La definizione di ‘open source’ “è il fondamento del moderno ecosistema software”, ricorda la Open Source Initiative (OSI). Questa affermazione sta in effetti trovando sempre maggiori riscontri nel mondo aziendale, dove organizzazioni di ogni tipo utilizzano Linux, oltre a una varietà di altre tecnologie e strumenti software open source, per gestire quotidianamente le proprie attività di business. Basti pensare quanto tale tipologia di software sia oggi presente e rilevante nell’implementazione e amministrazione dei cloud ibridi, delle architetture multicloud, dei sistemi di ‘containerizzazione’ applicativa, o delle moderne architetture a microservizi, che, nel loro insieme, consentono a ciascuna azienda di compiere la propria trasformazione digitale, e di innovare il modello di business.
La crescente diffusione dei programmi e delle iniziative open source nelle organizzazioni è confermata dal “2023 State of OSPOs and OSS Initiatives”, un sondaggio condotto online dalla Linux Foundation, da cui emerge che, nel 2023, la percentuale di aziende con uffici programmi open source (OSPO) o progetti OSS (open-source software) è salita del 32% rispetto al 2022.
In confronto a un valore di 41,5 miliardi di dollari del 2018, stando ai dati di un rapporto della società di ricerca e consulenza Verified Market Reports, il mercato globale del software open source è previsto raggiungere 94,6 miliardi di dollari entro il 2024, registrando un CAGR (tasso annuo di crescita composto) pari al 16,4% nel periodo della previsione (2018-2024).
Anche il comparto globale dei servizi open source è in espansione: dai 25,03 miliardi di dollari del 2022, secondo le stime della società di ricerche e consulenza Grand View Research, toccherà 83,87 miliardi di dollari entro il 2030, crescendo con un CAGR del 16,9% (2023-2030). E ciò principalmente grazie all’incremento della trasformazione digitale in molti settori, e all’adozione delle tecnologie digitali per l’ottimizzazione delle operation, la riduzione dei costi e il miglioramento dell’esperienza d’uso del software.
La fine del ciclo di vita per CentOS 7 e RHEL 7
Specie quando si gestiscono applicazioni aziendali, tra i requisiti chiave da valutare nella selezione di un sistema operativo vi sono la roadmap di sviluppo e la fine del ciclo di vita (EOL – End-Of-Life), ossia fino a quando il software in questione verrà supportato, attraverso costanti aggiornamenti di funzionalità e patch di correzione delle vulnerabilità.
“La end-of-life è vicina per CentOS Linux 7, la distribuzione derivata dal codice sorgente di Red Hat Enterprise Linux (RHEL), libera, stabile, supportata dalla comunità, e per RHEL 7” spiega Luca Barzè, solution architect di SUSE. “Si tratta di sistemi operativi open source server, largamente diffusi in ambienti di produzione, e presenti in data center on-premise e cloud pubblici: il loro ciclo di vita terminerà il 30 giugno 2024”.
Ciò significa che oltre tale data questi sistemi non riceveranno più supporto, e rimarranno quindi privi di aggiornamenti e delle necessarie ‘pezze’ di protezione, costringendo amministratori di sistema e responsabili IT a decidere con urgenza quale strategia adottare.
Valutare le possibili soluzioni: l’alternativa SUSE Liberty Linux
Per CentOS Linux 7, la migrazione dei workload verso CentOS Stream, liberamente disponibile come CentOS Linux, può non rivelarsi la soluzione migliore in ambienti di produzione, soprattutto per applicazioni critiche, che richiedono massima stabilità e compatibilità del sistema con RHEL. Da un altro punto di vista, il percorso più naturale potrebbe essere la conversione diretta di CentOS Linux 7 verso RHEL 7, per poi sfruttare l’Extended Life Cycle Support (ELS) disponibile per quattro anni, oppure decidere di eseguire l’upgrade a una versione più recente di RHEL: queste soluzioni però prevedono la sottoscrizione di abbonamenti a pagamento. Chi non desiderasse nessuna di queste opzioni, ha anche la possibilità di eseguire la migrazione, in maniera relativamente fluida, di CentOS Linux 7 e RHEL 7 su altre distribuzioni derivate da RHEL, compatibili e liberamente utilizzabili, tra cui Rocky Linux, AlmaLinux, Oracle Linux.
“Oggi, tuttavia, il problema della fine del supporto per CentOS 7 e RHEL 7 si può affrontare in maniera particolarmente vantaggiosa scegliendo un’ulteriore alternativa – spiega Barzè – costituita dall’offerta SUSE Liberty Linux. Quest’ultima consente di estendere la vita operativa di RHEL 7 e CentOS Linux 7 fino al 2028, senza necessità di eseguire migrazioni o altre modifiche, ma semplicemente continuando a ricevere da SUSE gli aggiornamenti di manutenzione e le patch di sicurezza, con la tranquillità di minimizzare i rischi associati, grazie a una completa compatibilità”.
“L’offerta SUSE Liberty Linux – prosegue Barzè – si può considerare una ‘migrazione light’, in quanto a cambiare sono soltanto i repository da cui vengono scaricati gli aggiornamenti software. L’offerta è rivolta principalmente agli utilizzatori di CentOS Linux e RHEL, ma è in grado di supportare un’ampia gamma di distribuzioni”.
Ciò è possibile attraverso lo strumento SUSE Manager, pensata per gestire oltre 16 distro Linux tramite una singola console centralizzata e prevenire quelle situazioni di ‘lock-in’, che rendono un’azienda dipendente dalla tecnologia di singoli fornitori Linux. “Inoltre – conclude Barzè – con SUSE Liberty Linux è sempre possibile decidere di implementare i workload anche su SUSE Linux Enterprise Server, la distribuzione supportata da SUSE, o su OpenSUSE, la versione supportata dalla comunità. A oggi, SUSE è l’unico fornitore che permette questa libertà di scelta”. Per illustrare l’offerta Liberty Linux, SUSE ha organizzato un webinar, che si svolgerà online il giorno 22 febbraio, e avrà come relatori Luca Barzè e Giuseppe Cozzolino, account executive di SUSE.