Open Source per ambienti core e business critical. Affidabilità e risparmio,ma occorre una strategia

L’open source ha ormai superato le fasi di sperimentazione e ha da tempo varcato i confini della “community di sperimentatori”. Oggi è un insieme di tecnologie mature in grado di supportare efficacemente le esigenze delle aziende e di essere scelto anche in progetti complessi per ambienti mission critical. Attenzione però: sono necessarie le stesse attenzioni e lo stesso piano progettuale che si segue, in genere, per l’introduzione delle soluzioni It di tipo "tradizionale". Governance, skill e responsabilità sono i principali fattori critici di attenzione.

Pubblicato il 26 Set 2011

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I sistemi informativi si trovano oggi nella condizione di dover valutare attentamente quali tecnologie considerare come elementi strategici, snodi di un ambiente IT che dovrà essere sempre più in grado di offrire valore di business. In questa complessa messa a punto, l’open source, entrato ormai nella sua fase di piena maturità, rappresenta uno degli ambienti che per le sue caratteristiche di flessibilità, economicità e standardizzazione/apertura, più di altri risponde a questo disegno strategico.”
Possiamo riassumere con le parole di Stefano Uberti Foppa, Direttore di ZeroUno, il messaggio chiave emerso nel corso di un recente Executive Dinner tenutosi a Milano e organizzato da ZeroUno in collaborazione con Red Hat.

L’evento si è aperto con lo scenario di riferimento tracciato da Eugenio Capra, Docente di Sistemi Informativi Politecnico di Milano che ha voluto ripercorrere brevemente un po’ di storia dell’open source. “Potremmo far partire tutto dal sistema operativo Unix – esordisce Capra -. Nato nel 1969 come progetto all’interno di un’impresa di Tlc (la AT&T), il sistema operativo venne distribuito ad un prezzo simbolico a buona parte delle istituzioni universitarie (una famosa causa antitrust contro la AT&T le vietò di entrare nel settore dell’informatica – ndr), le quali si ritrovarono ad avere una piattaforma comune, ma senza alcun supporto da parte del produttore. Si creò spontaneamente una rete di collaborazioni attorno al codice di questo sistema operativo, coordinata dall’Università di Berkeley, da dove sarebbe poi uscita la versione BSD di Unix, che diventa da un lato un centro di sviluppo ed innovazione, dall’altro è la base di partenza per numerosi fork (ossia metodi per creare nuovi processi e modelli di sviluppo software)”.
Ed è su questa accezione che si concentra la visione di Capra (per altro condivisa da moltissimi dei Cio e degli It manager presenti all’evento), ossia l’open source come modello di sviluppo del software e non come mera tecnologia.

Eugenio Capra, docente di sistemi informativi, Politecnico di Milano

“A confermare questa visione, c’é fatto che oggi sono moltissime le aziende It (compresi i grandi player come Ibm, Hp, Micorosft, Oracle, ecc.) che fanno parte, attraverso i propri sviluppatori interni, della community globale dell’open source”, afferma Capra.
La comunità è uno degli aspetti su cui maggiormente si è soffermato il professore, evidenziandone il valore in termini di competenze e professionalità disponibili online gratuitamente, oltre alla velocità di reazione e flessibilità.
“L’open source – sottolinea ancora Capra – presenta oggi innumerevoli vantaggi quali la flessibilità (grazie all’impiego di standard tecnologici che garantiscono la massima interoperabilità tra soluzioni e sistemi), la possibilità di partecipare attivamente all’evoluzione dell’applicazione (con la scrittura del codice a seconda delle proprie specifiche esigenze), la libertà di scelta (intesa come la possibilità di evitare il cosiddetto vendor lock-in)”.
Da un punto di vista tecnologico, inoltre, oggi sono numerose le tecnologie/applicazioni open source disponibili sul mercato. “La nostra grande sorpresa – ha commentato Ettore Galasso, Responsabile Area Business Applications di Expopage – è stata l’enorme disponibilità di soluzioni, anche per esigenze minime e molto puntuali. Questo, nel nostro caso, ci ha permesso di costruire servizi nuovi in modo molto flessibile e veloce”.

Gianni Anguilletti, country sales manager, Red Hat Italia

In effetti, conferma Gianni Anguiletti, Country Sales Manager Red Hat Italia, “la configurazione di queste soluzioni si è fatta più semplice, l’interfaccia utente decisamente più “amichevole”, la tecnologia risulta matura e consolidata: offre robustezza e affidabilità, consente risparmi e tempi di innovazione certamente più rapidi degli ambienti tradizionali”. “Per ottenere risultati proporzionali alle straordinarie potenzialità di queste tecnologie le aziende stanno utilizzando sempre di più un approccio strategico – aggiunge Anguilletti -; ossia l’open source non viene introdotto come una “bella tecnologia a costo zero”, ma con le stesse attenzioni e lo stesso piano progettuale che si segue, in generale, per l’introduzione delle soluzioni It di tipo “tradizionale” (seguendo cioè un piano strategico che tenga conto del contesto tecnologico, dei requirement, degli obiettivi, degli skill, dei processi, ecc.)”.
Visione assolutamente condivisa da Gianni Ferrari, Direzione Risk Management Intesa San Paolo che, presentando alla platea l’esperienza diretta riportata nella sua banca, ha evidenziato come “l’open source, inserito in un contesto mission critical come può essere la gestione del rischio in una società finanziaria, necessiti di una efficace strategia implementativa che parta da un chiaro assessment e preveda una roadmap attuativa precisa e ben definita”.

Gianni Ferrari, direzione Risk Management, Intesa San Paolo

“Fondamentale è far capire al top management i ritorni di business della scelta open source (che non può essere ricondotta al mero risparmio dei costi delle licenze software); la partnership del top management è infatti indispensabile”, aggiunge Ferrari.
“E’ poi necessario valutare il livello di maturità dei sistemi informativi e capire quanto siano “pronti” o meno all’introduzione di piattaforme e soluzioni open source”, incalza Anguilletti. “E poi, regola che vale sempre per qualsiasi progetto, agire gradualmente”.

Alcune delle criticità maggiori emerse nel corso della tavola rotonda, infatti, riguardano proprio gli aspetti di governance (all’interno del quale c’è anche la gestione/controllo dei sistemi e del progetto) e la necessità di “costruire” al proprio interno le competenze necessarie a questo scopo. “La formazione di competenze interne adeguate, infatti, è necessaria non tanto per la scelta o l’implementazione delle soluzioni open source (per questo ci sono vendor e consulenti ad hoc che hanno fatto proprio di questa offerta il loro core business), quanto per il governo dei sistemi nella fase successiva (oltre che per l’evoluzione degli stessi)”, osserva Anguilletti. “Tra le difficoltà riscontrate, è emersa anche l’interazione con la comunità: “Non tutte le aziende hanno le competenze, oltre che le risorse (in termini di tempo e costi) per interagire con la comunità open source e trarne così i vantaggi di cui si è parlato (condivisione, flessibilità, velocità, risparmio, ecc.)”, hanno osservato in molti. “Ma anche in questo caso – risponde Anguilletti – esistono realtà come Red Hat che si occupano proprio di questo, interfacciandosi con la community per indirizzare delle esigenze specifiche che vengono dalle aziende”.

Il tavolo dei relatori

“Ciò su cui va sicuramente portata l’attenzione – sottolinea Paolo Fornasari, Direttore Tecnologie e Servizi di Lombardia Informatica – è il cambio del modello di business. Per un’azienda pubblica come la nostra, per esempio, questo è significativo. Dato che dobbiamo avere un’attenzione particolare al contenimento dei costi, l’open source diventa per noi una scelta importante; al tempo stesso dobbiamo garantire maggior efficienza, quindi diventa importante reindirizzare le risorse. I costi risparmiati nell’acquisto delle licenze li abbiamo reindirizzati in spese di consulenza, necessarie per implementare adeguatamente le soluzioni open source e non perdere di vista aspetti come la sicurezza, il controllo, la governance”.

“In una prima fase, dunque, potrebbe non risultare immediato il risparmio – osserva Fornasari – dato che la scelta open necessita, a mio avviso, delle stesse accortezze (se non addirittura maggiori) di un progetto “tradizionale”. I vantaggi si apprezzano in seguito; ecco perché ritengo che le leve primarie nella scelta debbano essere argomentazioni come flessibilità, dinamicità, migliori servizi e più veloce time-to-market”.


Elenco partecipanti

  • Marco Andolfi, CTO, Disignum
  • Lionello Bego, CIO, Zegna Baruffa Lane Borgosesia
  • Italo Candusso, ICT Manager, Bomi Italia
  • Michele Caputo, IT Architect, Banca Popolare di Milano
  • Luca Fioletti, Responsabile Area Canali, Banca Popolare di Sondrio
  • Paolo Fornasari, Direttore Tecnologie e Servizi, Lombardia informatica
  • Ettore Galasso, Responsabile Area Business Applications, Expopage
  • Gianluca Gottardini, ICT Sourcing & Contract Manager, Autogrill
  • Daniel Levasseur, Direttore Servizi Informativi, Laboratoires Boiron
  • Sergio Martina, Consulente di direzione, Martina Team
  • Graziano Perucchini, Responsabile Field Marketing Finance, Telecom
  • Maurizio Petracca, Responsabile Sistemi Corporate, Architetture e Progetti Direzione Macchina Operativa, Sia
  • Gianantonio Rui, ICT Manager for Subsidiaries, Selex Elsag

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