Supply Chain: il futuro in un’economia globalizzata

Una recente indagine condotta in Europa da Idc Manufacturing Insights fornisce un quadro di quelle che saranno le principali iniziative di business per le imprese. Dai risultati emerge un impegno sempre maggiore da parte delle aziende italiane verso la cosiddetta "supply chain efficiency/improvement" attraverso una fase di profonda trasformazione delle pratiche di supply chain management, che si attuano anche  con investimenti in soluzioni informatiche. Ce ne parla Pierfrancesco Manenti (nella foto), Emea research director Idc Manufacturing Insights.

Pubblicato il 16 Gen 2008

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Dopo alcuni anni di stagnazione dell’economia italiana, il 2007 si è aperto con segnali di ripresa confortanti. Al fine di cogliere le opportunità che questa ripresa offre, molte aziende italiane si sono date come obiettivo quello di coprire il gap competitivo che esiste con le più efficienti aziende internazionali.
Nel contesto di un’economia globalizzata, in cui si trovano a operare l’Italia e le sue imprese, questo cambio organizzativo non è più rimandabile. “Il mondo sta cambiando rapidamente di nuovo – dice Pierfrancesco Manenti, Emea research director Idc Manufacturing Insights. – E dico “di nuovo” in quanto sono proprio le aziende che vogliono cambiare i sistemi informativi per adeguarsi alla domanda. È necessario cambiare continuamente, per poter essere adattabili alle esigenze del mercato”.
I risultati dei recenti survey condotti in Europa da Idc Manufacturing Insights forniscono un’indicazione precisa su quali siano le principali iniziative di business per le imprese italiane: la più importante delle quali è il raggiungimento della “Supply chain efficiency/improvement”.

Supply chain management in Italia
Negli ultimi anni, la competizione globale e la pressione sui prezzi, hanno spinto un numero sempre maggiore di aziende a considerare le opportunità di riduzione dei costi di produzione offerte dai paesi a basso costo di manodopera. Tuttavia, la pratica di un eccessivo outsourcing ha molto spesso portato all’aumento del lead-time di fornitura, a una maggiore rigidità della supply chain, a un aumento dei rischi di fornitura a causa delle sempre più frequenti interruzioni della supply chain, e a problemi di qualità. Questi fattori mal rispondono alla necessità delle aziende di essere più agili nell’adattarsi velocemente a una domanda di mercato sempre più volatile. Allo stesso tempo, la stagnazione dell’economia italiana, accompagnata da un’attitudine tradizionale delle nostre imprese a frenare gli investimenti, ha visto un numero limitato di aziende italiane rischiare i propri capitali, investendo in innovazione di prodotto. Infine, l’aumento del costo del petrolio e dei trasporti, e quello inevitabile legato al costo della manodopera nei paesi emergenti, aprono nuovi scenari nelle pratiche di supply chain management e spingono le aziende più innovative a ripensare alle proprie strategie di supply chain e ai sistemi informativi a supporto.
“Abbiamo riscontrato, soprattutto nel corso dell’ultimo anno – spiega Manenti – che l’aumento del costo del petrolio è alla base dell’aumento del costo della logistica. Si verificano inoltre continue interruzioni della supply chain. Un esempio che vale per tutti, è l’uragano Katrina”. Come ricordiamo, si è trattato di un potente uragano che ha di fatto interrotto la produzione, l’importazione e la raffinazione del petrolio nella zona del Golfo del Messico. I rischi maggiori, che causano un’interruzione della supply chain, sono proprio quelli meno probabili e prevedibili e cioè quelli inerenti un disastro naturale. Non solo però un uragano, ma anche uno tsunami, un terremoto, oppure un attacco terroristico. Anche eventi meno sensazionali come scioperi, blackout, pandemie, fallimenti devono essere tenuti in considerazione. Anche in Italia. E, in uno scenario di mercato sempre più complesso, non basta prendere provvedimenti nella singola azienda, bisogna agire in tutta la supply chain.
“Il Supply Chain Risk Management – continua Manenti – diventa quindi di estrema importanza. In questo scenario, si continua a parlare di cambiamenti climatici, in un’ottica di “enviromental health & safety”. Nel contempo, il costo del lavoro aumenta anche nella stessa Cina, mentre esiste un’enorme domanda globale e la necessità di localizzare la produzione. E quando dico cambiamento, mi riferisco anche al Demand Driven, termine tecnico molto utilizzato in questi ultimi anni: la sfida consisteva nel gestire in modo sempre più efficace i processi produttivi per rispondere sempre più rapidamente alle esigenze dinamiche della domanda. Oggi parliamo invece di un’azienda agile”.
Occorre trasformare in realtà il sogno di avere un’azienda agile. Non si tratta solo di installare del software e insegnare alle persone come avviare il sistema; la parte più complessa è un’altra e consiste nell’imparare nuovi modi di lavorare.
“A oggi le aziende europee si dimostrano sempre più interessate a dare priorità all’efficienza della supply chain – con la conseguente riduzione dei costi – e solo dopo pensano all’innovazione. Esistono però delle linee guida da seguire. Da un lato occorre puntare all’efficienza ma anche al miglioramento della supply chain, bisogna promuovere l’innovazione di prodotto ma anche lo sviluppo, in un’ottica di “regulatotory compliance”. E qui mi piace sottolineare il termine “responsiveness”, che non significa, come si potrebbe pensare “responsabilità”, ma “velocità della risposta”. In questo caso, velocità della risposta di un’organizzazione It e conseguente miglioramento dell’efficienza”. Supply chain responsiveness può significare quindi incrementare l’efficacia delle vendite, ridurre il tempo che intercorre tra l’ordine e la spedizione e ridurre i costi di manifatturazione.
“Dall’altro abbiamo delle sfide chiave che non possiamo sottovalutare – afferma Manenti. – Occorre allungare le supply chain, essere visibili all’interno di complessi supplier network, collaborare con i trading partner. Non solo, occorre abilità nel creare una continua innovazione di prodotto, riducendo il time-to-market e puntando ad alti livelli di design collaboration con i fornitori”. Diventa quindi di estrema importanza operare in un’ottica di Supply Chain Collaboration, in cui il rapido cambiamento del mercato si trasforma in opportunità di business. E in questo processo le aziende vanno aiutate. Nel manufacturing, in particolare, un sistema di produzione efficiente deve essere in grado di aiutare a superare problemi come, per esempio, informazioni insufficienti, mancanza di tracciabilità, piani di produzione non chiari e pianificazione inconsistente con la domanda, e supportare approcci differenti.
“Nel contempo, emergono in continuazione nuove normative e la prima sfida è comprenderle”. La dimensione globale dell’economia ha portato negli ultimi anni a far si che le normative nazionali e internazionali siano sempre più stringenti in termini di trasparenza e di rigore. Normative come il Sarbanes Oxley Act (nota come Sox) sui controlli interni che la Sec (U.S Security exchange commision) applica per tutte le società quotate, americane e non, hanno cominciato dunque ad avere impatto anche sulle attività di molte aziende italiane. La Sox prevede che siano descritti e documentati tutti i processi che portano alla produzione del bilancio e la garanzia che le regole e i controlli posti a presidio della correttezza dei processi siano operativi e documentati. La sezione 404 della norma (Sox 404 Compliance) ha in particolare un impatto considerevole sulla documentazione e sulle procedure di controllo presenti nell’ambito delle soluzioni informatiche impiegate.
L’European Union Emissions Trading Scheme (EU ETS) è stato invece introdotto in tutta Europa per controllare e ridurre le emissioni di biossido di carbonio e altri gas serra, al fine di combattere la minaccia del cambiamento climatico. Non meno importante il Reach, entrato in vigore dal 1° giugno 2007, regolamento del Parlamento Europeo e del Consiglio che, attraverso un unico testo normativo, sostituisce buona parte della legislazione comunitaria in materia di sostanze chimiche e introduce un sistema integrato per la loro registrazione, valutazione, autorizzazione e restrizione. Reach è l’acronimo di Registration, Evaluation, Authorisation of Chemicals. Occorre menzionare anche la Direttiva RoHS (Restriction of Hazardous Substances Directive), che impone restrizioni sull’uso di determinate sostanze pericolose nella costruzione di vari tipi di apparecchiature elettriche ed elettroniche. Tale direttiva è stata adottata nel febbraio del 2003 dalla Comunità Europea. Accanto troviamo anche la direttiva 2002/96/CE, anche nota come Weee, volta a prevenire e limitare il flusso di rifiuti di apparecchiature destinati alle discariche, attraverso politiche di riuso e riciclaggio degli apparecchi e dei loro componenti.
Non bisogna dimenticare poi le normative antinquinamento cosiddette Euro 4/5, per quanto riguarda le case di produzione automobilistiche.

Tutte queste normative impattano sulla supply chain e impongono alle aziende l’adozione di nuovi processi non solo finalizzati al rispetto delle leggi ma anche all’aumento dell’efficienza e della sicurezza della catena logistica (attraverso, per esempio, il tracciamento dei prodotti).

Le opportunità per i fornitori
I risultati dei recenti survey condotti in Europa da Idc Manufacturing Insights forniscono un’indicazione precisa su quali siano gli investimenti nel breve termine in soluzioni It a supporto del Supply chain management – quello che una volta si chiamava vendita, magazzinaggio e trasporto: in Italia, anche a causa di un certo gap nell’adozione di determinate tecnologie, gli investimenti risultano superiori alla media europea in molte soluzioni chiave tra le quali spiccano: Supply Chain Planning (con 44,16% contro la media del 29,63% in Europa occidentale); Advanced Inventory Management (con 43,56% contro il 33,36%); Manufacturing execution systems (con 44,85% contro il 38,13%); Business performance management and analytics (con 41,28% contro il 37,32%).
Risulta pertanto chiaro come oggi le aziende manifatturiere italiane, al fine di rimanere competitive nel contesto internazionale, stiano attraversando una fase di profonda trasformazione delle pratiche di Supply chain management, che si attuano attraverso investimenti in soluzioni informatiche.
Concludendo, è possibile stilare quasi una sorta di decalogo, per quanto riguarda l’approccio alla Next generation supply chain: sopravvivere in un mondo globalizzato, bilanciando catene di fornitura sempre più lunghe con l’agilità richiesta dai mercati; garantire il miglior livello di servizio al cliente, gestendo il rischio nella supply chain e ottimizzando i livelli di scorta; scegliere la strategia di outsourcing: off-shoring o near-shoring? Capire qual è la migliore strategia per il lancio di prodotti nuovi e migliorare la visibilità della domanda di mercato e identificare i picchi; trasformare la compliance in un’opportunità per migliorare la qualità di prodotto e l’attenzione all’ambiente; collaborare efficacemente con i trading partners; fidelizzare il cliente facendo leva sulla supply chain dei servizi post-vendita e dei ricambi; ridurre l’impatto dell’aumento del prezzo del petrolio sui costi di trasporto.


L’E-PROCUREMENT NELLA PA: CRESCE, MA CONTA ANCORA POCO
L’ eProcurement si sta diffondendo nella Pubblica Amministrazione italiana: nel 2006 si è infatti registrato un incremento significativo (+389% sul 2005) del transato. È quanto emerge dalla ricerca 2007 dell’Osservatorio sull’eProcurement nella Pubblica Amministrazione della School of Management del Politecnico di Milano, che ha analizzato oltre 140 tra Enti pubblici e fornitori della Pubblica Amministrazione italiana e circa 20 provider (pubblici e privati) di soluzioni di eProcurement rivolte alla PA. La tendenza, dunque, è positiva ma il dato, in termini assoluti, è ancora poco significativo: il miliardo e 232 milioni di euro della spesa telematica rappresenta infatti solo l’1% della spesa complessiva della PA. Il 90% degli strumenti telematici di acquisto è costituito da Gare e Aste online, protagoniste di un incremento del 486% rispetto al 2005: questa crescita è attribuibile principalmente al ruolo che ha svolto Consip (società per azioni del Ministero dell’Economia e delle Finanze, che lavora al servizio esclusivo delle Pubbliche Amministrazioni) attraverso la sua piattaforma per gare online. Il 10% delle transazioni avviene invece attraverso negozi online legati a convenzioni, il cui volume è destinato a crescere, mercati elettronici e cataloghi di vendita. L’80% di questi volumi è legato al MEPA (Mercato elettronico della Pubblica Amministrazione), uno strumento B2G gestito da Consip che si inserisce nel più ampio programma di razionalizzazione della spesa pubblica avviato dal Ministero dell’Economia e delle Finanze nel 2000, a seguito dell’introduzione di un nuovo modello per l’ottimizzazione degli approvvigionamenti pubblici. Il programma ha l’obiettivo di garantire alle PA acquisti di beni e servizi di qualità, semplificando e standardizzando le procedure, riducendo i costi unitari e garantendo la massima trasparenza e la concorrenzialità delle iniziative. L’Osservatorio (focalizzandosi sulle variabili tempo e livello di “maturità qualitativa dell’Ente” nell’utilizzo di tali strumenti) ha individuato 5 archetipi comportamentali delle PA, distinguendo tra Infanti, Adolescenti, Adulti, Peter Pan e Gamberi. I primi tre termini indicano l’evoluzione degli Enti che, dopo essersi avvicinati agli strumenti dell’eProcurement, hanno intrapreso un processo di sperimentazione più serio fino ad elaborare un portale acquisti evoluto; gli ultimi due descrivono l’involuzione di coloro che, pur dichiarando la propria adesione verso i nuovi strumenti, rimangono sempre nella fase di “sperimentazione” e quelli che, dopo una fase iniziale di sperimentazione, invece di evolvere allo stadio successivo ritornano indietro, adducendo nella maggior parte dei casi motivazioni poco chiare, frutto spesso di un processo di sperimentazione non gestito efficacemente. Paolo Catti, responsabile della Ricerca dell’Osservatorio afferma che solo alcune Pubbliche Amministrazioni si trovano nello stadio più evoluto: sono perlopiù Comuni che hanno da sempre creduto nello sviluppo dei propri progetti di eProcurement e Regioni che hanno avviato seriamente una Centrale di Committenza, iniziando ad ottenere risultati interessanti. (F.M.)

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