PMI: la strada è open

Quello dell’open source è un mercato oggi difficilmente quantificabile perché siamo di fronte sempre più ad un impiego “ibrido”, dove sviluppatori e imprese utenti includono componenti open source in soluzioni  più o meno complesse con componenti proprietarie. Ma in Italia, dove la maggior parte delle aziende fa parte del segmento pmi, qual è la domanda?

Pubblicato il 13 Feb 2008

Se tutti ormai concordano su un elevato livello di diffusione di componenti open source anche dove meno ce lo si aspetterebbe, ossia nella applicazioni proprietarie dei grandi vendor internazionali, qual è il suo impiego e il grado di accettazione in Italia per dimensione di impresa?
L’idea di un modello adatto soprattutto per la tipica taglia delle aziende italiane, sembra uno dei tanti luoghi comuni che devono esser sfatati, soprattutto sul lato della domanda.

Rivolgiamo questi dubbi a Fabio Massimo (nella foto), coordinatore nazionale del Settore Ict di CNA Comunicazione e Terziario Avanzato, che ha visibilità sulle Pmi, sia sul versanete della domanda sia su quello dell’offerta. “La disponibilità ad adottare soluzioni open source da parte delle imprese più piccole è ancora molto modesta; la principale criticità è infatti la conoscenza, visto che l’informazione sulle soluzioni proprietarie è superiore – sostiene Massimo. – Inoltre l’idea di ottenere un prodotto gratuito genera spesso diffidenza da parte di utenti meno esperti”.
L’elemento discriminante sembra non essere tanto la dimensione dell’impresa quanto la presenza di un presidio It interno e di adeguate competenze, spesso assenti nelle imprese di piccole dimensioni o dove sia direttamente l’imprenditore ad effettuare la scelta. “Non mancano responsabilità anche da parte dell’offerta – precisa Massimo – che vede una miriade di piccole imprese ancora molto disaggregata e disomogenea, dove si assiste alla scarsa attitudine culturale, tipica delle realtà italiane, alla collaborazione in gruppi ampi”.
Ulteriori elementi negativi sono le ridotte dimensioni del mercato domestico e la mancanza di venture capital. “Sono dunque ancora pochi, limitati ancorché lodevoli i progetti in Italia a paragone dei progetti che nascono negli altri paesi europei”, ricorda Massimo, anche se non mancano punti di eccellenza. Cna ha individuato piccole realtà avanzate che partecipano a progetti internazionali, anche se resta l’incapacità di un’aggregazione consolidata e la difficoltà di collaborare. Ancora una volta una realtà “a macchia di leopardo”, con poli come quello di Torino e di Ivrea, dove si concentrano operatori capaci di offrire servizi e supporto o aree come la Toscana e l’Emilia, che vedono una presenza diffusa di realtà capaci di offrire di servizi adeguati in ambito open source.
Una ruolo importante nella diffusione dell’open source è stato svolto e continua ad essere svolto dalla scuola e dall’università, che spesso produce buoni tecnici ma avulsi dal mondo aziendale e dunque in difficoltà quando devono proporre soluzioni e servizi affrontando la concreta realtà delle imprese.
“Si sta però concludendo la fase dell’ideologia, mentre si stanno affacciando sul mercato aziende che vogliono fare business, con un approccio più pragmatico, serio e organizzato che punta a fornire alle aziende una struttura efficace di supporto – conclude Massimo. – Una spinta importante potrebbe venire dalla Pubblica Amministrazione, che, cogliendo l’opportunità di ridurre i propri costi interni, potrebbe dare ossigeno a queste imprese, consolidando al tempo stesso un nucleo di competenze al proprio interno e sul mercato”.

La fase pragmatica dell’open source
Franco Roman (nella foto a destra), Direttore Marketing e Partner Sales di Sun Microsystems, a partire dalla percezione che deriva dal contatto con i partner, dal portale Job e da incontri con clienti di diversi mercati, ricorda che mentre la componente infrastrutturale

(costituita da sistemi operativi come Linux o Solaris, web server come Apache, database come MySql, appena acquisita da Sun) è stabilmente presente anche nelle maggiori aziende, la situazione per la componente applicativa che abbraccia diversi ambiti (dal software di produttività individuale al Crm, dal content management fino all’Erp e alla Business Intelligence) è ancora in evoluzione e diffusa in modo disomogeneo. Anche nel mondo dell’offerta si assiste a una situazione eterogenea: ci sono aziende con modelli di business al cento per cento open source, dalla componente infrastrutturale a quella applicativa, mentre anche società più tradizionali usano l’open source per progetti specifici o per complementare il loro software. “La situazione ormai più diffusa, sia presso i clienti sia da parte dell’offerta, è la coesistenza del mondo open con quello proprietario. Sta prevalendo un atteggiamento di maturità e pragmatismo, dove le scelte vengono effettuate in modo graduale; la definirei la fase pragmatica dell’open source, un aspetto meno interessante dal punto di vista mediatico, ma certo più efficace”, ricorda Roman.
Per quanto riguarda l’atteggiamento delle Pmi della domanda, la discriminante è la presenza di una funzione o quanto meno di competenze It interne. “C’è disponibilità da parte delle Pmi a prendere in considerazione soluzioni totalmente open source o miste; ma queste imprese vogliono risposte chiare ad alcune domande: quali caratteristiche ha la soluzione, chi la supporta, quali sono le implicazioni legali – precisa Roman. – La scelta viene effettuata mettendo le diverse opzioni a confronto e scegliendo la soluzione che meglio risolve il problema”.
Si tratta però di un approccio alla selezione del software che meglio si adatta ad imprese medio grandi, mentre le imprese più piccole sono invece più orientate a prodotti facili da scegliere e da usare.

MayKing: un modello di business open
Mayking, azienda italiana specializzata in area Erp e Crm, presente soprattutto nel centro-nord, è nata nel 2004 con un modello completamente open source a partire dall’idea di superare il concetto di azienda It che crea prodotti applicativi, non sostenibile per le imprese italiane che si trovano di fronte alla concorrenza dei colossi internazionali che viaggiano sui grandi numeri.
“Ormai tutti gli analisti concordano sul fatto che i principali costi sostenuti dai grandi vendor di software non derivano tanto dallo sviluppo quanto da attività di marketing e di tipo commerciale, che assorbono, secondo queste analisi, il 75% del fatturato che proviene dalle licenze”, spiega Alessandro Frison (nella foto), amministratore delegato di Mayking.

La scelta alla base della nascita di Mayking (oggi circa 700mila euro di fatturato e dieci persone) è il superamento del modello tipico della software house italiana a favore di un modello basato sui servizi. Un modello, questo, che dovrebbe offrire importanti vantaggi anche al cliente, svincolato nella scelta dei servizi dal fornitore della soluzione e dalla tecnologia, a differenza di quanto accade oggi nel software proprietario. “Il cliente di una soluzione basata su tecnologia Microsoft, per fare un esempio, deve pagare due costi in caso di upgrade, spesso spinto da logiche esclusivamente commerciali: quello derivante dalla componente tecnologica e quello del servizio”, sottolinea Frison.
Analizzando il mercato della domanda si è assistito ad un’evoluzione. All’inizio le microimprese erano interessate all’open source: attirate soprattutto dalla gratuità della soluzione, non erano disposte a riconoscere una remunerazione per il servizio. “Negli ultimi 15 mesi stanno entrando in contattato con noi aziende che hanno una struttura It interna e la capacità di valutare la tecnologia, che sono alla ricerca di operatori qualificati – ricorda Frison. – Queste imprese hanno identificato i vantaggi dell’open source, hanno individuato le tecnologie, ma si rendono conto di non essere in grado di fare tutto da sole e cercano servizi più qualificati”.
Cominciano dunque ad arrivare clienti da 500 persone e qualche centinaia di milioni di euro, anche se ancora prevalgono aziende utenti di fascia più bassa (da qualche milione fino a 60-80 milioni di euro). A queste Mayking propone un’offerta di servizi che va dall’analisi dei requisiti, alla valutazione di impatto, all’implementazione e messa in produzione, passando per la formazione. “La riduzione del costo di implementazione è significativa soprattutto per i progetti più complessi, con personalizzazioni e integrazioni spinte, dove si raggiungono anche risparmi del 30-40%, rispetto a soluzioni proprietarie, a parità di dominio applicativo e complessità” precisa Frison.
Alcune perplessità possono derivare dalla stabilità del partner di servizio, generalmente una Pmi. “I progetti open source di successo hanno alle spalle comunità di sviluppo che generalmente crescono nel tempo, mentre come si è visto negli ultimi anni, le continue acquisizioni da parte dei grandi vendor hanno portato di fatto ad inglobare i clienti dismettendo progressivamente le soluzioni dell’azienda acquisita, mettendo in serie difficoltà i clienti”.
E dunque un punto apparentemente di debolezza del modello open source potrebbe diventare un vantaggio, visto che il rischio si distribuisce sull’intera comunità.


Qualipso: per l’open source nelle imprese. Engineering in prima fila
Si è svolta a Roma a gennaio la prima edizione della conferenza internazionale dedicata all’open source, promossa dal Consorzio QualiPSo – Quality platform for open source software
, alla quale hanno aderito 30 paesi. QualiPSo è organismo coordinato da Engineering al quale aderiscono 21 soci fondatori provenienti da Europa, Sud America e Asia, Cina in testa, in rappresentanza del sistema produttivo delle imprese di software, del mondo istituzionale e delle Università e Centri di ricerca avanzati a livello internazionale. Alla conferenza internazionale era presente anche

Cedric Thomas (nella foto), presidente del Consorzio OW2, ente internazionale no-proft, nato a gennaio del 2007 dalla fusione di ObjectWeb e Orientware, impegnato principalmente nello sviluppo e nella promozione di middleware open source. In particolare, il consorzio sviluppa componenti open source per applicazioni distribuite (web application, grid computing, business integration, ecc.). Raggiunto telefonicamente per una intervista, Thomas ci ha detto: “L’obiettivo delle infrastrutture software distribuite è rendere collegabili e interoperabili sistemi che per loro natura sono eterogenei. OW2 agisce proprio seguendo questo spirito di interazione. Il software che sviluppiamo aderisce a tutti i principali standard aperti definiti da organismi indipendenti quali JCP, OMG o OSGi. L’accesso aperto al codice sorgente garantisce il massimo livello di conformità a questi standard”.
“Il consorzio OW2 promuove il dialogo fra i fornitori di tecnologia e le aziende utenti perché solo così l’offerta di soluzioni software open source può davvero rispondere alle esigenze del mercato”, precisa Thomas. “L’open source sta maturando ma alle aziende utenti manca ancora quella fiducia e quella sicurezza che sentono di poter trovare facendo scelte “più tradizionali”. Sono però convinto che le opportunità siano molte, sia per le comunità di sviluppatori che per le aziende fruitrici delle soluzioni open source”.
E in termini di opportunità, Gabriele Ruffatti (nella fotoa destra), Architectures & Consulting Director Research & Innovation Division di Engineering sottolinea come in

Italia “la Pa sia uno dei settori più attenti al fenomeno”. “La Pubblica Amministrazione rappresenta, a nostro avviso, il settore trainante nell’adozione di soluzioni open source – dice Ruffatti, – anche se iniziamo a vedere un discreto interesse anche da parte di banche e istituti di credito” (N.B.).

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