All’interno della rivoluzione che sta portando verso l’uso di piattaforme cloud, quello dei database è uno dei temi più sensibili, che le aziende affrontano ancora oggi con prudenza. Anche se la digital transformation è ormai percepita come un’opportunità con cui non si può mancare l’appuntamento, quando si guarda al “cuore pulsante” dei sistemi emerge ancora una certa timidezza. Secondo Luca Caimi, Principal Sales Consultant di Oracle, però, le cose stanno cambiando.
Database in cloud, un passaggio progressivo
Se i database sono gli ultimi elementi ad affrontare il passaggio verso il cloud, non è un caso. I motivi sono molteplici, ma il più rilevante è quello riguardante l’integrità dei dati e l’accesso ai dati. In qualsiasi ecosistema digitale, infatti, i dati rappresentano il vero “carburante” del sistema. Chi è abituato ad avere la disponibilità dei dati “in casa”, vede spesso con sospetto l’idea di spostarli all’esterno. Ora, però, i vantaggi della gestione cloud hanno un peso sufficiente per superare qualsiasi ritrosia. “Nello sviluppo delle soluzioni di cloud di seconda generazione Oracle, abbiamo puntato proprio sulla massimizzazione dei vantaggi offerti da sistemi gestiti” spiega Luca Caimi. “Per esempio attraverso l’offerta di servizi in cui il database diventa completamente autonomo”. Si tratta di una formula che, nella prospettiva di un’azienda, consente di risolvere una serie di problematiche decisamente spinose: dall’aggiornamento a livello di patch di sicurezza, alla scalabilità del sistema, che non è più limitato dalla disponibilità di risorse hardware. L’idea, in pratica, è quella di avere un database erogato come servizio, per il quale l’attività di manutenzione e gestione è ridotta al minimo.
Il tema della migrazione
I vantaggi di un passaggio del database alla piattaforma cloud vengono oggi percepiti con la massima chiarezza soprattutto per l’impatto a livello economico, che permette di pagare soltanto i servizi effettivamente erogati ottimizzando quindi le spese. Uno dei temi che rimangono in campo è però quello della migrazione dei database verso la piattaforma cloud. “Per garantire l’omogeneità di comportamento è necessario ricreare esattamente ciò che gli utenti hanno a livello on premise” spiega Luca Caimi. “Quello che facciamo con Oracle Cloud Infrastructure è offrire lo stesso ambiente a livello software e, se richiesto, anche a livello hardware”. Un’opzione che permette di avere la certezza di mantenere tutte le funzionalità a livello di gestione del database e che, grazie alle caratteristiche del cloud, consente di eseguire il passaggio anche in maniera graduale, mantenendo attivi i servizi anche nel corso della migrazione.
Evoluzioni parallele
La possibilità di gestire un database come un servizio è resa possibile da due fattori abilitanti: il primo riguarda l’evoluzione delle tecnologie cloud, il secondo invece gli stessi strumenti per la gestione degli archivi dati, che oggi garantiscono un livello di efficacia e stabilità decisamente superiore a quello di un tempo. “Anche limitando il campo di analisi agli aggiornamenti, le patch applicate ai database sono da tempo strutturate in modo da garantire la continuità a livello dei piani di esecuzioni. La loro applicazione automatica non pone quindi alcun problema sotto questo profilo” precisa Caimi. In altre parole: le preoccupazioni che un aggiornamento di sicurezza possa avere un impatto sulle prestazioni, e la conseguente necessità di eseguire test prima di applicare la patch, sono superati.
Come si è modificato l’approccio al database in cloud
Per quanto possa essere considerata una tecnologia “giovane”, il cloud ha già attraversato diverse fasi, soprattutto per quanto riguarda la percezione che ne hanno gli utenti. In un primo momento, infatti, il passaggio alla piattaforma cloud era giustificato principalmente dall’idea di esternalizzare il supporto hardware, in modo da non doversi più preoccupare della gestione del parco macchine. Il fenomeno, però, ha interessato prima di tutto i servizi. Quando si parla di gestione dei dati, l’idea di spostarli in un datacenter esterno ha sempre suscitato perplessità. Anche a causa di fattori tecnici (come l’aumento dei tempi di latenza nelle comunicazioni tra database e applicazioni) che interessavano il cloud di prima generazione. Con il tempo, però, la percezione è cambiata.
Da quando le aziende hanno sperimentato la flessibilità delle soluzioni cloud, la loro attenzione si è concentrata più sulle modalità di gestione e il tema dell’hardware è diventato quasi secondario. “Nella nostra esperienza, assistiamo oggi alla richiesta di formule ibride in cui le aziende chiedono di avere le macchine all’interno dell’azienda, magari per garantire il funzionamento nel caso in cui ci siano problemi di latenza, ma attraverso una formula per cui sono gestite interamente da Oracle e sono accessibili per gli amministratori IT dell’azienda attraverso il portale cloud” conferma Caimi. Insomma: una volta apprezzati i vantaggi a livello di flessibilità di una gestione tramite piattaforma cloud dei servizi, l’idea di adottare la stessa formula anche per i database sta portando moltissime aziende a evolversi in questa direzione. Anche ribaltando il normale paradigma dell’esternalizzazione.