Google: gli utenti devono essere liberi di “andarsene”

Il Web aperto, il controllo e la gestione dei dati, trasparenza, accessibilità. Ecco i temi affrontati per assicurare che le regole di funzionamento dei servizi Internet offrano agli utenti la miglior esperienza online possibile. La lectio magistralis è tenuta da Brian Fitzpatrick, Engineering Manager di Google e Product Manager del Data Liberaton Front (Dlf), team di ingegneri che lavora per difendere la natura aperta della rete e consentire all’utente di importare ed esportare liberamente i propri dati.

Pubblicato il 12 Apr 2012

Brian Fitzpatrick lavora come Google Engineer dal 2005. Come Product Manager di servizi Google si è dato col suo team la missione di far sì che “gli utenti siano sempre in grado di controllare i dati memorizzati nei server Google”, da cui discende l’obiettivo di facilitarne “la libera importazione ed esportazione”. Missione ed obiettivo sono figli dell’affermazione del Ceo di Google, Eric Schmidt: “Non vogliamo intrappolare l’utente finale; se per qualsiasi motivo facciamo un cattivo lavoro, vi faciliteremo nel trasferirvi alla concorrenza”.

Con questo intento è nato il Dlf – Data Liberation Front, team di Google il cui successo “val la pena di condividere”, dice Fitzpatrick.

Data liberation, prima che sia tardi

“Perché l’essenziale di ‘cosa non si fa e invece si dovrebbe fare’ è semplicemente pensarci”, dice Fitzpatrick. “Pensare ad evitare la prigionia dei dati che rende captive un fornitore una volta che li ha memorizzati”.

La strategia di Google va proprio verso l’apertura nei confronti dell’utente, lasciandolo libero “di andarsene in ogni momento”. “Gli Internauti sono sempre più veloci nel provare nuove tecnologie: il costo di switch è e deve rimanere basso. Portarsi via la propria “sfera di dati” deve essere possibile come cambiare contratto di affitto da un appartamento all’altro portandosi via i mobili con lo stesso tipo di domande: posso tirar fuori tutti i miei dati, con che costo, quanto tempo mi ci vuole per il “trasloco”?”, osserva Fitzpatrick.

Openness: scelta motivata da fidelizzazione

“Una grande corporation non ci si aspetta sia particolarmente “friendly” nei confronti del consumatore”, riflette Fitzpatrick. “Per cui molti non capiscono bene perché l’openness è un concetto portante per Google, che sposa l’open web così come l’open data e il software open source. E si chiedono: dove sta il trucco?”. La risposta è che Google non è né ingenua né altruista, ma con la openness punta ad una crescita guidata dalla fidelizzazione di lungo termine. “Puntiamo a conquistare la fiducia degli utenti rendendoli soddisfatti di usare i nostri servizi a lungo, soprattutto liberamente”, dice Fitzpatrick.

La scelta viene dalla già sperimentata gratuità (e qualità) del motore di ricerca Google, che dipende da un team che lavora 24 ore al giorno per rendere sempre più intelligente ed efficiente il servizio. “La fiducia ne è l’aspetto duale e conseguente: la gente sceglierà il motore di ricerca Google finché sarà convinta che le risposte che ne ottiene sono le migliori possibili e non il risultato di qualche pubblicità a pagamento”, puntualizza il manager. “È molto chiara la distinzione tra ricerca organica e ricerca pubblicitaria: una pubblicità appare nella ricerca organica solo se Google pensa che abbia esattamente a che fare con l’obiettivo della ricerca, e in ogni caso resta indicata come pubblicità. La ricetta è sempre quella “dell’innovazione aperta che risale a Larry Page e Sergey Brin”, nella convinzione che vada bene se dell’openness e trasferibilità dei dati memorizzati presso Google ne beneficia anche la concorrenza, perché a lungo andare non può che beneficiarne Google stessa”.

In ultima analisi, la strategia Google è, se vogliamo, di lock-in, ma con due proprietà: la qualità (per alzata di mano dall’uditorio in cui ha tenuto la “lezione” Fitzpatrick, la ricerca Google la usano tutti; una sola persona alza la mano alla domanda su chi usa anche Yahoo); la openness (la barriera d’ingresso e il costo per installare la release più aggiornata di Google è, al massimo, un’email con un link al sito web).

Ma cosa fa concretamente il Dfl di Google per fidelizzare i suoi utenti convincendoli di meritare la loro fiducia? Due cose: informazione sui servizi e sui dati degli utenti affidati alla società mettendo a disposizione il portale www.google.com/dashboard con cui l’utente può fare le opportune verifiche su ogni suo dato memorizzato in Google; strumenti facili per rimuovere i dati se si decide di cambiare o cessare il servizio (nello stesso portale, ci sono tutte le istruzioni).

E quali dati utente sono “interessanti” per il team Dlf di Google, chiediamo? I dati autenticati di un account Google (in Gmail, iGoogle, Blogger, Picasa, dati tipo e-mail, documenti, spreadsheet, blog, ecc.), ovvero quelli generati dall’utente che fa il log in. Il team non tiene conto dei dati “non autenticati”, cioé quelli che risultano dall’utilizzo del sistema operativo Chrome o che emergono dalle ricerche fatte dagli utenti in generale; il team Dlf si focalizza sui dati personali degli account, perché è da questi che si riesce a valutare il livello di servizio e l’eventuale “rischio” di abbandono degli utenti per servizi della concorrenza.

“La strategia del Dfl è mettersi nei panni degli utenti e domandarsi costantemente: qual è la cosa migliore che vorrei se fossi l’utente finale?”, conclude Fitzpatrick. Le risposte hanno già prodotto, per esempio, vari formati di esportazione dati, tutti standard, per i diversi prodotti della famiglia Google resi disponibili.

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