Fondata nel 1882, con oltre quindi 130 anni di vita alle spalle, la Società Italiana degli Autori ed Editori (SIAE) è un esempio di azienda storica che, grazie alla digital transformation, è ringiovanita e diventata più efficiente.
SIAE è una società collettiva di gestione del diritto d’autore, un ente pubblico economico senza fini di lucro e che non pesa sulle finanze statali. La sua missione è raccogliere e distribuire agli aventi diritto i compensi dovuti loro dagli utilizzatori delle opere di cui i primi sono proprietari. Un patrimonio suddiviso in sei repertori: musica, cinema, opere radiotelevisive, teatro, lirica e balletto, arti figurative e letteratura. “In totale, considerando anche le opere registrate presso società di altri paesi con le quali abbiamo contratti di reciproca rappresentanza – spiega Ivan Vigolo, Chief Information e Innovation Officer di SIAE – gestiamo a oggi 59 milioni di opere. Un’attività che viene svolta in modo analitico, tenendo conto di quando l’opera viene utilizzata, in quale contesto, chi sono tutti i detentori di diritti e in quali percentuali ognuno deve essere remunerato”.
Digital transformation: una scelta obbligata
Complice anche la nascita di nuovi stili di vita che danno ampia importanza alla musica, allo sviluppo di nuove forme artistiche, alla diffusione dei social media e alla lotta contro la pirateria, negli ultimi anni i momenti di fruizione che le aziende come SIAE devono cercare di monitorare sono cresciuti a dismisura. “In questo periodo – spiega Vigolo – come SIAE gestiamo 1,5 triliardi di utilizzazioni all’anno”.
Per uscire da un periodo di empasse economica e di immagine, nel 2015 la Società ha intrapreso alcuni cambiamenti, fra i quali il varo di un progetto denominato Agenda Digitale, per il quale è stato stanziato un investimento di 7,4 milioni di euro (su 12,7 milioni di investimenti in generale). “La scelta di intraprendere un percorso chiaro e articolato di digital transformation – afferma Vigolo – è stata dettata prima di tutto dalla necessità di aumentare la sostenibilità dei processi ed evitare un’implosione”.
Per capire quanto gli investimenti in gioco siano giustificati, vanno considerate, oltre al dato sulle utilizzazioni nel mirino, anche altre dimensioni. Una è il numero di autori ed editori associati: 86.000 (una platea che dovrebbe crescere anche grazie a nuove politiche che mirano a promuovere l’iscrizione a SIAE da parte di giovani autori); un’altra ancora è il numero di eventi nei quali avviene l’utilizzazione: 1,8 milioni. “Si va dalle riproduzioni di canzoni nel corso di matrimoni o feste di compleanno – esemplifica il CIO dell’ente presieduto da Mogol, di recente nomina – alle esibizioni di band nei locali, fino ad arrivare ai grandi concerti delle star”.
Last but not least, un driver molto rilevante per la trasformazione digitale è l’organizzazione territoriale di SIAE: 10 sedi, 28 filiali e 438 mandatarie in tutta Italia, per un totale di circa un migliaio di addetti.
Una rivoluzione con al centro il cliente
Quali sono stati gli step principali della digital transformation targata SIAE? “Prima di tutto – risponde Vigolo – abbiamo optato per un ‘reshaping’ [rimodellamento, ndr] di tutti i sistemi. Nel 2015 abbiamo realizzato un nuovo sito e lo abbiamo trasformato in un portale con una grafica d’impatto e attraverso il quale oggi siamo in grado di veicolare più dell’80% dei servizi. Già dal 2016 gli autori possono depositare le loro opere via web. Nel caso vi siano più titolari di diritti (si arriva anche a cinque o sei), siamo in grado di inviare a ognuno di essi documenti con l’indicazione delle quote che sono state pattuite fra loro, e poi di farceli restituire muniti di firma digitale. Per tutti questi documenti garantiamo anche la conservazione sostitutiva”.
Un secondo grande progetto ha riguardato la creazione di un nuovo sistema di Customer Relationship Management (CRM) per tutta l’utenza interna SIAE, presso la sede centrale e le branch territoriali. “In precedenza – spiega il CIO – utilizzavamo sistemi monolitici verticali. Con l’Agenda Digitale abbiamo deciso di implementare sistemi orizzontali e condivisi fra tutte le unità organizzative e tutti i processi”. Il nuovo CRM mira soprattutto a garantire una maggiore produttività e una migliore customer experience (CX) da parte di chi lavora, ed integrato con tutte le altre applicazioni come ad esempio il “nuovo sportello”, l’applicazione usata dalla rete territoriale, ovvero utilizzato dagli ispettori o dai promoter SIAE che si muovono sul territorio. “Benché, come dicevo, il portale sia in grado di fornire oltre l’80% dei servizi, più della metà del nostro fatturato arriva dall’attività presso gli sportelli”.
A queste considerazioni di carattere più organizzativo e tecnologico, comunque, Vigolo ne aggiunge una di respiro più filosofico: “Per partire con il piede giusto in questi nuovi progetti, abbiamo però prima di tutto affrontato una trasformazione culturale: siamo passati da una ‘cura’ rivolta soprattutto ai processi a una focalizzata sui clienti. Questo cambiamento di ‘mindset’ è simboleggiato anche dal nuovo logo aziendale, in cui la linea ovale che conteneva il nome Siae è stata eliminata e ora il marchio è aperto e affiancato dal payoff ‘Dalla parte di chi crea’”.
Una transformation all’insegna dell’open source
Per supportare il progetto “nuovo sportello”, sottolinea Vigolo, era necessario adottare un’infrastruttura IT per lo sviluppo e il deployment delle applicazioni che garantisse flessibilità, affidabilità e scalabilità. “Le attività degli sportelli – sottolinea il CIO di SIAE – hanno una forte stagionalità. Nel periodo natalizio o in quello estivo, la mole di lavoro può essere dieci o venti volte superiore al resto dell’anno. Già da tempo – continua Vigolo – eravamo clienti di Red Hat per le soluzioni infrastrutturali. Per il nuovo sportello abbiamo riconfermato la scelta dell’open source, come anche per per l’applicazione CRM, dove utilizziamo Vtiger, sia per la creazione di una Platform-as-a-service (PaaS), per la quale abbiamo optato per Red Hat OpenShift. Questa soluzione ci consente di adottare il modello di sviluppo a microservizi [un approccio architetturale che struttura un’applicazione come insieme di servizi componibili fra loro, ma indipendenti, e ciascuno dei quali specializzato in una piccola funzionalità di business, ndr] e di farlo senza dover utilizzare diversi ambienti qualora si volessero utilizzare versioni diverse di uno stesso microservizio. OpenShift, infatti, consente di utilizzare più versioni. L’utente può scegliere quali mix di versioni utilizzare per condurre dei test”.
Così, per esempio, nello stesso ambiente un end user può utilizzare un microservizio nuovo, ma non ancora definitivo, mentre lo sviluppatore continua a lavorare sulla versione originale.
Sempre targata Red Hat è anche l’infrastruttura utilizzata per il progetto Sophia, destinato a ottimizzare le attività di analisi, reporting e monetizzazione dei 1,5 triliardi di utilizzazioni di opere, che avvengono soprattutto su YouTube, Apple iTunes, Spotify e su altri servizi di tipo Over-the-top, o Ott (termine usato per riferirsi ai fornitori di contenuti, soprattutto video, e applicazioni di tipo rich media forniti via Internet quindi senza disporre di una propria rete come è per gli altri broadcaster). Il progetto Sophia è iniziato nel settembre 2016 e ha visto il suo rilascio in produzione dopo appena otto mesi, nel maggio 2017. “Ogni Ott – fa notare Vigolo – utilizza propri formati per descrivere un’opera, per questo motivo abbiamo bisogno di soluzioni per l’analisi di big data. Ogni riduzione di errori nell’identificazione delle opere e nelle comunicazioni verso gli Ott per ottenere i diritti si traducono in aumenti rilevanti di fatturato che riusciamo a girare ai nostri associati. Siamo quindi ricorsi alle nuove tecnologie che il mercato mette a disposizione, come l’intelligenza artificiale e machine learning, bigdata e cloud, per riuscire ad ottenere i risultati che ci eravamo prefissati”. Come il nuovo sportello, anche Sophia gira su sistema operativo Red Hat Enterprise Linux (Rhel) e in cloud.