La pandemia di Covid-19 può senz’altro annoverarsi tra i grandi fenomeni “disruptive” che hanno connotato la nostra storia umana. Terremoti, epidemie, uragani hanno infatti spesso avuto un carattere locale, con effetti che hanno certo generato contraccolpi sul piano sociale, dei costi e della riarticolazione delle filiere produttive, ma se parliamo di pandemia, come dice lo stesso termine, ci riferiamo ad un fenomeno che ha coinvolto tutto il mondo. Tralasciando la lunga e difficile riconversione economica, sanitaria e sociale che ci attende, e focalizzandoci solo sul tema, interessantissimo, degli impatti sulle attuali e future supply chain, il Covid-19 sta dando una svolta decisiva. Con il 2021 si registra un’accelerazione verso un radicale ripensamento sul piano della flessibilità, agilità, resilienza, digitalizzazione che il supply chain management dovrà garantire per operare in tempi di future criticità e crisi che ci accompagneranno inevitabilmente nella nostra evoluzione.
Capgemini ha realizzato un’approfondita analisi dal titolo Fast forward – Rethinking supply chain resilience for a post-COVID-19 world coinvolgendo, nel periodo agosto-settembre 2020, circa 1000 organizzazioni in differenti settori commerciali, dal consumer product al retail, dalla produzione discreta al life science, unitamente ad una serie di incontri di dettaglio con senior supply chain executive.
Ne è emerso un quadro in cui la tempesta Covid ha evidenziato le complessità, le farraginosità e le fragilità delle supply chain globali, con la necessità di identificare gli elementi forti, sottolineati nello studio, di ripensamento strategico. Uno “stress test” durissimo, fatto di volatilità nei consumi, picchi di domanda accanto a totale mancanza di richieste di mercato; ripensamenti repentini dei criteri organizzativi e nei modelli di business delle imprese; interruzioni impreviste nei livelli di produzione; carenze inaspettate di forniture di materie prime; rapidissimi ridisegni di processo, per questioni di sopravvivenza, nella logistica e quant’altro.
Le aziende hanno registrato numerose difficoltà in questi mesi di pandemia (figura 1), con impatti evidenti in molte loro operation: dalla carenza di approvvigionamento di parti critiche di materiali (74%), ai ritardi nelle spedizioni e/o nei tempi di consegna prolungati e imprevisti (74%), alla difficoltà di rimodulare la capacità produttiva in rapporto alla domanda (69%), all’impossibilità di prevedere le future fluttuazioni del mercato (68%). Tutto ciò ha causato alle imprese notevoli difficoltà nel riuscire a riattivare le operation delle proprie supply chain, con il 68% delle aziende che ha impiegato oltre 3 mesi per ripartire in modo efficace; di queste, il 55% ha impiegato dai 3 ai 6 mesi e il 13% è stato fortemente impattato, con un periodo di recovery delle supply chain tra i 6 e i 12 mesi (figura 2).
I milestone del cambiamento
Se nella stragrande maggioranza delle aziende intervistate (il 66%, figura 3), è risultata evidente la necessità di ripensare le proprie supply chain per reggere meglio all’attuale e alle possibili future disruption (nonché a operare in una “nuova normalità” competitiva in cui i parametri di mercato saranno molto differenti dagli attuali), la vera sfida è capire cosa, come e quanto costerà cambiare.
Lo studio rileva che la necessità di migliorare la resilienza delle supply chain (flessibilità e capacità di adattarsi dinamicamente alle variabili impreviste di mercato) sta spingendo un numero sempre più consistente di aziende a ridurre i propri processi di produzione just-in-time (produzione correlata strettamente a ciò che è stato già venduto oppure che si prevede di vendere in tempi brevi).
Si prevede infatti che la percentuale di aziende focalizzate sul just-in-time scenderà dal 39% al 29% nei prossimi tre anni. Interessante la dichiarazione di Beata Javorcik, chief economist, European Bank for Reconstruction and Development: “Le attuali catene del valore globali sono state pensate secondo criteri prioritari di efficienza e profitto e il just-in-time è stato applicato come via ottimale per questo modello e anche per la produzione di molti prodotti complessi. Il Covid-19 ha però fatto emergere clamorosamente gli svantaggi associati al just-in-time, dove tutte le componenti del sistema, perché questo funzioni, devono incastrarsi e muoversi perfettamente come gli ingranaggi di un orologio, e con la pandemia si è visto che questo non è stato sempre possibile”. È fondamentale ora riuscire a mappare questa volatilità diffusa sui rischi correlati alle supply chain (figura 4)
Come preparare le supply chain alle possibili future crisi?
È stata misurata “sulla pelle delle aziende” (e degli utenti) l’evidente rigidità nella riconfigurazione delle supply chain a fronte degli eventi scatenati dal Covid-19. Il 57% delle aziende intervistate ha dichiarato di prevedere un incremento degli investimenti nella resilienza della propria supply chain e il 62% la considera una priorità chiave (figura 5).
Ma cosa significa, in concreto, resilienza della supply chain? Significa investire, dal punto di vista organizzativo e tecnologico, per migliorare l’agilità complessiva della supply chain, cioè la sua capacità, come rete globale, di rispondere con la massiva velocità ai cambiamenti di ambiente imprevisti, scalare in alto e in basso la propria capacità produttiva, riconfigurare in tempi brevi impianti e reti di logistica, aprire nuovi canali di generazione della domanda e quant’altro. Capgemini ha individuato almeno sette punti di riferimento che rappresentano altrettante capacità, per le supply chain aziendali, di reggere le possibili disruption.
Riuscire a sviluppare e a garantire tutti questi elementi è un risultato di estrema prontezza a questo nuovo modello di flessibilità. Tuttavia va detto che ad oggi soltanto meno del 4% delle organizzazioni censite nello studio è in grado di garantire efficacia in tutte le aree di resilienza alle potenziali crisi (figura 6) evidenziando, di conseguenza, una preoccupante vulnerabilità su molti punti strategici. Guardiamoli velocemente.
1 – Contingency planning
Effettuare simulazioni e test su scenari di potenziali crisi sono considerati imprescindibili. È una alta priorità per l’84% delle imprese dopo aver vissuto l’esperienza Covid-19, contro il 62% pre-pandemia. Essenziale è la capacità di sviluppare una mappa digitale del network di supply chain usando digital twins in combinazione con tecnologie evolute di analisi dei dati, comparazione e simulazione per capire e gestire al meglio i rischi potenziali.
Attualmente lo studio ha rilevato però che solo il 16% delle imprese utilizza queste tecnologie realizzando un approccio continuativo di simulazione ed analisi, mentre un altro 26% lo applica in modo saltuario e su base ad hoc, quando probabilmente i problemi sono già in essere (figura 7)
2 – Localizzazione e regionalizzazione stanno aumentando
Spinti dalle esperienze negative di approvvigionamento sperimentate durante la pandemia, circa il 65% delle aziende sta ora investendo in localizzazioni e regionalizzazioni delle produzioni per ridurre i rischi e rispondere con maggiore velocità alla domanda dei propri clienti (figura 8). Più alta la tendenza nel settore consumer (72% delle aziende), meno accentuata ma comunque significativa nel settore retail (58%).
In media, lo studio rileva che nei prossimi tre anni le imprese analizzate avranno circa il 43% dei loro fornitori su base locale, contro il 36% attuale. Anche gli impianti produttivi si stima saranno per circa il 50% presenti localmente, rispetto al 43% attuale. Una tendenza confermata anche dalle preferenze di acquisto locale da parte dei consumatori, che Capgemini ha sondato in una precedente ricerca (figura 9).
3 – Diversificare lo spettro dei fornitori e la base produttiva
La crisi ha evidenziato i rischi connessi a supply chain pensate esclusivamente secondo parametri di contenimento di costo. L’impostazione esclusiva sul controllo dei costi ha spesso comportato che le aziende scegliessero unici fornitori su specifiche aree geografiche, esponendo inevitabilmente a vulnerabilità l’azienda. L’esperienza della pandemia, dice lo studio, spinge ora le aziende a ripartire i rischi (figura 10) diversificando la base dei fornitori (dichiarato dal 68% del campione) e dei sistemi produttivi (62%)
4 – Necessario investire in iniziative di supply chain sostenibili
Molto sentito anche il tema della sostenibilità come elemento di allineamento con le sensibilità dei clienti. Una recente indagine sempre di Capgemini (Consumer Products and Retail: How sustainability is fundamentally changing consumer preferences – Luglio 2020) rilevava come ben il 79% dei consumatori stesse decidendo di cambiare le proprie preferenze di acquisto sulla base di criteri di sostenibilità. E quindi anche una supply chain eticamente sostenibile rappresenta un valore da proporre al mercato. Ben il 77% delle imprese aveva dichiarato di incrementare i propri investimenti in sostenibilità della supply chain nei prossimi tre anni. Logistica e produzione sono tra le aree maggiormente sensibili (figura 11)
5 – Agilità, la chiave per migliorare le supply chain
Dei concetti di resilienza e di agilità ne abbiamo già accennato sopra. Il punto resta centrale nella trasformazione delle supply chain rispetto alle attuali e future volatilità. Tre aziende su quattro analizzate nello studio affermano che la loro priorità è quella di riconfigurare le linee di produzione in modalità flessibile anche post Covid-19, consentendo loro (83% del campione) di passare rapidamente da make or buy attraverso sub-contratti (figura 12). Resta tuttavia ancora un obiettivo, considerando che soltanto il 27% (figura 13) ha dichiarato di avere una flessibilità di riconfigurazione sufficiente a sostenere nuovi business model nel giro di qualche settimana.
6 – Ottimizzare i costi in modo end to end
Le materie prime, così come i costi di trasporto, sono certo i componenti più visibili e più facilmente individuabili nell’ottimizzazione di costo di una supply chain (figura 14). Una visibilità end to end dei costi è invece l’unica strada per costruire una supply chain resiliente, in grado di consentire alle aziende un’accurata stima degli impatti delle strategie attuate sull’intero network e dei rischi e costi associati. Anche qui, però, la strada è ancora lunga: circa il 44% non ha ancora una mappatura completa della propria rete di supply chain mentre il 26% ha mappato solo il Tier 1 (i fornitori principali) della propria rete; il resto della struttura (fornitori Tier 2 e 3) non sono mappati, esponendo a criticità elevate le aziende in termini di dipendenza ed esposizione a rischi (figura 15).
7 – Tecnologie: la crisi ha fatto emergere l’importanza di una visibilità sull’intera supply chain
La digitalizzazione delle supply chain è un processo in corso da molti anni. Ma la disruption provocata dal Covid-19, con la ricerca di efficienza e flessibilità delle supply chain ha spinto le aziende verso la necessità di maggiore chiarezza e governance attraverso nuove funzioni di collaborazione, condivisione dei dati, pianificazione. In media circa il 60% delle aziende ha dichiarato che incrementerà il data sharing all’interno del proprio ecosistema di fornitori, subcontractor, distributori e negozi (figura 16).
Il 47% delle aziende sta accelerando i propri investimenti in automazione e in sistemi di robotica (39%), mentre aumenta la focalizzazione su IoT e Intelligenza Artificiale. Restano tuttavia ancora rallentati gli investimenti per tecnologie più specifiche per le supply chain quali, ad esempio, le “control tower”, che aumentano la visibilità sul network, e i digital twin, orientati alla resilienza e al supporto dei contingency plan (figure 17 e 18)