Open source:perche’ linux e’ un gran business

E Linux è un software open source, come mai scatena così tanti interessi nel mondo dell’It? Perché attorno al concetto di distribuzione gratuita, o quasi, del codice, si è creato un ‘sistema’ che crea profitti per chiunque vi partecipi, che venda hardware, software o servizi? Analizziamo questo modello di business per capire quali effetti può avere nei confronti delle aziende utenti

Pubblicato il 02 Mar 2005

Del ‘‘fenomeno Linux’ il minimo che si possa dire è che ormai è "il" rivale di Windows; e non è poco. Rimandando il lettore al riquadro "Punti forti e criticità", per un confronto tecnico sui due contendenti, qui ci proponiamo di indagare più in generale su come il modello Oss (Open source software) possa reggere economicamente, studiando Linux come un ‘caso di successo’.Incominciamo col dire che una lettura dell’accettazione di Linux fatta solo in un’ottica di costi è molto riduttiva. Il fatto che il costo d’acquisizione (Tca) della piattaforma Oss sia nominalmente zero (anche se Microsoft non è d’accordo) potrebbe spiegare la preferenza degli utenti solo se l’open source non avesse il suo bravo Tco (Total cost of ownership) che invece ovviamente c’è. Ma in ogni caso, anche se potesse spiegarne il decollo, il modello di distribuzione gratuita non spiega come il processo Oss si sostenga. Bisogna allora guardare all’intera catena del valore e ragionare in termini di costi e ricavi, cioè in termini di modello di business, prendendo a riferimento la distribuzione dell’Oss Linux, modello radicalmente diverso da quello del software commerciale, ma ormai rodato e capace di fabbricare profitti da accettabili a molto attraenti.

Il Modello di Business dell’Oss
Il modello di business di Linux è basato su distribuzione gratuita e ritorni dall’indotto. Guardiamo allora ai tre elementi cruciali della ‘value chain’: lo sviluppo, in mano a una comunità meritocratica e rigorosa custode della filosofia di condivisione Oss; il ciclo di vita del prodotto, governato da un consolidato processo nato da un felice connubio fra comunità Linux e partner commerciali, che formano un ‘sistema Linux’ concentrico e multilivello; il profitto indotto ai vari partner (distributori Isv o Var, fornitori di software a base Linux, rete di supporto).

Una comunità dove comanda il merito
fa ormai parte della ‘vulgata’ di Linux il fatto che Linus Torvalds sia partito come autore del nocciolo (kernel) che controlla l’ambiente Gnu, iniziativa dell’omonima organizzazione (www.gnu.org) per creare un sistema operativo stile Unix completamente gratuito. Il kernel è stato battezzato Linux, contrazione di Linus e Unix, e identificato dal pinguino Tux come mascotte.Il punto è che nel 1991, con la decisione di pubblicare il codice Linux sul Web, aprendolo ai contributi di chiunque, Torvalds si è saputo gradualmente trasformare da programmatore a leader di un’organizzazione di volontari costruita su base meritocratica: nel senso che l’accettazione nella comunità Linux e l’ingresso nella cerchia dei collaboratori più stretti è unicamente (e in modo naturale) determinata dal livello dei contributi, per definizione da alta ad altissima qualità. Questa meritocrazia riguarda lo stesso Torvalds ("resta lui il centro finché prende le decisioni giuste") e, sotto l’apparenza di passività, si traduce in una inflessibile garanzia di assoluto agnosticismo nei confronti dei partner commerciali interessati al codice. Ne sanno qualcosa Intel e Nokia, che hanno dovuto velocemente ritirare un loro codice Linux per cellulari che avevano proposto su Web senza rispettare il processo stabilito dalla comunità, e forse anche senza tener conto di tutte le implicazioni sul kernel. Più cruciale ancora, il potere meritocratico della comunità pretende dai collaboratori una sola cosa: massima qualità con minimo codice possibile. Ne deriva un minimo numero di errori sfruttabili dagli hackers, con un livello di sicurezza ritenuto superiore a Windows, anche se va precisato che Microsoft, con l’iniziativa ‘Get the Facts", ha reagito dimostrando, attraverso analisi indipendenti, come abbia sempre corretto il 100% delle sue vulnerabilità, rispondendo ai problemi in minor tempo dei fornitori di Linux.

Il connubio con i partner commerciali
La seconda forza che governa il ciclo di vita del prodotto Linux è che questo è partecipato dai partner commerciali, anche se con regole concordate con la comunità degli sviluppatori. Il cuore del connubio tra l’Oss Linux e i suoi business partner sta nell’Open Source Development Labs (www.osdl.org ), organizzazione non-profit con membri fondatori del calibro di Ibm, Hp, Ca, Nec e Intel, più una quantità di altri nomi. L’Osdl si pone a metà strada fra un ‘advocacy group’ e un consorzio che dà a fornitori ed utenti le regole necessarie per lavorare efficientemente con la comunità di sviluppo Linux e garantisce a quest’ultima programmi di test di classe enterprise e supporto tecnico appropriato, autodefinendosi il "centro di gravità di Linux per il computing d’impresa".Lo stesso Torvalds è uno stipendiato Osdl, per il ricco ma non miliardario compenso di 200.000 dollari l’anno, costituendo così di persona il centro di un sistema articolato in tre ‘gironi’ concentrici irradianti da Osdl. Il primo e più interno è cooperativo (Linux comunità meritocratica), gli altri due sono invece competitivi: il secondo con gli Isv (software) e i Var (hardware) che distribuiscono Linux, nonché con i fornitori di software a base Os Linux; il terzo con i service provider, i fornitori di servizi nella rete di supporto Linux.

Il profitto indotto da Linux
Per arrivare al profitto di cui si diceva, vediamo al lavoro il sistema Linux. Il girone interno, Linux comunità meritocratica, produce le versioni successive di Linux. Come in tutti i processi di sviluppo, per ogni versione c’è una prima fase zero, quella degli obiettivi stabiliti dal board di Osdl, cui partecipano i direttori tecnici dei partner (ora sta uscendo la versione per laptop e quella per la gestione di grandi database), dopo la quale c’è il classico sviluppo a spirale in cui i contributori producono il codice per le varie funzionalità o sottofunzionalità e i manutentori lo ispezionano e rivedono.Sebbene gli uni e gli altri siano in maggioranza dipendenti dalle società partner di Osdl (la sola Ibm vi dedica 600 persone), questi sono visti dalla comunità con l’occhio meritocratico che si ha verso il contributo individuale. Quando un manutentore è soddisfatto delle sue patch, le passa all’esame di Torvalds, che, o le respinge, o richiede cambiamenti, o le aggiunge al kernel della nuova versione e le pubblica sul Web per consentirne il test a migliaia di corrispondenti o contributori nel mondo. Quando Torvalds (col suo luogotenente australiano Andrew Morton) decide (ogni tre anni circa ma senza scadenze ultimative), la nuova versione viene rilasciata al secondo girone, entrando così in un universo commerciale, dove si materializzano di colpo competizione e profitto.Nel secondo girone c’è il business degli Isv Open Source, globali come RedHat (www.redhat.com ), Jboss (www.jboss.org ) e Novell SuSe (www.novell.com/linux/suse ), o regionali come MandrakeLinux (www.linux-mandrake.com ) in Europa e RedFlag Software in Cina. Sull’ultima versione rilasciata del kernel, questi Isv ‘impacchettano’ anche centinaia di programmi Oss all’anno, da piattaforme di sviluppo desktop come Gnome (www.gnome.org), a browser come Firefox (www.mozilla.org/products/firefox), a suite di produttività come Open Office (www.openoffice.org ). Rispetto ad una nuova versione Linux gratuita, ma fai-da-te, gli Open Source Isv forniscono in abbonamento annuo (indicativamente, dai 35 dollari per un desktop ai 1.500 per un server high-end), arricchimenti, istruzioni d’uso, aggiornamenti gratuiti a rilasci successivi. Possono inoltre scegliere di competere anche a livello rete servizi, passando quindi al terzo girone. Vince chi, oltre ad essere il più puntuale ed efficiente negli aggiornamenti, offre i maggiori valori aggiunti. Un differenziatore per chi lavora anche nel terzo girone può diventare la regionalità. Per questi Isv, il Meta Group, in analogia ai produttori hardware stile Dell, ha coniato il termine di "compagnie di commoditizzazione del software".Quanto al business indotto nell’hardware, Dell, Hp e Ibm sfruttano il Tca zero di Linux rispetto a Windows (che costa centinaia di dollari per una licenza Pc e alcune migliaia per una licenza server) vendendo macchine con Linux precaricato e avendone un vantaggio in termini di maggior fatturato. Le vendite di server Hp a base Linux sono passate in tre anni dal 10 al 18% su un fatturato 2004 di oltre 15 miliardi di dollari (anche qui, per come la pensa Microsoft sull’argomento, rinviamo al riquadro "Punti forti e criticità"). Inoltre, vendor hardware come Ibm e Hp trovano ritorni di fatturato anche, e magari in prevalenza, nel terzo girone, agendo come service provider, ad esempio con servizi di formazione e manutenzione. C’è infine il business dei fornitori di software applicativo per ambiente operativo Linux, dove ovviamente l’Oss genera profitto non più indotto ma primario. Secondo il rapporto Idc (vedi riquadro a pagina 86) il tasso di crescita dei fatturati da software pacchettizzato schiaccia quello, sia pur notevole, da distribuzione gratuita. Secondo Peerstone Research (vedi ancora il riquadro di pagina 86) l’Oss conquista anche i grandi degli Erp e già oggi un 10% delle applicazioni Sap si vende su base Linux. Al punto che Idc intravede una forte richiesta, da parte delle aziende private come degli enti governativi, di licenze Linux come sistema operativo pagato e supportato dal fornitore. Si va forse configurando lo scenario di un dual licensing con un "Linux commerciale", ad affiancare e paradossalmente annacquare il caso di successo Linux come modello di business tra Oss e indotto hardware, software e servizi? Naturalmente, non siamo solo noi, nel nostro piccolo di giornalisti, a studiare il modello Oss: in cima alla lista di chi lo sta analizzando e studiando con frenetico interesse ci sono i colossi dell’It e si intravedono grandi manovre: Ibm con dichiarata evidenza e Microsoft in ‘assordante silenzio’. Un silenzio che ci fa venire in mente quello che precedette l’e-mail con la quale Bill Gates cambiò in sei mesi la strategia su Internet della società.

Punti forti e criticità. E sul Tco è guerra di cifre
Secondo una recente inchiesta Peerstone fra le aziende utenti, i punti di forza di Linux come Os sono tre: l’ormai sostanziale parità tecnologica raggiunta con Windows e i vari Unix, pur con costi inferiori per l’hardware e per l’acquisto rispetto a queste piattaforme; una maggior sicurezza rispetto a Windows Server; l’impegno di vendor come Ibm, Hp ed Oracle. I punti critici sono invece: un Tco maggiore del prevedibile a causa della scarsità e del costo di system administrator con esperienza Linux; la richiesta di skill e cultura di base Unix (nel senso che si trovano bene con Linux le aziende con piattaforma Unix che puntano ad hardware meno costoso, mentre quelle già migrate da Unix a Windows non vogliono cambiare); la lite tra Sco e Ibm sulla sottrazione di proprietà intellettuale (che però, salvo sviluppi negativi dal processo, per ora preoccupa solo un cliente su sei); dubbi sulla scalabilità a grandi database transazionali (ma chi lo ha fatto non ha riportato problemi); una perdita d’immagine aziendale, nel senso di una ‘timidezza sociale’ nell’usare ufficialmente software dal marchio non profit.Sul costo totale d’acquisto (Tca) e di ownership (Tco) di Linux rispetto a Tca e Tco dell’alternativa Windows a parità di configurazione, è ovviamente guerra aperta fra i vendor Linux e Microsoft. Ci può chiarire le idee uno studio Gartner riferito ai puri costi software.Per Linux o un Oss in genere, al Tca nullo (o basso in caso di dual license) si sommano i benefici di non avere né costi di overcommitment (dettati ad esempio dal desiderio di avere sconti-volume), né del tracciamento delle licenze e della revisione dei budget se cresce la richiesta, né del gestire il rapporto con l’Isv. Vanno però previsti costi ‘nascosti’ che rischiano di gonfiare il Tco: distribuzioni multiple che possono generare complessità amministrativa, contratti di supporto che non coprono aggiornamenti o compatibilità fra versioni, costi di skill transfer e formazione (pesanti nel passaggio da Windows a Linux, ma anche da Unix a Windows). Microsoft risponde che i clienti sottostimano il Tco (e anche il Tca) di Linux rispetto a Windows Server, nonché il rischio sicurezza cui Linux sarà esposto in futuro. In particolare, sul Tco punta a dimostrare che quello di Windows è inferiore a quello di Linux. Così è riuscita a fermare il Comune di Parigi, che stava per migrare a Linux anziché a Windows 2003. Ma non la città di Monaco, passata a Linux con 14.000 Pc. Gartner sostiene che con Parigi c’è riuscita mettendo in conto al Tco di Linux (correttamente) i costi di formazione una tantum del personale da base Windows a base Linux; ma che "non c’è alcun studio che dica che Windows dia un minor Tco di Linux in generale". In altre parole: Microsoft sembra poter sostenere un minor Tco rispetto a Linux solo nell’upgrade a Windows 2003 di un cliente già Windows. Può quindi difendere bene il proprio territorio, ma le diventa difficile espanderlo.

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