivo di ridurre i costi e i tempi dei collegamenti batch sull’intranet aziendale. Il ruolo del vendor It è quindi quello di portare in dote alle imprese soluzioni facilmente interoperabili, andando ben oltre il fornire interfacce punto punto”. Ma come si manifesta realmente la volontà di automatizzare i processi sulla filiera? “Spesso – questa l’analisi finale di Folgarait – è la maturità dell’Erp a fare da trampolino di lancio per l’implementazione di applicazioni a valore aggiunto; in altri casi invece la necessità di sviluppare nuovi modelli di relazioni è la chiave per sbloccare la revisione del sistema informativo aziendale e di alcuni processi strategici”.
La fotografia scattata da Livio Signorelli, Industry Solution Manager – Industrial in Oracle Italia, ha subito messo in evidenza quale potrebbe essere per le imprese la strada maestra da seguire: “Il settore manifatturiero è impegnato a diventare più snello non solo nei reparti di fabbricazione, ma in tutti i processi coinvolti lungo l’intera value chain. Un approccio di tipo ‘lean’ offre quindi un insieme di metodologie e di strumenti strutturati che deve portare a risultati in termini di riduzione dei tempi di ciclo, dei costi e delle scorte e di un miglioramento complessivo delle performance a livello di asset aziendali”. Le soluzioni “lean” – a detta di Signorelli – producono maggiori benefici quando le aziende coinvolgono fornitori e clienti nel processo di miglioramento, ponendo le basi per creare la cosiddetta Lean Enterprise Supply Chain. L’estendere il perimetro di applicazione di tali principi dall’area del manufacturing all’intera catena di fornitura offre opportunità più consistenti per gestire al meglio il “valore al cliente”, perché è sulla supply chain che si realizzano quelle componenti di service e customer care che incidono sul valore percepito dal cliente stesso. Applicare in modo adeguato un modello di Lean Enterprise Supply Chain porta con sé vantaggi a livello di processo che si chiamano riduzione dei tempi di consegna e soprattutto maggiore agilità, flessibilità e velocità per rispondere alle esigenze del cliente e reagire alle variazioni del mercato. A medio termine, inoltre, i benefici di un progetto di lean supply chain, saranno ulteriormente arricchiti dall’adozione di tecnologie sensor-based e applicazioni Rfid, in quanto strumenti in grado di generare, se opportunamente abilitati e integrati nel sistema informativo, flussi informativi real time lungo tutta l’infrastruttura di trasporto e movimentazione dei prodotti”.
Innovazione di prodotto e processo. Il fattore integrazione
Anche due player di casa nostra, come lo sono Txt e-solutions e Formula, hanno molto da dire in fatto di soluzioni di supply chain evolute.
Cristina Storer, Marketing & Communication Director di Txt, ha focalizzato per esempio il tema della cultura dell’innovazione rimarcando in particolare un concetto: “Se qualche anno fa il fattore critico era la capacità di produrre, oggi è il saper trovare il cliente, a propria volta sempre più esigente nell’espressione della propria domanda tanto da definire l’attuale natura del mercato consumer driven. È una tendenza in atto che obbliga le aziende a modificare i propri modelli produttivi, distributivi e organizzativi per rispondere alle richieste dei clienti. E si tratta di modelli nei quali, idealmente, il Product Lifecycle Management e la progettazione del prodotto derivano dalle esigenze del cliente e sono legate a filo doppio ai processi di sales & marketing e in generale al tema della gestione della domanda”. Che effetti sta avendo questo cambiamento nelle aziende? “È evidente – a detta di Storer – che una buona integrazione tra gli aspetti di product innovation, gestione della domanda, pianificazione della produzione, sourcing e catena di distribuzione garantisce la possibilità di essere agili nella risposta alle richieste del mercato. Al concetto tradizionale di supply chain si affianca quindi quello di demand driven supply network, ossia una supply chain in cui processi, infrastrutture, flussi informativi si sviluppano per servire la domanda”. Questo il modello ideale ma i livelli di maturità dimostrati sul campo in quest’ottica sono ancora bassi. “Secondo studi aggiornati – ha così concluso Storer – i nuovi modelli demand driven sono implementati da circa il 3% delle aziende, sebbene tale esigenza sia sentita da un’elevata percentuale di aziende anche nel settore manifatturiero, con imprese che stanno cercando di affermare un proprio brand, di arrivare direttamente al consumatore con prodotti e servizi ben caratterizzati”.
Paolo Paganelli, Responsabile Area Scm in Gruppo Formula, ha analizzato la tematica in oggetto con una premessa di fondo: “È opinione condivisa che fino a oggi l’approccio alla supply chain sia stato troppo guidato dalla tecnologia. Serve invece un approccio metodologico organico, attraverso il quale tenere conto di tutti gli elementi che a livello strategico, funzionale e tecnologico determinano il successo del progetto. Un approccio che in concreto si traduce nell’aiutare gli utenti a valutare le opportunità per migliorare le prestazioni della supply chain attraverso strumenti di analisi avanzati come per esempio Scor, lo standard internazionale che definisce lo schema dei processi e oltre 200 metriche per il monitoraggio continuo della catena di fornitura. Con il supporto di tool di Business Process Modelling e di Business Intelligence si possono quindi effettuare rilevazioni dello stato presente dell’organizzazione e analisi su base revisionale dello stato futuro della stessa, alla sua capacità di adattarsi a diverse configurazioni della supply chain in diversi settori industriali, di valutare interventi sia a livello operativo che strategico”. L’It a livello di filiera, nello scenario sopra descritto, ricopre un ruolo assai impattante e le parole di Paganelli lo confermano: “Informatizzare la supply chain significa supportare processi trasversali e inter-aziendali, che non possono essere circoscritti a una singola funzione organizzativa, e tanto meno “impacchettati” in software pronti per l’uso. Da qui la necessità di pensare progetti basati su una piattaforma estremamente flessibile (Formula Dne, ndr), in grado di catturare la complessità delle relazioni nella rete logistica e di adattarsi alla sua continua evoluzione e di descrivere la supply chain come un insieme di unità autonome e interconnesse”. La strada da intraprendere, in definitiva, è quella secondo, Paganelli, di “una struttura virtuale non visibile nei singoli sistemi informativi locali ma in grado di visualizzare dati ed eventi significativi per la supply chain in base a criteri configurabili, di garantire il trasferimento di dati e l’interazione in tempo reale tra aziende e di correlare documenti nei formati utilizzati dai vari partner, dai documenti Xml proprietari o standard ai più tradizionali formati Edi”.
Più o meno sulla stessa lunghezza d’onda si è quindi espresso Luca Cavenaghi, Sales & Marketing Manage di Ibs Italia. “La supply chain può diventare un elemento importante dell’intera catena del valore aziendale perché c’è ancora molto da fare a livello di integrazione con la forza vendita, di ricezione degli ordini e di tracciabilità. L’obiettivo è noto: creare ambienti di scambio di informazioni tra sistemi differenti riducendo costi e complessità e migliorando al tempo stesso il time-to-market. E l’ottimizzazione della Supply Chain può rivelarsi un’arma importante nelle mani del management presupposto il fatto che la creazione di nuovi processi coincida con gli obiettivi aziendali”.
Se è vero che i fenomeni di aggregazione di aziende diverse rendono la catena di fornitura sempre più flessibile, “il problema dell’integrazione dati e la corretta circolazione delle informazioni – a detta di Cavenaghi – deve essere una delle aree di maggiore attenzione per i fornitori di soluzioni Scm: occorre in concreto rendere disponibili prodotti software in grado di permettere a sistemi diversi su piattaforme diverse di integrarsi e scambiarsi dati con estrema semplicità, di gestire un catalogo su Internet, di abilitare per clienti e fornitori l’accesso simultaneo allo stato di avanzamento di un ordine o di un documento di business”.
Scm on demand a misura di Pmi
Ampliare i mercati di competenza, realizzare l’integrazione informativa dei partner della catena di fornitura, accrescere la collaborazione interaziendale: la media impresa italiana ha realmente l’accesso a soluzioni flessibili e on demand per raggiungere questi obiettivi?
Fabio Rossi,
Amministratore Delegato di Joinet, ha in proposito le idee molto chiare: “Il sistema manifatturiero italiano è alla ricerca di una maggiore competitività, di una maggiore efficienza del sistema e casi concreti hanno evidenziato come la possibilità di interagire “on line”, abbattendo le barriere geografiche e dando tempestività e trasparenza alle informazioni, ha garantito benefici importanti nella gestione degli stock e nei lead time di fornitura. Ciò comporta l’integrazione della filiera produttiva in modo che i dati di business, quali ordini, giacenze, fatture e via dicendo, possano essere disponibili e condivise tra i diversi attori”.
Quanto al tanto dibattuto fenomeno dell’internazionalizzazione delle Pmi, Rossi sottolinea come “risulta evidente che poter collaborare attraverso strumenti univoci, con dati certi e condivisi, offre la possibilità di non irrigidire il flusso informativo a causa della distanza logistica e preservare il valore aggiunto della flessibilità. In un contesto come quello sopra descritto, l’offerta di soluzioni di Scm “on demand” ha una sua logica in quanto offre la possibilità di accedere in tempi ristretti a servizi innovativi senza vincoli di investimenti in hardware e software specifici e, soprattutto, di non dover reperire risorse qualificate per la gestione di tecnologie complesse”. L’apertura a imprese di qualsiasi dimensione è quindi un driver strategico per lo sviluppo di supply chain dinamiche e in tal senso, a detta di Rossi, “una parte importante può essere giocata anche dalle istituzioni, sia locali che nazionali, nella promozione e nel finanziamento di interventi e progetti volti a costruire reti di impresa”.
Ibm: il Bto per servire la supply chain end-to-end
Nel 2004 Ibm ha ridotto le proprie giacenze al livello minimo mai registrato negli ultimi 30 anni; una cura dimagrante che ha generato entrate pari a 285 milioni di dollari e, al contempo, incrementi alla voce produttività della forza vendita del 25%. Il tutto, dicono i portavoce di Big Blue, grazie a una mirata strategia di gestione della supply chain: un’esperienza che il colosso americano ha pensato bene di trasformare in una nuova opportunità di business, sottoforma di soluzioni e servizi dedicati in ambito consulenziale, mettendo in gioco per il momento oltre 8.000 esperti, cui se ne aggiungeranno altri 15.00 per supportare la nuova linea d’offerta targata Ibm: quella del business trasformation outsourcing (Bto) in chiave supply chain. Un’ulteriore virata della società in direzione dei servizi, quindi, e nella fattispecie “un pacchetto di competenze” che porterà in dote alle aziende un variegato insieme di metodologie e di tecnologie analitiche volte a ottimizzare le funzionalità dei processi di business end-to-end della supply chain, dalle fasi di approvvigionamento e logistica a quelle più strategiche e progettuali. Sul tavolo di un mercato potenziale (quello del supply chain management) stimato in 23,5 miliardi di dollari, Ibm ha presentato una serie di jolly che hanno un preciso obiettivo comune: abilitare il rinnovamento delle supply chain all’interno di progetti di trasformazione completa dell’azienda rispetto al paradigma ormai più caro a Big Blue, quello dell’on demand business. Assai calzante, per spiegare fino in fondo la nuova focalizzazione di Ibm, sono le parole pronunciate da Bill Ciemny, Vice President for Global Supply Chain BTO Solutions di Big Blue: “Ogni anno si spendono globalmente circa tre mila miliardi di dollari per attività inerenti la gestione della supply chain e la maggior parte dei Ceo riconosce come il poter abilitare soluzioni on demand in questo ambito sia la vera chiave per poter ottimizzare le performance di business. Per massimizzare il valore della supply chain – ha quindi aggiunto Ciemny – le aziende stanno considerando nuove forme di partnership per cogliere appieno i vantaggi derivanti da competenze emergenti in questo campo, da strumenti tecnologici e da servizi in outsourcing orientati a creare nuova efficienza attraverso i processi”. In altri termini, Ibm si presenta al mondo enterprise con una soluzione che promette di facilitare la creazione di supply chain integrate in real time con l’intero sistema nervoso aziendale sfruttando due fattori convergenti: il fatto che la supply chain non è fra le riconosciute core-competency e la necessità di mettere sul piatto dell’offerta un mix completo di competenze di consulenza, tecnologia e servizio per soddisfare i requisiti di interventi sicuramente complessi. I servizi deputati a far evolvere i processi aziendali forniti in outsourcing si indirizzano in modo particolare a tre aree chiave della supply chain: Logistics, Direct Material Sourcing e Supply Chain Optimization. Per quanto riguarda la logistica, Ibm renderà disponibili funzionalità e soluzioni di Network Design and Optimization, Procurement; Operations Management e Global Trade Management mentre sul fronte delle attività di acquisto di beni diretti l’intervento sarà focalizzato sui processi in essere e sulla revisione dei sistemi di supplier management. Quanto agli strumenti per l’ottimizzazione della supply chain, la ricetta di Big Blue prende in considerazione aspetti chiave in seno alle operations quali il planning e il fulfillment per concretizzare l’obiettivo di real-time collaboration globale capace di rispondere al meglio alle fluttuazioni della domanda. (G.R.)