In un’era digitale dominata da cloud, microservizi, applicazioni containerizzate, intelligenza artificiale, i principi chiave di condivisione e collaborazione fanno dell’open source uno strumento d’innovazione che il mondo business sta oggi utilizzando intensamente e che genera vantaggi nelle aziende.
Giorno dopo giorno, il software open source (OSS) diventa un elemento profondamente integrato nelle strategie di trasformazione digitale di un crescente numero d’imprese e organizzazioni. Esso è in grado di creare una “disruption positiva”, coinvolgendo dipendenti aziendali e clienti, e incoraggiando la collaborazione e la produttività. Evidenziando questi concetti in un approfondimento, la società di ricerca Deloitte Insights aggiunge che il potenziale dell’open source emerge soprattutto nei domini tecnologici emergenti: precisando che il software tradizionale resta fondamentale per la digital transformation dei sistemi IT a livello enterprise, Deloitte chiarisce che, in materia d’innovazione, attraverso i progetti open source, il contributo intellettuale fornito da sviluppatori altamente creativi e con elevate competenze può fare la differenza.
I vantaggi dell’open source spaziano in ambiti disciplinari come la blockchain o l’intelligenza artificiale (AI), ma a prescindere dal fatto che si tratti di sviluppare applicazioni basate sulla “catena di blocchi”, sulla realtà virtuale o sul machine learning (ML), sottolinea Deloitte, l’open source fornisce componenti, librerie, framework che, assieme, costituiscono uno straordinario patrimonio di software, riutilizzabile per dar vita a nuovi idee e progetti. Nel campo della AI, si pensi soltanto al contributo portato da una piattaforma open source per il machine learning come TensorFlow, che nel settore ha guadagnato grande popolarità.
Un dato sul ritmo di espansione dell’open source nelle tecnologie emergenti è fornito da Open Source Compass, un’iniziativa di ricerca congiunta, condotta da Deloitte e Datawheel: tra il 2008 e il 2018, il numero di progetti open source si è sviluppato con un tasso di crescita annuale composto (CAGR) del 79%.
Entro il 2022, prevede la società di ricerche CB Insights, il settore dei servizi open source raggiungerà un valore pari a circa 33 miliardi di dollari. Del “free software” l’analisi pone in rilievo qualità precipue, come il fatto che il software open source abbia la caratteristica di essere pubblicamente accessibile, e di permettere agli sviluppatori di scambiare in maniera trasparente e collaborativa codice e idee progettuali.
Software di maggior qualità: primo vantaggio per il settore enterprise
La rilevanza dell’open source nella definizione della strategia per il software infrastrutturale in molti ambienti aziendali risulta attualmente molto forte: il peso crescente di questa componente tecnologica emerge in un quadro aggiornato, attraverso i dati della ricerca annuale The State of Enterprise Open Source per il 2020, condotta dalla società di ricerca e consulenza Illuminas per conto di Red Hat, sondando le opinioni di 950 dirigenti IT a livello mondiale. Alla domanda su come venga valutato il software open source in campo aziendale, il 95% dei rispondenti lo ritiene importante. In merito ai futuri piani d’adozione dell’open source enterprise, rispetto a un 2019 in cui solo il 59% degli intervistati prevedeva un incremento di questo software in azienda, nel 2020 tale percentuale sale al 77%.
Tra i campi di utilizzo principali, vi sono l’uso dell’open source nell’ambito della sicurezza (52%) e degli strumenti di gestione cloud (51%); ma ci sono anche i database (49%) e i big data con gli strumenti analitici (47%). Ancora, il 60% adotta il software open source enterprise per la modernizzazione dell’infrastruttura IT, il 53% per lo sviluppo applicativo, e il 52% per progetti DevOps. Quando si passa alla valutazione dei vantaggi dell’open source enterprise, il costo, o meglio un TCO (total cost of ownership) più basso, si conferma sempre un vantaggio importante (30%), ma non più al primo posto, ora occupato dall’opportunità di sviluppare un “software di qualità superiore” (33%). In ordine decrescente, tra i benefici figurano la maggior sicurezza (29%); la possibilità di progettare software in grado di operare nel cloud, con tecnologie cloud-native (28%); l’abilità di sfruttare in modo affidabile le tecnologie open source (28%); la possibilità di accedere alle più recenti innovazioni tecnologiche (27%). Un dato conclusivo e sintetico attiene poi al fatto che, per l’86% dei leader IT, le aziende più innovative utilizzano soluzioni open source.
Free software: il lungo percorso per diventare leva d’innovazione
Plasmato e delineato con il progetto GNU di Richard Stallman nel 1983, il concetto di “software libero” si consolida successivamente attraverso il supporto della Free Software Foundation (FSF), libri come The Cathedral and the Bazaar di Eric Raymond, e la nascita, nel 1998, della Open Source Initiative (OSI). L’evoluzione verso questo modello di sviluppo software, e la sua adozione a livello commerciale, passa comunque attraverso un travagliato percorso: il software open source viene per lungo tempo marginalizzato, posto in contrapposizione con il software “closed source”, quello proprietario, a pagamento, spesso indicato agli utenti come da considerarsi l’unico davvero solido, affidabile, supportato per un uso professionale e aziendale.
A un certo punto, però, già prima dello scoppio della bolla speculativa sulle “dot-com”, che avverrà nel 2001, la percezione del valore intrinseco nel paradigma open source e nelle comunità di sviluppo collaborativo comincia ad attrarre in maniera crescente l’attenzione, e gli investimenti, da parte delle aziende tradizionalmente presenti nel mondo dell’hardware e del software commerciale. Tra le prime, IBM, che nel 1999 annuncia di contribuire allo sviluppo collaborativo open source, tramite la fornitura, alla Apache Software Foundation (ASF), di codice e di un team di programmatori dedicato, con l’obiettivo di utilizzare il nuovo codice sviluppato nei propri prodotti commerciali. Tra le aziende che contribuiscono a una sempre più ampia diffusione dell’open source c’è anche Sun Microsystems: nel 2000 la società decide di rilasciare il codice sorgente della propria suite di produttività per l’ufficio, StarOffice, sotto licenza GPL (General Public License), col nome di OpenOffice.
Open source, il fenomeno commerciale
Nei successivi vent’anni, il fenomeno open source e i suoi vantaggi diventano sempre più popolari, riuscendo a stravolgere ed innovare modelli di business “closed source” apparentemente imperturbabili, e tradizionalmente dominati dai colossi del software: solo per citare un esempio memorabile, nel 2016, quindici anni dopo aver definito Linux un “cancro” per la proprietà intellettuale di Microsoft, l’ex CEO Steve Ballmer ammorbidisce la propria posizione, ritenendolo, come riporta l’agenzia di stampa Reuters, “incredibilmente importante per il flusso di entrate della società”. La trasformazione continua quando, nel 2018, Microsoft acquisisce per 7,5 miliardi di dollari GitHub, la nota piattaforma di sviluppo e hosting del codice, usata da oltre 56 milioni di sviluppatori, e dove oggi sono ospitati anche molti progetti open source.
Un altro anno chiave per il modello open source, e la sua diffusione nel settore aziendale e commerciale, in cui accelera l’innovazione tecnologica, è il 2019, quando IBM conclude l’acquisizione di Red Hat per 34 miliardi di dollari. Big Blue, scrive allora Todd Moore, Vice President Open Technology and Developer Advocacy di IBM, in un articolo sull’IBM Developer Blog, può contare su oltre 68 mila addetti (“IBMers”) certificati sull’open source, che contribuiscono all’ecosistema open della società, sviluppando codice per progetti open. Assieme a Red Hat, aggiunge Moore, IBM rimane un attivo contributore di progetti open source fondamentali, tra cui vengono citati Kubernetes, Istio, Knative, Kubeflow, Java, Jakarta EE.