Le tradizionali supply chain hanno subìto una profonda trasformazione, grazie alla crescente deverticalizzazione dei processi; alla contestuale riduzione del numero dei fornitori e dell’entità delle scorte ed al crescente ricorso a relazioni di partnership tra i diversi attori della filiera. Queste trasformazioni, se da un lato hanno molto migliorato l’efficienza delle supply chain, dall’altro hanno fatto emergere la rilevanza del “rischio di fornitura”. L’articolo, oltre a definire questo concetto, descrive le caratteristiche principali di un nuovo metodo sviluppato dal Laboratorio RISE (Research and Innovation for Smart Enterprises) dell’Università degli Studi di Brescia per ridurre questo rischio, presentando i risultati della sua applicazione presso cinque medie aziende manifatturiere Italiane.
Cos’è il rischio di fornitura…
Qualsiasi rischio aziendale è definibile attraverso la combinazione di due dimensioni: la sua probabilità di accadimento, e la magnitudo del danno economico che comporterebbe. Questo incrocio genera una matrice, come quella mostrata in figura 1, nella quale possono essere definite le diverse classi omogenee di rischio, attraverso le quali si può procedere all’individuazione delle linee d’azione prioritarie.
Il rischio di fornitura è costituito dall’interruzione non intenzionale, imprevista e repentina della fornitura di uno specifico bene, che può dipendere da fattori esogeni ed endogeni, come illustrato in figura 2.
La misura di tale rischio, pertanto, richiede da un lato di quantificare la probabilità attesa di interruzione delle forniture, come combinato disposto di tutte le potenziali concause, e dall’altro di quantificare l’entità del danno economico che l’azienda potrebbe subire.
Molti eventi eclatanti riportati nella letteratura divulgativa (tabella 1) mostrano la rilevanza del rischio di fornitura, ma non tutte le cause di interruzione della supply chain continuity hanno la stessa rilevanza, come mostrato da una survey condotta recentemente su un campione di 46 supply chain manager di grandi aziende americane (figura 3).
… e come misurarlo
Tra le molteplici dimensioni che si potevano scegliere per iniziare a quantificare la probabilità di interruzione delle forniture, si è scelta quella finanziaria (rischio di default), che misura la probabilità del fallimento di un fornitore: il default è infatti una tra le più rilevanti cause di rischio (figura 3); inoltre, la sua probabilità è misurabile attraverso metodi consolidati, che prendono il nome di credit scoring.
Il credit score viene calcolato sfruttando un consolidato algoritmo proprietario (di K Finance, società di consulenza che si occupa di pianificazione strategica, riassetto organizzativo e societario, controllo di gestione, analisi finanziaria ecc.) a partire dai dati finanziari di bilancio, che tutte le società di capitale sono tenute a depositare e che pertanto sono comunemente acquistabili.
La magnitudo del danno derivante dal default corrisponde al costo operativo atteso conseguente all’interruzione delle forniture. Tale costo viene calcolato per ciascuna coppia “fornitore – articolo” come somma delle seguenti voci:
–aumento dei costi operativi, ad esempio dei costo di acquisto, della non qualità o del capitale circolante;
–investimenti una tantum, necessari ad esempio per la ricerca e attivazione di un nuovo fornitore, per il trasferimento o la duplicazione di utensili o attrezzature dedicati, oppure per l’avvio della produzione a regime;
–possibili costi figurativi connessi alle ricadute negative sulle vendite, quali stock-out, ritardi di consegna o altro, che potrebbero determinare lo storno di ordini o addirittura la perdita di clienti.
Anche per la misurazione del costo atteso di default, viene quindi utilizzato un algoritmo proprietario (messo a punto da RISE) applicato a dati affidabili e facilmente reperibili in azienda.
L’incrocio dei valori associati alle due dimensioni considerate di probabilità e magnitudo restituisce un’istantanea del rischio connesso all’intera rete di fornitura, atta a rendere immediata l’identificazione delle situazioni che richiederanno analisi più approfondite (figura 4)
In particolare vengono identificate quattro classi di rischio di fornitura:
–Candies (area verde): fornitori con bassa probabilità e costi di default limitati. In una configurazione ideale tutti i principali fornitori dovrebbero essere posizionati in quest’area.
–Troubles (area arancione): fornitori con elevata probabilità, ma costo limitato, di default: se un fornitore rilevante si posiziona in quest’area è buona cosa sostituirlo con uno a minore probabilità di default, o quanto meno tenere sotto controllo i costi connessi.
–Russian roulettes (area gialla): sono i fornitori per i quali si è valutata una bassa probabilità di default, ma che potrebbero determinare costi rilevanti: anche questi fornitori vanno tenuti sotto stretta osservazione nell’ottica di limitare il costo atteso in caso di default e per accertarsi che non aumenti il loro livello di rischio finanziario.
–Atomic bombs (area rossa): sono i fornitori connotati da elevata probabilità e anche da un costo di default rilevante. Evidentemente sono quelli verso i quali concentrare la massima parte dell’attenzione; in questo caso l’obiettivo ragionevole dovrebbe essere quello di sostituirli nel più breve tempo possibile.
La sperimentazione su cinque medie aziende italiane
Per validare il nuovo metodo si è seguita la logica dell’action-research (applicazione pratica del nuovo metodo messo a punto e osservazione empirica dei risultati, delle principali difficoltà, ecc.). Si è applicato il nuovo metodo a cinque medie aziende italiane di successo, di diversi settori industriali, qui di seguito denotate con lettere greche. Una caratterizzazione delle aziende considerate viene presentata in tabella 2, mentre la descrizione del loro parco fornitori è presentata nella tabella 3.
La figura 5 mostra il posizionamento complessivo dei fornitori delle aziende analizzate nei quattro quadranti di rischio di fornitura di figura 4.
La classe Candies contiene, come era prevedibile, i due terzi dei fornitori e il 60% degli acquisti, ma c’è comunque quasi un terzo dei fornitori (a cui corrisponde il 40% circa dell’acquistato) che si colloca nella classe ad alto costo di default, sebbene a bassa probabilità. Con riferimento alla classe di rischio Russian Roulettes si noterà che tendono a farvi parte fornitori particolarmente rilevanti dal punto di vista dimensionale, posto che la percentuale dell’acquistato risulta decisamente superiore a quella del numero di fornitori. Pochi (3%) sono i fornitori appartenenti alla classe Troubles (elevato rischio, ma costo limitato), e per di più corrispondenti ad appena l’1% dell’acquistato: essi vengono comunque chiaramente identificati dall’analisi, permettendo all’azienda di adottare le azioni di tutela necessarie. Infine, non sono state rilevate in questi casi aziende appartenenti alla classe Atomic bombs.
In figura 6 viene illustrato il confronto tra le aziende monitorate sulla base della ripartizione del costo atteso di default nelle singole voci di costo costituenti. Le voci di costo maggiormente sostenute sono legate all’aumento dei costi operativi (prezzo di acquisto, scarti e livelli di scorta); anche gli investimenti in attrezzature specifiche (ad es. stampi) rappresentano una quota di costo rilevante. Un importante contributo, poi, è dato anche dalla voce di costo delle mancate vendite (nei casi in cui è stato possibile calcolarla), aspetto che pesa molto nell’analisi del rischio in quanto definisce quantitativamente la perdita di margine di contribuzione. Il costo per la ricerca dei nuovi fornitori si è invece rilevato pressoché ininfluente.
Per ogni azienda, inoltre, il lavoro ha permesso di identificare pochi fornitori specifici su cui focalizzare l’attenzione. In un caso, ad esempio, è stato rilevato un fornitore molto importante, al momento non sostituibile, che, pur essendo finanziariamente solido, genererebbe costi operativi significativi nel caso in cui si dovesse interrompere la fornitura; in questo caso è necessario intraprendere azioni che permettano all’azienda di ridurre tali costi, come la ricerca preventiva di componenti alternativi, agendo sul re-design del prodotto finito. Altri casi hanno mostrato invece fornitori con costi operativi eccessivi rispetto alla loro reale sostituibilità: può capitare infatti che, per ragioni storiche o per rapporti personali, la rete di fornitura sia costituita da fornitori esclusivi anche quando non strettamente necessario: in questi casi un miglioramento possibile può essere l’attivazione, anche parziale, di fornitori alternativi, che al momento possono sembrare non necessari ma che rendono immediatamente la supply chain più solida.
Un metodo ripetibile nel tempo e scalabile
Questo metodo permette di effettuare una prima valutazione della rete di fornitura, fornendo una panoramica complessiva dei rischi comportati dall’attuale configurazione del parco fornitori, connessi sia a fattori esogeni (probabilità di default finanziario, riconducibile al credit scoring dell’azienda) sia endogeni (costo atteso ricollegabile all’interruzione di ogni specifica fornitura) ed identificando facilmente eventuali situazioni critiche che richiedono approfondimenti.
Attraverso i cinque casi di studio sviluppati, l’analisi critica dei risultati raggiunti e il successivo confronto sviluppato con i manager coinvolti, è stato possibile confermare l’efficacia e l’efficienza del nuovo metodo presentato, che è stato quindi migliorato e reso disponibile sul mercato con il nome di SWITCH, a cura della spin-off universitaria IQ Consulting.
La possibilità di effettuare una valutazione di questo tipo attraverso l’ausilio di un algoritmo è, nel contesto attuale, un’innovazione potenzialmente molto utile, perché consente di abbattere i tempi e i costi dell’analisi, rendendo lo studio facilmente ripetibile nel tempo e indirizzando gli sforzi solo dove vi sia un’effettiva necessità.
Il metodo proposto risulta inoltre scalabile rispetto all’aggiunta di ulteriori algoritmi capaci di quantificare la probabilità di accadimento di altri rischi esogeni, ad es. il rischio geo-politico, oppure idro-geologico.