Sono sempre più lontani i tempi in cui software open source non faceva rima con It aziendale. Ormai una gran parte dei software cosiddetti di base (dai sistemi operativi ai database al middleware), ma anche di applicativi, che girano nei sistemi It enterprise, sono in toto o in parte di tipo open source (per l’analisi della tendenza diffusionale dell’OSS vedi i primi due articoli di questa Cover).
Oggi il software open source entra nelle aziende in diversi modi. Oltre a quello tradizionale degli sviluppatori interni che frequentano community dedicate all’evoluzione collaborativa dei software a sorgente aperto, si sono aggiunte quelle di vendor (software house, produttori di hardware, aziende It globali) e system integrator che tendono a offrire tecnologie open source anche per utilizzi di livello enterprise. E ormai si può dire che non ci sia azienda It che non abbia, in qualcuno dei suoi prodotti più sofisticati, qualche componente di codice open source. Anche grandi software house che fino a qualche anno fa venivano identificate come antitetiche rispetto all’open source oggi vantano un ruolo nel mondo del software venduto con licenze di tipo free.
OSS: come integrarlo nell’offerta “close”
In che modo e perché l’open source viene integrato nelle offerte dei vendor rivolte al mercato enterprise? Lo abbiamo chiesto sia ai cosiddetti “megavendor”, quelli che hanno un’offerta così ampia e diversificata di soluzioni hardware, software e di servizi che hanno un peso determinante nell’evoluzione e nella diversificazione dell’ecosistema complessivo dell’It globale, sia a vendor che si sono specializzati in toto, o per una parte considerevole del loro business, nell’offerta di tecnologie open source per il mercato business, mettendo in luce le strategie verso questo mondo e le relazioni con i “megavendor” da una parte e con le community dell’open source, dall’altra.
E abbiamo fatto qualche scoperta interessante su alcune delle ragioni che stanno alla base del successo dell’open source in versione enterprise. Che non si riducono esclusivamente alla maggiore convenienza, in fase di investimento iniziale, di questi software rispetto a quelli che prevedono l’acquisto di una licenza d’uso. Del resto nessuno ormai nega che anche l’adozione di software open source di tipo enterprise-class comporti dei costi a livello di canoni di abbonamento ai servizi di supporto, upgrading e patching, nonché altri investimenti, tra i quali il “re-skilling” di risorse It formate sui software commerciali ed, eventualmente, anche degli utenti finali chiamati a usare applicativi diversi da quelli a cui sono abituati (per esempio OpenOffice di Oracle o Symphony di Ibm nell’area delle applicazioni di produttività).
“Dal nostro punto di vista – spiega Domenico Squillace
, Technical Relations Europe Service Professional di Ibm – l’open source è fondamentalmente una modalità per implementare standard aperti. La nostra visione del software prevede un mondo che deve diventare sempre più interoperabile, dove le parti personalizzate sulle specifiche esigenze dell’utente, possano essere scambiate con altre sviluppate da altri soggetti utilizzando diverse modalità di licenza. Ognuno di questi elementi potrà essere sviluppato con metodologie diverse. Potrà essere close source o open source, un modello in cui la qualità del software è direttamente proporzionale alla forza della community che lo sostiene. In questo contesto esiste la massima flessibilità e possibilità di scelta”. L’offerta software di Ibm, del resto, rispecchia questa filosofia: “Noi stessi proponiamo sia software venduto con un approccio commerciale sia software open source. L’importante per Ibm è privilegiare gli standard aperti per consentire il colloquio delle varie parti dell’ecosistema e la maggiore flessibilità architetturale. Poi, in base alle specifiche del progetto, si possono scegliere in modo pragmatico i componenti che permettono di svolgere al meglio quello che si desidera”.
Un approccio di questo tipo è ormai da tempo una realtà anche per Microsoft. “Anche per noi – interviene Pierpaolo Boccadamo, Direttore della Strategia di Piattaforma in Microsoft Italia – la necessità di abbracciare l’open source deriva dal riconoscimento di due realtà: quella che i clienti operano con ambienti eterogenei e chiedono interoperabilità e il desiderio, da parte di tutti, di essere liberi di scegliere”. Nel nome dell’interoperabilità, nel corso degli anni, sono stati sviluppati degli standard aperti al di fuori dei laboratori dei vendor – che poi li hanno adottati – ma sono state anche cedute agli enti di standardizzazione, e quindi rese pubbliche, tecnologie nate come proprietarie. In pratica, quello che succede sempre più spesso, è che molti vendor rendono pubblici alcuni loro prodotti, che diventano così materiale a uso e consumo delle community; allo stesso tempo questi vendor adottano standard aperti, o de facto, affiancandoli ai propri nelle loro offerte al mercato. “Prendiamo per esempio il Php – esemplifica Boccadamo -. Noi abbiamo sviluppato una tecnologia concorrente, Asp.Net, in cui crediamo e che promuoviamo. Questo non ci impedisce di riconoscere che il Php è molto utilizzato e che dobbiamo supportarlo. A un certo punto dello sviluppo di Windows, quindi, abbiamo iniziato a collaborare con Zend [un vendor specializzato nello sviluppo di software open source intorno al linguaggio Php, ndr]. Allo stesso tempo, sebbene noi abbiamo Sql Server, non ignoriamo che MySql giri meglio su Windows che su Linux e quindi chiediamo ai nostri centri di sviluppo del sistema operativo di far sì che i driver di MySql funzionino sempre meglio con Windows”.
E che dire poi di un altro megavendor di rango enterprise come Oracle? Sentendo citare nomi come Red Hat, Novell, Alfresco (un emergente produttore di content management open source), Enrico Proserpio (nella foto a destra)
, Sales Consultant Director, Oracle Italia, dichiara: “Oracle è, al pari di questi vendor, uno sviluppatore di piattaforme e soluzioni open source. Oracle da tempo integra all’interno della propria offerta diverse tecnologie open source. A seguito della recente acquisizione di Sun, Oracle ha introdotto nel proprio sistema di offerta MySql, il database open source per il Web più noto al mondo, ma già da qualche anno ha acquisito e propone sul mercato InnoDb, il principale storage engine transazionale per MySql, e Oracle Berkeley Db, la famiglia di database embeddable open source più usata al mondo – con oltre 200 milioni di implementazioni stimate – che consente agli sviluppatori di incorporare nelle proprie applicazioni un motore database transazionale veloce e scalabile.
Sempre da Sun, Oracle ha acquisito OpenOffice.org, la suite di produttività personale open source di cui è stata recentemente introdotta la versione 3.2. L’hypervisor Xen è invece parte di Oracle Vm, il software di virtualizzazione server di prossima generazione”.
Focus open source
Ecco invece le voci dei vendor che hanno deciso di focalizzarsi su determinate aree offerte di open source.
“Per noi – spiega Andrea Rossi
(nella foto a destra), country manager di Novell Italia – le attività open source rappresentano circa un terzo del fatturato a livello globale. Nell’open source ci concentriamo solo sul software infrastrutturale, ovvero il sistema operativo Linux e il software di management. Quello che differenzia offerte come Suse Linux Enterprise o Red Hat Enterprise Linux, rispetto a distribuzioni del sistema operativo disponibili a livello di community, è l’impegno in termini di persone e investimenti profuso per offrire piattaforme in grado di supportare i sistemi informativi aziendali. A questo si aggiunge il fatto che di per sé il software open source si innova più velocemente ed è più sicuro di quello commerciale, dal momento che ha alle spalle moltissime community che ci lavorano”.
Un’altra azienda convinta che il mercato enterprise è pronto ad adottare tecnologie open source per la loro interoperabilità e il loro contenuto di innovazione, ed è disposta anche a pagare servizi e software close source per trarre il massimo profitto dalle tecnologie a sorgente aperto, è Citrix. “Nel 2007 – racconta Ivan Riservato
(nella foto a sinistra), Principal Consultant Citrix Consulting South Europe – abbiamo acquisito Xen Server [un software open source per la virtualizzazione, ndr], lo abbiamo sviluppato ulteriormente e lo scorso anno lo abbiamo rilasciato in versione open source. Sempre nel 2009 abbiamo lanciato Xcp (Xen Cloud Computing), una piattaforma open source che consente di creare cloud sia privati sia pubblici”. Grazie al supporto dello standard Ovf (Open Virtual Machine Format), i cloud creati con Xcp offrono un supporto standard per la virtualizzazione e permettono agli utenti di implementare iniziative di virtualizzazione utilizzando cloud di un fornitore o di un altro senza problemi. “Citrix – continua Riservato – intende fare business non su componenti, come per esempio gli hypervisor, che possono essere considerati delle commodity, bensì sull’offerta dei migliori tool di management per gestire infrastrutture che sfruttano questi ecosistemi aperti”.
Nell’autunno scorso la società è diventata membro della Linux Foundation. Parlando di Linux come di un ambiente ormai assolutamente sdoganato come alternativa per il supporto di infrastrutture It enterprise non possiamo non sentire Red Hat: “La nostra strategia nei confronti del mercato enterprise – spiega Gianni Anguilletti (nella foto a destra)
, country manager di Red Hat – è chiara: fornire infrastrutture funzionali ed economicamente vantaggiose. Il che significa costi bassi, elevata qualità, semplicità di gestione e adattabilità alle mutevoli situazioni di business in cui un’azienda può venirsi a trovare. Questi obiettivi vengono raggiunti agendo sia sul lato dell’ingegnerizzazione del software sia sui servizi. A intervalli regolari andiamo a valutare le soluzioni sviluppate dalle comunità e adottiamo quelle che consideriamo più adatte a un’utenza enterprise. Quindi le testiamo e le proponiamo nelle nuove distribuzioni di Red Hat Enterprise Linux. Ogni nostra distribuzione, comunque, ha un ciclo di vita di diversi anni. Non tutte le aziende, infatti, vogliono passare a una release successiva solo per inseguire le evoluzioni dei bit and byte. Per questo ci impegniamo a supportare ciascuna distribuzione per diversi anni e a effettuare il back porting di nuove tecnologie che gli utenti potrebbero volere implementare sulle loro attuali installazioni”.
Approccio simile, per quanto riguarda la creazione di un’offerta open source enterprise-class è anche quello di Alfresco. “La nostra strategia – sottolinea il direttore vendite per l’Italia, Alberto Fidanza (nella foto a sinistra)
– consiste nell’irrobustire il software open source con approcci tipici del software enterprise, sia sul lato dei servizi sia su quello della scalabilità e delle performance. Gli utenti della versione Enterprise della nostra piattaforma hanno accesso a un supporto attivo 24 ore al giorno 365 giorni all’anno erogato da tre centri in Usa, Australia e Regno Unito”.
La coopetition tra vendor “close” e “open”
Uno dei principali segreti del successo dell’open source presso l’utenza enterprise giace, come si è avuto modo di capire, nella qualità di questo software che è direttamente proporzionale alla forza delle comunità che vi lavorano in modo collaborativo. Attraverso accordi diretti tra loro o la partecipazione alle stesse community o agli stessi progetti di sviluppo open source, fornitore “close” e “open” celebrano una vera e propria “coopetition”. A tutto vantaggio dell’utenza. Due casi emblematici sono gli accordi raggiunti separatamente, in tempi diversi, da Novell e da Red Hat con Microsoft. “Tre anni fa – racconta Rossi di Novell – abbiamo stretto un accordo di interoperabilità con Microsoft a seguito del quale, nell’ambito di determinati progetti, questa società rivende ai suo clienti il nostro Suse Linux Enterprise”. Recentemente, invece, Red Hat e Microsoft si sono alleate per fornire supporto al sistema operativo dell’altro virtualizzato su una propria piattaforma. “Per fare un esempio dei vantaggi di questo accordo – spiega Anguilletti di Red Hat – oggi un utente che avesse dei problemi con un’istanza Windows su Red Hat o viceversa può chiedere supporto a entrambi. Questo perché tra Red Hat Enterprise Linux e Windows c’è oggi un’interoperabilità tale che sia noi sia Microsoft possiamo offrire supporto ai clienti in comune anche sui software dell’altro vendor”. Altra alleanza strategica è quella stretta da Ibm e Alfresco per rendere interoperabili la piattaforma Ecm open source con le soluzioni di comunicazione e collaborazione Lotus.
Al di là delle collaborazioni tra i vendor, per continuare a garantire l’interoperabilità, l’innovazione e la qualità dei software open source, sarà sempre necessario che i fornitori sostengano con forza le community e gli enti di standardizzazione. “Noi, per esempio – interviere Rossi – offriamo alle community Suse Studio, una distribuzione che consente agli sviluppatori di utilizzare di Suse Linux solo quello che serve effettivamente per supportare determinate applicazioni. Con Suse Studio permettiamo agli Isv di creare anche delle appliance software standardizzate che integrano sia la soluzione sia il sistema operativo”.
Oracle, che con l’acquisizione di Sun ha inglobato una parte importante di software open source, lancia un segnale di rassicurazione verso il mondo del sorgente aperto, come specifica Proserpio: “L’acquisizione di Sun rafforza ancora di più l’impegno di Oracle sul fronte open source. Per esempio, Oracle continuerà a sviluppare, promuovere e supportare il database open source MySql (così come fatto dal 2005 con InnoDb). Oracle si impegna dunque a migliorare MySql stesso e il suo supporto, nonché a renderlo parte integrante dello stack tecnologico Oracle. Sul fronte dei sistemi operativi, investiremo in modo significativo sia su Solaris sia su Linux, ottimizzandoli entrambi per l’intero stack, dai dischi alle applicazioni”.
Microsoft, ricorda Boccadamo, “ha sempre avuto un rapporto molto collaborativo con le proprie community, per esempio fornendo loro in anticipo software in versione beta da testare e iniziare ad adottare. Da quando abbiamo deciso di aprirci anche verso il mondo dell’open source abbiamo, per esempio, reso pubblico Windows Ce. In tempi più recenti abbiamo lanciato Azure, la piattaforma per il cloud computing completamente basata su open standard. A luglio dello scorso anno abbiamo rilasciato 20mila righe di codice sotto licenza Gnu Gpl 2 alla comunità Linux per consentire una migliore integrazione tra questo sistema operativo e Windows. Partecipiamo o contribuiamo a circa quattrocento progetti open source”. Anche Alfresco è molto attiva a livello di progetti su open standard: “Siamo tra i membri di Oasis – ricorda Fidanza – l’ente che sviluppa il Cmis (Content management interoperability services)”. Si tratta di uno standard basato su web service e interfacce Web 2.0 che consente di scambiare contenuti attraverso diversi protocolli Internet in formati indipendenti dai vendor: in pratica una tecnologia destinata a rivoluzionare la gestione dei contenuti, la collaborazione e i social network. “L’impatto sul mondo dei content management system – afferma Fidanza – sarà paragonabile a quello che, negli anni Ottanta, ha avuto l’avvento del linguaggio Sql nel mondo dei database”.
Le collaborazioni internazionali tra i vendor e tra i vendor e le community, si declinano anche a livello italiano. Nel primo caso, a volte passano solo ancora attraverso le case madri e in altre prevedono anche un’interazione diretta tra gli staff delle filiali. Per quanto riguarda le community, gli esperti di open source dei vendor dialogano con i rappresentanti italiani di queste comunità laddove sono necessarie delle localizzazioni di determinati aspetti del software, come, banalmente, i menu a tendina o gli help in linea. I vendor sono impegnati anche a collaborare con i system integrator, sia quelli globali, sia i migliori a livello locale. Lo stesso impegno di supporto è offerto anche agli Isv (Independent Software vendor) nazionali. Anche per via di questa collaborazione sul piano locale, gli utenti enterprise possono essere tranquilli quando adottano una soluzione open source o – come sempre più spesso accade – un progetto mixed, composto da software open e closed source. “L’importante – sottolinea Boccadamo di Microsoft – è che l’utente valuti bene i costi, i benefici e i rischi insiti in ciascuna opzione”. Mettendo quindi da parte i vecchi pregiudizi sul software open source ma non lasciandosi nemmeno eccessivamente incantare dalla prospettiva dei risparmi, che in questo momento di recessione sono quanto mai ricercati. Anche quello nel software open source può essere un investimento di lungo periodo e con diverse sfaccettature da valutare. Grazie all’ampiezza dell’offerta oggi disponibile, corroborata dalle collaborazioni in atto tra i vendor e tra questi e le community, nonché alla crescita della quantità e qualità di risorse umane preparate, è oggi possibile intraprendere strategie It vincenti che comprendano anche il software a sorgente aperto.